Vivo in Alto Adige da quasi quattro anni, ma sono nato in Puglia.
E in Puglia di anni ne ho trascorsi circa trentasette. Alcuni direbbero gli anni fondamentali. Quelli che ti formano.
È l’imprinting.
Cresci soprattutto abituandoti a cose come il malfunzionamento degli uffici pubblici, le strade dissestate, l’inquinamento, i tanti, piccoli soprusi quotidiani, perpetrati dai furbi nei confronti dei deboli e degli onesti.
Una struttura sociale degradata che i vecchi si scrollano dalle spalle, in un misto di malinconia e malcelato disinteresse, con la solita frase: “Così va il mondo”.
Sì, sì, poi è abbastanza ovvio che Taranto contenga anche lati positivi, altrimenti non sarei sopravvissuto.
Ma, come sempre, come si trattasse della mia Derry, sono i lati peggiori quelli che hanno germinato, producendo storie inconsce, orrori, immagini di alta disperazione.
SINOSSI: Un ottobre caldo e innaturale, un ottobre che non vuole dormire.
Nico è stato scarcerato, ma i suoi amici sono stati ammazzati in prigione.
La dura vita di Taranto non concede tregua, non ha rispetto per nessuno, neanche per i ricordi d’infanzia,
popolati di mostri nel buio delle case abbandonate della Città Vecchia.Nico ha bisogno di un colpo al cimitero, derubare i morti è l’unico sistema per salvare la sua famiglia dai debiti.
Ma c’è un’alternativa: rintracciare le Sette che operano sul territorio, seguire i loro membri fino a casa,
e rapinarli di tutte le loro ricchezze.
“A quelli li possiamo pure ammazzare”.
Per riacquistare il controllo del suo destino, Nico deve solo prendere una pistola e addentrarsi in un mondo di mostri.
Per circa un anno di quei trentasette sono stato in contatto diretto coi protagonisti di questo romanzo, non proprio con loro, ma con gente come loro, ragazzi della Città Vecchia, dei quartieri degradati e più massacrati dall’inquinamento ambientale scaricato dall’ILVA sulla città. Ne ho seguito le sorti, condiviso la filosofia spicciola, che consiste nel prendere. O meglio, arraffare tutto ciò che si può, fino a mettere da parte abbastanza per campare, in barba a questo mondo infame.
Stella di Carne, tuttavia, non vuole essere un romanzo di formazione, ma un romanzo horror. Un horror ambientato in quel meridione pseudo-immaginario (ché da alcuni lettori non è stato ritenuto nemmeno tanto improbabile, nonostante i mostri) già eplorato negli Ulivi.
Un horror che prende spunto, stavolta, da una mitologia antichissima e sconosciuta ai più, persino ai locali.
Come ho voluto specificare anche nel libro, questa Taranto non è la Taranto reale, ne differisce sotto molteplici aspetti: è il suo doppelganger, il riflesso nello specchio.
O, per i meno romantici, è l’impressione che quella città mi ha lasciato.
Ma è pur sempre Taranto, per cui, nei dialoghi, ma anche nel testo, ho inteso ricalcare il linguaggio tipico di quelle zone, ricorrendo, dov’era il caso, a note con traduzione.
Una storia di delinquenti, di bulli, di mostri e di una città che, venuta a patti col proprio disastro, è mutata in un parco di caccia. Di uomini e di mostri.
Spero possa terrorizzarvi quanto ha terrorizzato me scriverne.
Buona lettura.
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