Bah, vediamo di dare un senso a questo blog.
E’ vero, è vero, sto dicendo da un bel pezzo che ormai ho smesso. Con la lettura. Con i romanzi.
L’ho piantata lì dopo aver iniziato a leggere quello che, pur ignorandolo (perché non l’ho letto, in effetti), considero un pessimo libro fantasy, Il Cavaliere del Sole Nero (Black Sun Rising), di C.S. Friedman.
Ma come?!? Io leggo romanzi di genere fantasy?
Sì, se è per questo ho letto anche manuali di bella scrittura! No. Non è contraddittorio, è conoscere il proprio nemico per vincere la propria battaglia! E poi, come al solito, nella scelta di cui sopra, la nostalgia e forse gli ormoni hanno fatto la loro parte. E, sì, perché Il Cavaliere del Sole Nero era tutto ciò che mi restava di un vecchio programma tv, presentato da una tipa mooolto carina, di cui avevo perso le tracce, dove, per l’appunto, gli argomenti principali erano il fantasy e la fantascienza. Una vera rivoluzione per i palinsesti italiani. Quindi, dicevo, lo comprai e iniziai a leggerlo… e la piantai subito dopo, quando mi accorsi che, pur non essendo io un lettore esigente, attento e critico, nonostante sia consapevole del mestiere, il suo stile mi dava la nausea. Scritto male, malissimo e, soprattutto, un incipit che più noioso non si può. Insuperabile nel tedio che riesce a suscitare…
Comunque, come di certo già sospettate, quel libro non ha nulla a che vedere con questo articolo. Citarlo è stato solo un piccolo sfogo. Sono fatto così, non riesco proprio a fare il critico letterario serio e impostato che sceglie di trattare un argomento e va avanti a testa bassa a scrivere solo di quello e a fanculo tutti gli altri. No. Io devo scrivere dei ca**i miei. Rassegnatevi. Ah, se proprio volete farvi del male, compratelo e leggetelo, ‘sto malloppone di 602 pagine (in edizione Nord) così mi dite anche come va a finire…
Il fatto che non legga più romanzi non esclude che legga ancora, tanto per cominciare e, soprattutto che, in passato, abbia letto. Leggevo, leggevo e tanto anche…
L’ucronìa (anche detta storia alternativa, allostoria o fantastoria) è un genere di narrativa fantastica basata sulla premessa generale che la storia del mondo abbia seguito un corso alternativo rispetto a quello reale. (da Wikipedia)
Eh, sì! Già li sento i miei futuri detrattori. “Ma guarda! Fa tanto lo spaccone e poi le sue fonti non vanno mai al di là di Wikipedia!”. E io, con un’altra avversativa – non subordinata, grave errore! -, risponderei: “Ma credete davvero che io, alle… che ore sono?… dunque, dicevo, alle 10 e 48 della mattina possa andare a spulciare i miei testi universitari per fornirvi citazioni più autorevoli di Wikipedia?!? Se lo credete davvero siete da manicomio!”
Bene, dopo 453 parole fuori tema, forse è davvero il caso di iniziare. Due romanzi ucronici che ho letto e che, guardate un po’, mi sono anche piaciuti. Di entrambi, consumati anni fa, conservo un ricordo fumoso. E’ meglio così. Dopo tanto tempo, di un libro ti rimane dentro solo l’essenza. La sua parte più pura. Che poi è quello che distingue un bel libro dalla spazzatura.
Fatherland, anno 1992, del giornalista inglese Robert Harris che, scoprendo l’uovo di colombo, si è immaginato che il III Reich avesse vinto la II Guerra Mondiale e avesse avuto così l’occasione di imporre alla società da esso dominata il proprio originale modo di vivere.
BUUUM! Successo interplanetario. Miliardi di copie vendute.
Ma, vi dirò… è un buon libro. Scritto leggero leggero – adorate i miei termini tecnici, vero? -, con uno stile accattivante, senza vergogna e falsi moralismi nel presentare qualcosa di più di una semplice versione ipotetica dei fatti.
Dovete sapere, se non lo sapete già, che Hilter era andato con la mente molto più in là rispetto a dove poi è stato fermato. Quella società futura, paventata nel libro, era già nei piani, fin nei minimi dettagli. E Harris, davvero abile nel presentare il tutto dal punto di vista di un nazista, precisamente uno Sturmbannfuhrer delle SS, non scade mai nel patetico, ma riesce a darci una visione realistica, da brivido oserei dire, di questa società malata, sorretta dalla volontaria complicità di coloro che la vivono, che si trovano spesso di fronte a evidenti distorsioni e aberrazioni – come quando sono costretti ad applicare la normativa vigente sulle leggi razziali -, sono tacitamente consapevoli della implicita follia delle stesse, ma, malgrado ciò, fanno del loro meglio perché siano rispettate, per amor di patria.
Il motivo dell’intreccio è tipico della fiaba. I segreti, per quanto ci si impegni nel nasconderli, riemergono sempre dalle nebbie del passato, portando il cambiamento in coloro che ne vengono a conoscenza.
Il segreto in questione, suggerito da Harris che si diverte a girarci intorno, ad alludere e risulta efficace nonostante si possa tranquillamente immaginare quale esso sia, è lo sterminio degli ebrei che, avendo il nazionalsocialismo vinto la guerra, è stato insabbiato. Il regime, infatti, è ben consapevole della barbarie commessa e non ne ha fatto un vanto, come si poteva pensare. Altresì, la Germania sa che se questo pesante segreto venisse allo scoperto, essa perderebbe tutte le faticose relazioni diplomatiche che nel corso di vent’anni dalla fine della guerra, è riuscita a costruire.
Fantapolitica con sfumature di noir poliziesco, se siete amanti delle categorie, arricchita da veri documenti storici e da una galleria di personaggi che, volenti o nolenti, hanno fatto la storia del novecento.
The Man in the High Castle (titolo italiano La Svastica sul Sole oppure L’Uomo nell’alto Castello), anno 1962, di Philip K. Dick.
Io lo adoro Philip K. Dick e credo fermamente che egli sia ancor’oggi pesantemente sottovalutato e circondato da pregiudizi. Dick è uno scrittore che fa LETTERATURA. Essa promana dai suoi testi semplici, seppure arzigogolati, pregni di un’immaginazione febbrile, così accurati e, a volte, profetici nella loro critica all’individuo e al costante declino di quest’ultimo, disgregato e divorato dalla società sempre più avviata anch’essa verso l’annientamento.
Anche in questo libro, la II Guerra Mondiale ha conosciuto un esito favorevole alle forze dell’Asse. Germania e Giappone si sono spartite il mondo intero. Gli Stati Uniti sono divisi così in due sfere d’influenza ben precise.
La pace, però, è solo un miraggio perché voci insistenti vogliono che la Germania stia puntando i propri missili nucleari sul Giappone per chiudere definitivamente la partita e divenire così l’unica realtà possibile. Come al solito, questo spaccato di realtà utopica ci viene presentato da Dick attraverso una galleria di personaggi che, spesso , non hanno niente in comune e i cui destini, a volte si incrociano, altre volte no, restando completamente ignari gli uni degli altri. In questa società malsana che ha attinto al peggio delle due culture dominanti, la superiorità razziale è fattore imprescindibile che regola ogni aspetto della vita degli esseri umani, finanche i più ridicoli, mentre la consultazione dell’I-Ching, il libro oracolo cinese, è divenuta pratica quotidiana – si dice che nell’elaborazione della trama anche Dick sia ricorso all’I-Ching -. Tuttavia, c’è un libro, la cui diffusione sta preoccupando le autorità tedesche e giapponesi, così attente alla propaganda e all’informazione. Scritto da un misterioso individuo Hawthorne Abendsen, La Cavalletta non si alzerà più (The Grasshoper lies heavy) sostiene che la guerra sia terminata in modo diverso e che gli Alleati abbiano sconfitto l’Asse… perché le autorità dovrebbero essere preoccupate di un singolo libro di fantapolitica? Sembra, in effetti, che quest’ultimo narri non una finzione, ma una possibilità reale.
Al confine con il sogno, o l’incubo, Dick scrive due romanzi paralleli, in cui entrambe le realtà si affacciano, si accavallano, tanto che è davvero difficile capire quale sia il mondo reale per i protagonisti e, per assurdo, per il lettore.
Il libro lascia molti interrogativi e non è assolutamente nei canoni del genere, vinse addirittura un premio per la fantascienza, né organico nella struttura. A me diede, infatti, l’impressione di interrompersi bruscamente, come fosse incompleto. In breve, lo adoro.
Realistico e documentato il libro di Harris, non per niente giornalista, che nell’ipotizzare scenari così devastanti si è affidato ai fatti storici; visionario e oppiaceo il romanzo di Dick che parte dall’interiorità del singolo per offrirci fugaci affreschi di società misticheggianti.
Sono entrambe ottime letture e insieme analisi spietate e lucide della possibilità storica che, come suggerito ne La Svastica sul Sole, è qualcosa di più di una semplice ipotesi fantastica, ma una vera realtà che scivola dentro l’individuo.