Comincio citando il passo che, al di là degli orrori innominabili di Innsmouth, mi ha più colpito:
Sentii ancora una volta, dopo tanto tempo, come fosse vuota la mia vita, in un mondo che parla per luoghi comuni, si fa guidare dagli imbecilli, dai cretini, dai pupazzi e disprezza e abbandona i valorosi che sanno pensare e poi anche agire, pagando in prima persona.
Poche righe che rendono umano il protagonista/voce narrante Claudio, ma anche l’autore. Lo sentiamo vicino, quasi fosse nostro parente, specie in tempi grigi come questi.
Di Lovecraft’s Innsmouth avevo letto quella che deve essere considerata una preview, ne avevo parlato qui, traendone vari e interessanti spunti di riflessione.
Lovecraft’s Innsmouth il romanzo stupisce perché mostra di essere suscettibile di vari livelli di lettura, nonostante il dichiarato intento di opera di intrattenimento narrativo.
Può essere considerata eredità del patrimonio narrativo-fantastico del Solitario di Providence, della sua cosmogonia di orrori indescrivibili e escrescenze protoplasmiche, ma è soprattutto un’attualizzazione di quegli stessi temi, che noi tutti, lettori o adoratori del fantastico – spesso entrambe le cose – abbiamo affrontato:
– antichi dei innominabili il cui agire è enigmatico e gli scopi reconditi.
– cultisti a vario titolo e varia ricchezza che investono patrimoni inmmensi nella creazione di complessi sotterranei il cui scopo ultimo è un rituale che non si sa cosa debba portare, in senso pratico, al mondo.
– eroi e eroine senza scopo apparente, vittime del fato, degli eventi, del patrimonio genetico…
Ecco riassunti i cliché di certa letteratura contemporanea.
Che però, a considerare la Innsmouth di Lovecraft, non appartenevano a HPL, che già nella sua Maschera di Innsmouth sovvertiva questi antichi canoni narrando di una fuga da eventi incoercibili (e innominabili)… e che di sicuro non appartengono a Claudio Vergnani (nella foto).
Come scrissi all’epoca, in occasione del mio primo incontro con la Innsmouth di Vergnani, di tempo ne è passato. La sensibilità s’è trasformata e oggi, francamente, l’idea che un Mostro Marino, che è un dio solo per forma e dimensioni e, forse, poteri sconosciuti, possa influenzare le vite di una coppia di mercenari afflitti dall’età che avanza e dai debiti e angustiati dalla prospettiva di una pensione che non vedranno mai è risibile.
Ed ecco così svelata la vera forza di Lovecraft’s Innsmouth, che coincide con quella capacità affabulatoria composta da più strati che mai come in questo volume ho percepito nell’opera di Vergnani.
Ché, oltre all’avventura dei mercenari, Claudio e Vergy (Vergì, alla francese, mi raccomando), assoldati da un Professore per mettere il naso in losche faccende lovecraftiane e uomini pesce, la cosa che più mi ha colpito del romanzo, e che mi preme sottolineare con forza, è l’intenzionale e sopraffina opera di destrutturazione di una mitologia antica e, in fin dei conti, affetta da obsolescenza irrimediabile, per un aggiornamento della stessa.
Le motivazioni dell’agire dei personaggi sono pratiche: i soldi.
Tutti hanno bisogno di soldi. Sia i protagonisti, perché sono degli spiantati e, per di più, sono italiani, oggi marchio d’infamia a causa delle “prodezze” scellerate che i nostri connazionali hanno compiuto e compiono e che hanno risonanza mondiale; sia gli antagonisti, lasciati spiaggiare da divinità talmente antiche e indifferenti, se mai sono esistite, che si sono quasi certamente dimenticate delle promesse fatte a piccole creature di carne e sangue, lasciandole struggersi nell’attesa del compiersi di profezie inesistenti e, se esistenti, oggi del tutto insensate.
I miti e le favole sono quelle che ci raccontiamo. Quelle tramandate da pazzi psicotici che troppo a lungo hanno vissuto nell’ombra di Dagon, col cervello ormai pieno di polipetti carnivori, e quelle raccontate dai bravi ragazzi, quelli che “sanno pensare”, che possiedono un senso dell’onore, che sono paria un quest’epoca che ha eletto come unica e sola divinità non tanto il denaro, che diviene un mezzo per ottenere piaceri e immortalità, quanto la Aurea Mediocritas.
La mediocrità come diritto inalienabile di essere delle teste di cazzo. E di soffocare il mondo col puzzo di inutili esistenze.
I bravi ragazzi, quelli che si danno da fare a distruggere antichi culti e maledizioni, sono destinati a attraversare questo mondo come ombre, perennemente a rischio solo perché “sanno pensare”.
Unici appunti sono da individuare nella parte centrale del romanzo, eccessivamente diluita, così come nei continui ed eccessivi scambi di battute – anche inutilmente grevi – tra i protagonisti, che parlottano spesso in situazioni in cui, a mio avviso, non occorre distendere la tensione, ma farla accumulare.
Da parte mia e ciò nonostante, non posso che consigliarvi una gita accompagnati dalla penna di Vergnani.
Lovecraft’s Innsmouth è quasi un affresco del moderno sentire sociale, più che un romanzo d’avventura. È un processo di fotosintesi delle vecchie luci del mito che genera nuove leggende, prive di quell’aura di immunità e sacralità che possedevano nell’era pre-atomica.
Di fronte all’atomo, ma soprattutto alla potenza di una pensione tradita quanto auspicata per una vecchiaia il più possibile serena, ma che già ipotizziamo tormentata, non c’è Dagon che tenga. Non più.