“Non ho capito, quindi hai sbagliato”.
Questa qui è la sintesi dell’obiezione che, una tantum, mi viene mossa da qualche lettore.
Parliamo dello spinoso territorio dei miei eBook…
In sostanza, chi mi legge lo sa, sono avaro di spiegoni, specie quando le informazioni generiche su determinate ambientazioni sono COMUNQUE a disposizione del lettore, in comode appendici alla fine del testo, oppure nelle note esplicative. (“Eh, ma il mio eReader non legge le note, e mi scazza leggere l’Appendice.” E da me cosa diavolo vuoi?)
Alla maggior parte dei miei lettori, la mancanza di spiegoni piace.
Poi c’è il classico zoccolo duro.
Il guaio è che l’impossibilità di arrivare al significato del testo, privo com’è di pappa pronta, genera tale e tanta frustrazione, che costoro dimenticano il testo stesso e la storia, e si arrendono, sbraitando contro l’autore, io, perché reo di aver fallito la messinscena.
E non si tratta di critiche costruttive, ma solo di resa senza condizioni.
Un po’ come il “lancio del volume”. O l’accoppiata tasti shift-canc.
Uno, da scrittore o scribacchino, pensa sempre che a lui non possa mai capitare. E invece…
Non so se faccia male, una cosa così, ma bene non fa. Ci si rende solo conto che il mondo funziona in modo diverso.
Non si cresce, non si evolve, ci si illude, e si ascoltano critiche che non sono critiche, ma lamentele.
Quello che non mi spiego è che gusto si possa provare a leggere un testo che spiega tutto. Ogni dettaglio, ogni nodo del racconto, ogni significato.
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Perché di questo si tratta, del dannato gusto.
Parliamo di Marilyn e della serie Lollipop (sono due volumetti, quindi si può considerare una serie; sapete già dove sta, qua sopra, nella sezione eBook).
Non essendoci alcun riscontro oggettivo nella frase “Non ho capito, quindi hai sbagliato”, eccetto la palese incapacità di andare a fondo alle cose, trattasi di gusto, per quanto lontano dal mio.
A me, il latte alle ginocchia comincia a scendere non appena una cosa mi viene spiegata, perché preferisco arrivarci da solo. Ad altri lo stesso latte arriva quando s’imbattono nel non-detto.
Poco importa che l’autore, sempre io, abbia concepito la storia in quel modo, seguendo un ragionamento preciso, ovvero tenendo conto di:
a) lo stato mentale del personaggio
b) la terza persona limitata
c) il realismo dell’ambientazione, che giustifica il fatto che i personaggi non abbiano necessità di spiegarsi vicendevolmente il concetto di teleforce, perché quest’ultima permea la loro realtà quotidiana. Per fare un esempio, il contrario corrisponderebbe, nel nostro mondo, a quotidiani e oziosi dibattiti sull’esistenza e il funzionamento dell’energia elettrica
(Es: “Hai visto, una lampadina accesa!”
“Eh… tutto merito di Edison, o magari Tesla. Sai, hanno scoperto, alla fine dell’Ottocento che…”)
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No, ditemi se davvero un dialogo simile aggiunge corpo e struttura al testo, in tutta sincerità.
A me, l’esempio di cui sopra sembra una solenne stronzata.
Ma per alcuni, a quanto pare, è imprescindibile per la comprensione della storia, ma soprattutto per il godimento della stessa. Il tutto riassumibile nel motto: No Spiegone No Party.
Wow.
E il bello è che si arriva anche a dirmi che “ok, meglio se smetti di scrivere”. E tutto ciò non perché commetta errori di grammatica, non sappia costruire un intreccio, o perché i miei personaggi manchino di spessore, ma solo perché non spiego le cose (per la bontà stessa dell’ambientazione, aggiungerei io, ma chi me se ‘ncu*a?).
Il paradosso è che tutto questo, oltre a farmi incazzare, mi dà una forza inusitata.
Lungi dall’abbattermi.
Ma non divaghiamo. Ditemi, voi che ne pensate?