Antologia del Cinema

Into the Wild (2007)

Al di là dei motivi che generano e sostengono la narrazione, spesso ci si chiede perché scegliere di raccontare una vicenda scomoda come questa, che suscita estremismi, anziché una equivalente, ma dagli esiti non fatali. Fatalisti, è meglio. Perché scegliere di narrare le vicende di Chris McCandless?
La riposta è tragica, a mio avviso. Le si narra non per rendergli giustizia, come è stato scritto e strillato (giustizia per cosa, poi?), ma per lo spettacolo. Ecco.
È vero, Penn ha usato tutte le accortezze del caso. Ha atteso dodici anni prima che la famiglia McCandless desse l’autorizzazione a girare, ha riprodotto il pulmino dove il vero Chris è morto, per non profanare, a suo dire, l’originale, con le riprese. Ma la scelta, e le conseguenze, sono quelle precedenti: lo spettacolo. Un grande spettacolo.
E infatti, Penn centra in pieno il bersaglio. Non è uno sprovveduto. È innanzitutto un grande attore. Ha fiuto. Ce l’hanno avuto tutti, il fiuto, in questo film. A cominciare da Eddie Vedder, autore della magnifica colonna sonora, che ha accettato il lavoro senza neppure sapere il soggetto del film, pur di lavorare con Penn. Poi ne è venuto a conoscenza, della storia, e ha dato il meglio.
E quindi Into the Wild è uno splendido film che si concede soltanto piccole sbavature. Ottimo lavoro. Ottima fotografia, ottimo interprete: Emile Hirsch, che ha perso diciotto chili per entrare nel personaggio. Adoro quando succede. Quando accade che attore e personaggio coincidano, nella mente e nel fisico. I risultati sono più che visibili, eccelsi.
Quello che non apprezzo è l’aura di santità che aleggia intorno a questa storia e al personaggio a cui si ispira (quello reale). Dal momento che il film, al contrario, riesce a serbare uno straordinario distacco, di fatto né condannando, né assolvendo il protagonista di questa triste storia.
È proprio vero che il successo di alcune opere va al di là dei meriti (pur evidenti, come in questo caso), ma è costruito solo sull’infinita marea di chiacchiere vuote che su di esse si fanno. Chiacchiere che, pensando a Chris McCandless, sono proprio l’antitesi di quello che andava predicando e per cui ha fatto quel che ha fatto: sparire. Per allontanarsi da tutto questo. Dall’umanità.

***

Il ventiduenne Chris s’è appena laureato, quando decide di mollare ciò che è stata la sua vita fino a quel momento e di mettersi in viaggio, senza soldi, potendo contare solo su di sé, avendo in mente quale meta finale l’Alaska, l’ultimo territorio selvaggio in cui vivere lontano dalle sovrastrutture con le quali l’umanità ha ingabbiato se stessa. Sorretto da caparbietà, arroganza e forza d’animo, impiega due anni per raggiungere il suo obiettivo e le estreme conseguenze.
In questi giorni, volendomi documentare oltre la semplice visione del film, in rete ho letto di tutto. Quasi tutti quelli che parlano di Into the Wild lo considerano un’esaltazione del coraggio e un’epopea del superuomo. Cosìcché giudizio su film e sul percorso di vita del protagonista divengono apologia di entrambe.
Nulla di più sbagliato.
Sean Penn imbastisce la storia per quel che è, descrivendola attraverso le vicende di Chris e la voce narrante della sorella di questi, Carine, rimasta a casa aspettando inutilmente un contatto dopo il volontario esilio.
Il viaggio in sé è esperienza formativa, al di là di chi lo compie. Ragion per cui, come tutti i viaggi, anche quello di Chris, compiuto in strada, a piedi o sollevato da occasionali passaggi in auto, è avvincente. Nella continua ricerca di esperienze liberatorie e luoghi incontaminati, sorretti dalla fotografia, ci si appassiona al coraggio e all’inconscienza di questo ragazzo, e ci si chiede perché non scelga mai di fermarsi, se non nel posto più duro e inospitale del pianeta. La ricerca di sé è una brutta bestia. Una chimera che non lascia che brandelli. E, quel che è peggio, genera emuli insignificanti.

***

Ora, ho letto che questo è un film su un “maestro di vita”. Il maestro dovrebbe essere Chris McCandless. Ebbene, anche questa è una distorsione. Penn ci mostra Chris per quel che era, un ragazzo intelligente e avventato che getta nella disperazione una famiglia di cui, in effetti, non gli importa nulla e che decide di cambiare la propria vita, fallendo nel tentativo e pagandone in prima persona.
Quel che più conta, è che Penn non ci ricama sopra una facile morale, o l’apologia dell’eroe triste e sfortunato, incompreso da tutti tranne che da se stesso, e forse manco lui. Ce lo fa addirittura odiare quando rifiuta, testardo, i piccoli aiuti che gli vengono offerti di volta in volta. E addirittura ci è quasi indifferente la sua sorte, quando ormai inutilmente, egli si decide a lasciare traccia di sé, attraverso biglietti affissi nella foresta o sul pulmino che occupava, quali richieste di soccorso. Quello che lo trasforma in una figura lirica è lo spettacolo del cinema e le canzoni struggenti di Eddie Vedder che, montate ad arte su video, avrebbero il potere di far passare chiunque per un grande eroe. E fanno scorrere fiumi di lacrime. Eddie Vedder ci sa fare.
La regia di Penn, quindi, presa da sola, è esemplare e fa il suo lavoro. Lo fa persino bene, pur essendo ben conscia di aver compiuto una scelta che è spettacolo: la morte giovane e stolta ripaga in termini di pubblico e polemiche. Fallisce invece, ecco la sbavatura alla quale mi riferivo, quando si tratta di inscenare le motivazioni, i tristi eventi familiari, alla base della scelta di vita del protagonista: la violenza domestica che regnava in casa McCandless. Le scene, sottoforma di flashback, sono poco incisive e scorrono placide, tant’è che ci si interroga sul fatto se questo Chris non fosse davvero troppo sensibile di suo, per arrivare a reagire così, oppure se il suo passato, non tanto orribile, a conti fatti, non sia stato solo un pretesto al suo agire.

***

In ogni caso, Chris MacCandless ha compiuto una scelta personale, per di più solitaria, ovvero senza coinvolgere nessuno nel suo viaggio. E come tale la si deve considerare: una scelta. Condivisibile o meno, non importa ai fini della resa del film. Lo si può considerare un valore aggiunto. Into the Wild è un film che fa discutere, anche con toni aspri. Certe storie lo fanno. È un merito che va al di là dei singoli.
Non concordo però nel considerare, come molti, essenziale il cambiamento che egli apportò alla sua esistenza. Si dice e si legge spesso: lui ha fatto un tentativo di cambiare le cose, l’importante è questo.
Io dico che il cambiamento, come sempre, è incidentale. Il risultato finale è ciò che conta, sempre. Ciò che si è fatto per arrivarci è interessante analizzarlo dopo, a conti fatti. Qui il risultato di tale cambiamento è l’autodistruzione, inutile. Ad altri asceti, magari un po’ più saggi, meno arroganti e meno avventati di lui, e magari anche più fortunati, è andata meglio. Quindi, maestro di non-vita, secondo me. Rispettabile finché si vuole, ma anche criticabile, soprattutto per la fretta che lo ossessionava e l’arroganza dimostrata.
Prendersi un altro paio d’anni per organizzare il soggiorno in Alaska, ad esempio, non sarebbe stata una cattiva idea. E a quest’ora, magari, sarebbe ancora qui per raccontarlo e si starebbe intascando, giustamente, una percentuale sugli incassi del film sulla sua vita. O magari, conoscendolo, no. Però quello lì è il Chris di vent’anni, solo lui abbiamo potuto vedere. Ora ne avrebbe avuti il doppio. E il tempo cambia le persone.
Into the Wild è un film che spiazza. Fa sognare l’incoscienza di una scelta che, alla fine, stupida o giusta che sia, pochi farebbero davvero (io non lo farei, a meno che non ci fossi costretto, e non nei modi e nei termini in cui Chris l’ha fatta), e offre grande cinema. Emile Hirsch faccia a faccia con un orso che è dieci volte più grande di lui, di questo parliamo. Kristen Stewart che sa persino recitare, anche se al suo posto ci doveva essere Amber Heard (per davvero) e grande, grandissima musica su immagini vivide.
Il resto, è quello che capita a tutti: la vita.

Bonus track by Eddie Vedder, qui.

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    • 13 anni ago

    […] Visita il sito bookandnegative oppure iscriviti al feed Leggi l'articolo completo su AlterVista […]

    • 13 anni ago

    A me il film è piaciuto e anche molto, ma per quanto riguarda la mitizzazione del protagonista, concordo più o meno con quanto sostieni tu.
    Non conosco la storia reale di McAndless, ho solo visto il film, quindi può darsi che io dica castronerie, ma oltre allo spirito di avventura ci sia poco altro che mi attira di tutta la vicenda.
    Se vuoi fare qualcosa falla, ma falla bene; ci pensa già la vita a mandarti all’aria i piani, se ti butti a caso senza organizzarti ti sfracelli. Tanto più che non si fa problemi a dispensare saggezza a chiunque incontri, ma quando si tratta di ricevere consigli da quelle stesse persone con cui ha condiviso parte del suo viaggio, pare quasi disprezzarli.
    Sorvoliamo poi sul “maestro di vita”: uno che va ad ammazzarsi, essenzialmente per negligenza, DA SOLO ed in un posto sperduto di cui non sa NIENTE ha più da imparare che da insegnare. Tanto più che, vado a memoria ma le parole più o meno sono queste, verso la fine conclude che “non esiste felicità se non condivisa”.

      • 13 anni ago

      ‎”Happiness only real when shared.”
      Sì, la frase è quella. Ed è, com’è evidente, l’ammissione del fallimento. Mentre da molti fan è stata presa come una specie di motto per tutti gli idealisti che vanno a cercare il loro io sulla strada. Il che è un paradosso.
      Del film, non so della realtà, hai colto in pieno un aspetto del personaggio, pronto a fare il surfista filosofo, ma non altrettanto a ricevere consigli.

    • 13 anni ago

    Sul film: sono d’accordo. A me in linea di massima è piaciuto, al netto delle frasette finto-filosofiche che spuntano fuori ogni tanto.

    Sulle riflessioni: in realtà non me la sentirei di giudicarlo, né positivamente, né negativamente. È una scelta personale, come dici, che proprio in quanto tale andrebbe lasciata lì dov’è. Del resto non è stato lui a volere il film, non ha ostentato scelta alcuna, e parlarne senza in realtà conoscere nulla di quella persona lo trovo campato in aria.
    Ma del resto capisco che parlare del film, significhi anche parlare del suo protagonista e limitatamente allo stesso, alla sua versione filmica, allora mi trovo a condividere la tua posizione, specie quando critichi, giustamente, frasi sciocche e superficiali come “maestro di vita”.

      • 13 anni ago

      Ma infatti il problema delle discussioni è che nascono tutte postume, basandosi sulla narrazione dei fatti piuttosto che sulla realtà oggettiva. E la narrazione è sempre abbellita, anche quando tratta eventi tragici.
      In questo caso specifico, credo sia difficile scindere realtà e personaggio proprio per il fatto che Penn si è impegnato a ricostruire il tutto in modo maniacale. Ciò ha favorito l’identificazione tra realtà e film, con tutte le ovvie conseguenze.

    • 13 anni ago

    Se fosse andato in un’isola del pacifico a mangiare noci di cocco (be’, magari anche a prendersi la malaria…) forse se la sarebbe cavata… Oppure si poteva arrampicare sulle Montagne Rocciose e scendere quando si era rotto le palle. Non conoscendo la vicenda, non so davvero perché la scelta dovesse essere così pericolosa oltre che solitaria. Capisco la scelta di mollare tutto (per un po’, non per sempre), non capisco quella di mettersi in pericolo in quel modo.
    Del resto c’è chi va sulle macchine da corsa, o si lancia con il paracadute, e si ammazza lo stesso, e chi siamo noi per impedirlo?

      • 13 anni ago

      Ma infatti nessuno sta dicendo questo, mi pare. Solo che è folle mitizzarlo, allo stesso tempo. ^^
      Così com’è folle andare fin lassù senza mezzi e preparazione.

    • 13 anni ago

    Ok, è un post che stavo aspettando. 🙂

    Su Moon Base sembravo essere una voce tendenzialmente fuori dal coro, ieri. E invece ci sono parecchi punti su cui mi trovo d’accordo, in questa recensione. Nel senso, il film è ben realizzato, su questo non c’è dubbio e anche se si “odia” il personaggio Christopher, non si può negare che Penn, Vedder e Hirsch abbiano fatto un lavoro con i controfiocchi (per non dire altro!). Per dire, a me le sbavature dei flashback mi sono passate facilmente in secondo piano, proprio perché il resto è tecnicamente eccelso. Fotografia e musiche in primis. Ed è uno spettacolo questo film, hai ragione, e mi fa piacere poter dire che è il mio film preferito, nonostante tutte le polemiche. 🙂

    Ma, ma, ma… A quanto pare vogliamo sbilanciarci sulla persona in sé. Io la vedo un po’ come te, nel senso che non è un totale idiota e non è nemmeno un totale saggio. Ha dosaggi variabili di idiozia, saggezza e intelligenza, come tutte le persone sul pianeta. E Penn mette in scena la vita di un ragazzo, non di un guru. Il finale è abbastanza esplicativo, in questo senso, dal momento che lui stesso in punto di morte si “ravvede” sull’estremismo dell’Alaska. Se poi gli spettatori vogliono comunque osannarlo, facciano pure.
    Io reputo che il tema del cambiamento sia comunque fondamentale, soprattutto in una società impigrita e abitudinaria come questa. Una società che non approfondisce e ingurgita passivamente tutti gli input esterni. Io credo che l’unica e sola riflessione che il film deve generare è quella del cambiamento, al di là della scelta di rifugiarsi nella natura selvaggia. Il cambiamento in generale, non necessariamente legato all’abbandono della società. Penn stesso aveva rilasciato una dichiarazione in cui diceva che i giovani non dovrebbero prendere esempio da Christopher (e te credo, se no sai che cimitero l’Alaska) bensì imparare a far viaggiare i cuori veloci come il suo. Certo, oltre alla velocità del cuore ci vuole anche la mente, per questo credo che il fulcro di tutto sia il cambiamento ragionato, consapevole. Per quello tu stesso ammetti che l’importante è il risultato, non il cambiamento in sé, ed ecco perché io aggiungo “ragionato” come aggettivo a cambiamento. Per dirla in termini della sua vicenda, era abbastanza ragionato – per quanto egoista, ovvio – finché era “on the road”. Appena ha deciso per l’Alaska è stato solo cambiamento, e non più consapevole o ragionato.

    Io se proprio devo parlare di Into the Wild non come film in sé, ma come tramite della storia di Christopher, parlerei di questo tema qui, che alla fine della fiera esula anche abbastanza dalla specifica storia di Christopher.
    E certo, come dici tu il risultato è importante, perché non ha senso cambiare se poi arrivi in un punto peggiore di prima. E si ritorna all’aggettivo “ragionato”.

    Ergo, film bellissimo su parte della vita di un ragazzo qualunque che ha deciso di fare una delle tante possibili scelte esistenti. Non c’è nulla da esaltare né da demonizzare, secondo me, solo – eventualmente – cercare di riflettere sul motore del cambiamento. E godersi fotografia e musiche di Vedder, oh sì. 🙂

    Scusa la prolissità… Credo sia il commento più lungo che abbia mai rilasciato su B&N. Per un film a cui sono così legato (perché è stato motore di miei cambiamenti personali a cui ora tengo molto!) non potevo spendere una parola di meno. 🙂

    Ciao,
    Gianluca

      • 13 anni ago

      Ecco, circa il ravvedimento finale… lì sono piuttosto perplesso. Probabilmente Penn l’ha evinto dalle testimonianze scritte di Chris. Ma che la sua morte sia stata tanto lirica e “bella” (perché dal punto di vista cinematografico è commovente) avrei qualche dubbio, così come la “redenzione” in extremis.
      Come ho detto, secondo me parlare solo del film è impossibile, quando alla base c’è una storia vera così sentita da tutti.
      La gran parte delle mie critiche deriva dai commenti folli sparsi in giro per il web, che parlano solo del sogno ce è questa vicenda e non dell’immensa tragedia umana che essa è.
      E scusa di che? (Ah, la regola non scritta delle dieci righe? Ma quella è una leggenda metropolitana. :D)

        • 13 anni ago

        Beh, ovviamente il cinema crea un filtro tra come è andata realmente e quello che vediamo sullo schermo. Quindi possiamo basarci solo su ciò che abbiamo visto, nell’ambito della discussione riguardo il film in sé. Riguardo a come è andata realmente, credo non potremmo mai saperlo, perché anche il saggio di Krakauer è filtrato dal giornalista e dalle interviste e dai documenti. Insomma, la realtà si perde nel freddo dell’Alaska. 🙂 E della realtà a ’sto punto poco mi importa, inoltre. Mi accontento del film in sé e di quello che riesce a trasmettermi: lo spettacolo che Penn ha messo in piedi è talmente bello che tutto il resto può passare tranquillamente in secondo piano, a mio avviso. 🙂

        Eh sì, le famose dieci righe! 😀

        • 13 anni ago

        Sì, è anche vero che trattandosi di spettacolo e non di documentario si tende ad abbellire le cose. Chissà.
        Però il film come lo vediamo dà un certo messaggio, giusto? Che magari è l’ennesima distorsione di ciò che è avvenuto in realtà.
        Insomma, non lo sapremo mai com’è andata la storia vera. Però il film non aiuta, in questo senso. E proprio per com’è fatto viene frainteso dalla maggior parte, che ci vede ribellione e fuga e tante cose belle.
        Insomma, bisogna guardarlo con molta freddezza per capire che, in fondo, tutta ‘sta storia è un gigantesco sbaglio, anche se il tizio là non si pente di nulla. Questo Penn lo dice a bassa voce…

        • 13 anni ago

        Infatti la cosa migliore sarebbe parlare della storia del film e separare dalla realtà, dal momento che non abbiamo gli strumenti per ricavarla. E tutte le mie considerazioni di prima infatti si basano sulla storia del film in sé e per sé, nulla di più. 🙂

        PS: Nemmeno il saggio di Krakauer va bene, ovviamente, per arrivare alla realtà. Quella è un limite asintotico a cui non arriveremo mai, qui e in tutti gli altri infiniti argomenti che trattiamo nella nostra vita (bella questa, mi sa che la riutilizzo!).

        Ciao,
        Gianluca

        • 13 anni ago

        Eh, ma infatti le mie osservazioni si basano sul film, che però narra un fatto reale. 😀
        Lo so, è un circolo vizioso.

    • 13 anni ago

    Iniziato a vedere alle 23:30 anni fa, quando mia figlia non c’era ancora. Io e mia moglie quasi non parlammo, persi nell’ammirare la mano di Penn, i paesaggi e come fai notare tu, le bellissime musiche. Questo film mi è piaciuto. Alla fine non mi curo del fatto che Chris ha sbagliato o no: questo è solo un film ispirato a lui. Quindi, e qui sono d’accordo con te, si fanno troppe chiacchiere su di lui, pretendendo di sapere come sia andata la vicenda.

      • 13 anni ago

      Be’, perché è una vicenda intrigante e estrema. Le congetture sono interessanti, ma si dovrebbe sempre ricordare che lasciano il tempo che trovano.
      Trovo sia sbagliato, invece, farne un mito o addirittura un esempio. Questo sì.

        • 13 anni ago

        Ci mancherebbe. Grosso difetto del giorno d’oggi è quello di mitizzare ogni personaggio visto sullo schermo. La cosa che più invece mi fa riflettere di questo film e su cui mi trovo d’accordo? La canzone che ho postato in Base. Quella, ispirata al pensiero di Chris, contiene delle amare verità…

        • 13 anni ago

        E mettiamola anche qui, va: http://www.youtube.com/watch?v=-egKfoghaok&feature=share

        😉

    • 13 anni ago

    Confesso che nonostante ,o forse proprio per , il parlare che se n’è fatto sopra non l’ho mai visto. Ma la storia dell’individuo che sceglie di autoesiliarsi dalla civiltà arrivando ad autodistruggersi mi ha ricordato “Mosquito coast” di Weir. Con le dovute differenze però ! Il personaggio di Ford finiva per coinvolgere la propria famiglia , McCandless ha rovinato solo se stesso.

      • 13 anni ago

      Verissimo. Paragone azzeccato.
      Sì, McCandless ha distrutto solo sé stesso. Questo non lo rende del tutto incosciente. Pensa se si fosse portato dietro la sorella… o qualcun altro.
      Per questo si può parlare di scelta e basta.

    • 13 anni ago

    “Io dico che il cambiamento, come sempre, è incidentale. Il risultato finale è ciò che conta, sempre. Ciò che si è fatto per arrivarci è interessante analizzarlo dopo, a conti fatti. Qui il risultato di tale cambiamento è l’autodistruzione, inutile. Ad altri asceti, magari un po’ più saggi, meno arroganti e meno avventati di lui, e magari anche più fortunati, è andata meglio. Quindi, maestro di non-vita, secondo me. Rispettabile finché si vuole, ma anche criticabile, soprattutto per la fretta che lo ossessionava e l’arroganza dimostrata.”

    Perchè commentare se hai scritto esattamente (e meglio) quello che penso? 🙂
    Posso giusto aggiungere che il film non lo rivedrei neanche sotto tortura…

      • 13 anni ago

      Ma il film non è brutto, anzi. Fa incazzare, questo sì. Quindi se già si disprezza il personaggio, il film non te lo fa amare di certo.
      Grazie, Max. 😉

    • 13 anni ago

    C**** Hell, bella recensione… non potevi fare meglio e te lo dico perché la penso allo stesso modo, però io non sarei riuscito a farla

      • 13 anni ago

      Grazie, Ferru.
      Spero di averla mantenuta equilibrata nei toni. È quello che ho cercato di fare. 😉

    • 13 anni ago

    Alla fine, il mio pensiero sul film coincide abbastanza col tuo. La disamina che fai del film è perfetta: un prodotto molto più distaccato di quel che si potrebbe pensare.
    Sul personaggio, sai che neanche io ho un’ altissima opinione delle sue gesta. E mi affascina molto l’ idea di un suicidio programmato e pittoresco, che alla fine è quel che il ragazzo ha messo in pratica.
    Però devo dire una cosa perché altrimenti non sarei la gne gne gne che sono: il dolore dei genitori è ben rappresentato, a mio parere e la scelta della voce fuori campo della sorella, una volta tanto, è funzionale a dare spazio anche a questo dolore.
    Ah, poi è vero che la Stewart sa anche recitare. E’ il miracolo vero del film 😀

      • 13 anni ago

      Che tra l’altro, guardando con spirito classicista, questa interpretazione metterebbe il tutto sotto un’altra luce, più credibile. Ci sono anche stati casi di suicidi altrettanto elaborati, se non di più. Per cui…
      Ma non credo che fosse così. Secondo me era solo avventato. L’ho detto, il finale non poteva essere diverso, considerando tutti gli elementi.

      La sorella è funzionale, lo ammetto. La sua voce, intendo. Alla fine anche lei narra del distacco inevitabile che si è creato col fratello.
      Ma i genitori… mmmhh, quelli no. Non li vedo, gli attori non sono in parte, secondo me.

      Per finire, la Stewart. Ammetto di non aver visto le sue interpretazioni drammatiche, però sono curioso. ^^

        • 13 anni ago

        E’ un’ ipotesi. E’ anche piena di fascino un po’ macabro. Pensare a una tale premeditazione e a una tale costruzione artificiale del suicidio spettacolare e perfetto mette il tutto sotto una prospettiva ancora più crudele. Ma forse hai ragione tu: la vicenda è stata troppo casuale, troppo “ingenua” per essere stata voluta e pensata sin dall’ inizio. Il dubbio comunque rimane.
        Sui genitori, gli si concede poco spazio, ma l’ inquadratura del padre che alla fine si dispera sul serio, mi è rimasta piuttosto impressa.
        La Stewart aveva fatto anche un film sulla biografia delle Runaways. Non era bruttissimo e lei non era malvagia.

        • 13 anni ago

        Pare che anche in Welcome to the Rileys sia stata brava. Chissà… ^^
        Sempre pensato che le saghe cinematografiche non facciano bene agli attori. 😉

        Tornando al discorso Into the Wild, uhm, sì, si parla comunque di una sola inquadratura contro tutto in film. Però, come ho detto a Davide, magari ‘sti genitori non erano un modello di virtù, per cui sarebbe stato poco aderente alla realtà mostrarli disperati.
        Trovo debole proprio la realizzazione delle scene della violenza domestica, che Chris ricorda. Sono davvero pessime. ^^

    • 13 anni ago

    Questo film non l’ho ancora visto. da tempo è nella lista di quelli che guarderò, ma non avevo ancora deciso.
    beh, mi sa che è arrivata l’ora. E non perché tu ne abbia parlato ma perché voglio capire.
    Non sono tipo da idolatrare personaggi, nemmeno quando questi hanno fatto o detto cose memorabili. Credo che ci sia sempre un qualcosa che stona, una punta di scuro che macchia tutto. In questo caso non posso giudicare le scelte di Chris, o il motivo per cui, a conti fatti, pare si sia voluto uccidere. Penso che le scelte facciano bene, in ogni caso.
    Lui ne ha fatta una. Punto.
    Da qui a considerarlo un eroe, un maestro di vita, come dicevi che altri hanno fatto, mi sembra un pò forzato. Alla base c’è per forza un sentimento duro, che spinge a vedere in lui un uomo coraggioso, quando in realtà tutti possiamo esserlo, senxza per questo rimetterci la pelle.
    Io adoro la natura, la rispetto perché ne comprendo la potenza, e mai mi sognerei di partire senza un preciso allenamento, anche solo mentale che sia…
    Beh, grazie per questa disamina. Il resto dei commenti a quando avrò visto il film. 🙂

      • 13 anni ago

      Be’, credo sia lo spirito giusto per affrontare questo film. Poi alla fine ti renderai conto.

      Però, ribadisco, secondo me non è importante la scelta.
      Io posso scegliere pure di ammazzare qualcuno. È una scelta, no? Dici che fa bene, in questo caso? Non credo.

      L’importante è quel che si realizza con tali scelte. 😉

        • 13 anni ago

        Forse mi sono spiegato male: quello che intendo, dicendo che le scelte fanno bene, è che impediscono di rimanere fermi, di fossilizzarsi su qualcosa solo per pigrizia o per poca volontà. Certo, ci sono scelte discutibili, altre invece che non possono essere accettate, ma non credo sia sbagliato, come concetto, scegliere.
        I risultati sono importanti, questo è indubbio, ma un risultato avviene solo se si da il via alla cosa, no?

        • 13 anni ago

        Sì, ora ho capito.
        Però mi sembra lo stesso, specie in questo caso (ma poi mi dirai), un criterio riduttivo. Troppe varianti, nella storia di Chris, e troppe implicazioni. E troppe cose che egli non ha voluto considerare, alla luce di prove e testimoninanze, perché la sua esperienza avesse un esito diverso. In questo caso particolare la scelta ha inficiato ogni capacità razionale.

        Vista dal punto di vista teorico, la scelta è ciò che ci tiene vivi. Quindi sì, sono d’accordo. 😉

    • 13 anni ago

    … o per lo meno la parte di vita che Penn ha deciso di mostrarti.

    È agli atti la mia sostanziale antipatia per il fenomeno McCandless – al di là della qualità del film e del saggio di Krekauer, il personaggio rimane a mio parere patetico, e la sua elezione a modello un dato inquietante.

    La spiegazione che ad idolatrare il disgraziato morto di dissenteria nella tundra, che aveva affrontato non tanto con avventatezza quanto con arroganza, sia una fetta di popolazione che la tundra l’ha vista al cinema, e come ricerca spirituale si fa un giro ai grandi magazzini funziona, ma non basta.
    Il film, il disco, il libro hanno una responsabilità – perché scelgono di mostrare le avventure del giovane ma non la disperazione dei familiari.
    Perché non giudicano, ma forniscono basi per il giudizio che sono chiaramente sbilanciate.
    Perché leggono come giovanile avventatezza quella che è, ripeto, una arroganza suicida molto middle-class, first-world, second-hand…
    Chris non capisce la natura che lo circonda, la sottovaluta, sostanzialmente per tutto il suo desiderio di partecipazione, ne è più separato in mezzo alla tundra di quanto non lo fosse nella sua cameretta.

    Certo, è molto adolescenziale, e gli adolescenti di tutte le età ci si riconosceranno – cos’è in fondo la storia di Chris se non la materializzazione della fantasia adolescenziale “… e quando morirò, tutti mi piangeranno ma sarà troppo tardi!”?
    Però la realtà è una cosa diversa.

      • 13 anni ago

      Certo, c’è da chiedersi perché un tipo così sveglio, come mostrava di essere, o come ci è stato mostrato, non si sia documentato di più prima di affrontare l’Alaska. C’è poco da fare.
      Sul dolore dei familiari, ho la mia idea, nel senso che, magari (qui sto ipotizzando), non erano proprio esemplari di focolare domestico. In ogni caso è evidente che proprio quelle dedicate alla famiglia siano le parti meno riuscite. Non credo sia intenzionale. Che motivo avrebbe avuto Penn di rilasciare un tale messaggio, dopotutto?
      Certo, alla fine quello che viene percepito è ambivalente, e per la maggior parte si tende a esaltare il fenomeno del viaggiatore solo contro tutti, che la natura se lo mangia in un boccone. Se non altro, il finale, date le basi da cui è partito, non poteva essere diverso.

        • 13 anni ago

        Ti dirò: secondo me non è neanche (o non solo) mancanza di documentazione da parte di McCandless. Non serve documentarsi per sapere che una bussola può esserti utile: lui non l’ha voluta. Citando la wikipedia inglese: “His venture into a wilderness area alone, without adequate planning, experience, preparation, or supplies, without notifying anyone and lacking emergency communication equipment, was contrary to every principle of outdoor survival and, in the eyes of many experienced outdoor enthusiasts, nearly certain to end in an undesirable way.”

        • 13 anni ago

        @Marina
        ‘Sto fatto che i commenti si restringano man mano è geniale, lo ammetto. 😀

        Tornando all’uomo, non ho approfondito la storia, ma al posto suo io una segnalazione ai ranger l’avrei comunque fatta.
        Veramente una vicenda assurda.

        • 13 anni ago

        Se anche i ranger avessero saputo che lui era lungo la pista, non so se avrebbero potuto fare qualcosa, visto che essere pirla, rischiare la vita e non avere l’equipaggiamento minimo per sopravvivere non è contro la legge. E poi, chissà se avrebbero saputo esattamente dove trovarlo…

        • 13 anni ago

        Non so, credo che per legge siano obbligati a intervenire quando la situazione oggettiva di pericolo lo impone.
        In questo senso, il fatto che non avesse equipaggiamento e la minima idea di cosa stesse facendo, credo bastasse se non altro a iniziare una ricerca a lungo raggio. ^^

        • 13 anni ago

        Che poi farebbe inquadrare tutta la sua avventura sotto una luce molto più sinistra…
        Molto interessante, quest’aspetto. Però, nel film è evidente. Cioè, ipotizzando di dover cacciare e scuoiare prede, tutta la documentazione sulla quale s’è basato il vero Chris, e di conseguenza anche quello del film, è un blocchetto per appunti con documentazioni prese da un’unica fonte, un cacciatore dilettante incontrato lungo la strada. Allucinante.

        • 13 anni ago

        Sempre da wiki inglese, parere di un ranger dell’Alaska:
        “When you consider McCandless from my perspective, you quickly see that what he did wasn’t even particularly daring, just stupid, tragic, and inconsiderate… Essentially, Chris McCandless committed suicide.”

        • 13 anni ago

        Infatti, è quello che volevo dire. Alla fine tutta la storia può essere considerata come un modo pittoresco e affascinante di suicidarsi.

        Questa è una scelta, in fin dei conti, ^^

        Tra l’altro, ho letto tra le curiosità del film, che il tipo che gli passa gli stivali, prima che Chris si addentri nella tundra, è quello vero, che davvero diede gli stivali al vero Chris.
        Ecco, mi chiedo come faccia quest’ultimo a dormire la notte, essendosene fregato di ciò che aveva visto e intuito: ovvero che quel ragazzo non sarebbe durato.

        • 13 anni ago

        Ecco, questa dev’essere una cosa “interessante” con cui convivere! O_O
        Magari si consola dicendosi che almeno è riuscito a convincerlo a prendere gli stivali, i panini e le patatine; o dicendosi che il ragazzo aveva la testa troppo dura per poterlo convincere/salvare… O forse ha solo un metro di pelo sullo stomaco?

    • 13 anni ago

    Già sai cosa penso di Chris McCandless 😉 Bella recensione! E la canzone ha sempre il suo perché 🙂

      • 13 anni ago

      Io credo che per la prima volta sia impossibile scindere film e storia reale su cui si basa. Davvero impossibile. Ecco perché fa discutere tanto.
      Thanks! 😉