Siamo in vena di Top Five, eh?
Un ringraziamento va allo Sciamano e a Alex McNab che con le loro classifiche mi sono stati d’ispirazione.
Questa, tuttavia, è la mia top five assoluta, dei miei film preferiti di ogni tempo.
Guarda caso, come ben presto scoprirete, sono tutti film di fantascienza. Un caso? Non lo so.
Quello che so è che ciascuno dei seguenti capolavori ha soddisfatto pienamente le mie aspettative e i miei gusti di spettatore e mi ha fatto agognare di poter un giorno arrivare a tali vette di maestria nel raccontare storie.
E’ bene precisare che il primo posto è da considerarsi assoluto, mentre gli altri quattro meriterebbero tutti di classificarsi secondi a parimerito. Sappiate, quindi, che tra il quinto e il secondo posto non c’è molta differenza nel mio cuore.
V – The Thing di John Carpenter (1982)
Un cane viene inseguito da un elicottero tra i ghiacchi dell’Antartide. Esso non è ciò che sembra… MacReady (Kurt Russell) parte col suo elicottero per scoprire cosa è accaduto al campo di ricerca norvegese da cui tutto sembra essere iniziato.
Panorami di distese innevate e ancestrali, il fascino dell’ignoto e del remoto passato. La scoperta dell’intelligenza aliena e dell’orrore che essa porta con sé. Il sospetto che si insinua tra i protagonisti, a mano a mano sostituiti e imitati dalla Cosa che, in tal modo e in forme viscide e tentacolari da incubo lovecraftiano, cerca di sopravvivere. Momenti di tensione irripetibili, unità di narrazione e di sviluppo. Apoteosi della cultura del sospetto fino alla totale autodistruzione in un susseguirsi di combattimenti e colpi di scena, con un finale che lascia ben poche speranze e che risulta essere brutale e magico allo stesso tempo, come le fiamme che scaldano, non si sa per quanto ancora, le ultime ore di vita dei due superstiti.
IV – Aliens di James Cameron (1986)
Sequel capolavoro del primo episodio. Ripley, sopravvissuta al primo contatto e giunta nel futuro a causa della deriva nello spazio profondo della sua navicella e dell’ipersonno, torna con una squadra di marines spaziali sullo stesso pianeta da cui era fuggita, nel frattempo colonizzato, per scoprire chi o cosa ha causato l’interruzione delle comunicazioni con la Terra. Azione e combattimento, adrenalina e sopravvivenza attraverso corridoi metallici claustrofobici e segnati dal recente massacro. Gli alieni sono decine, forti, aggressivi e implacabili. Personaggi splendidi, tra cui spicca, oltre che Sigourney Weaver (Ellen Ripley), Paul Reiser (Carter Burke), attore comico prestato alla fantascienza che dà vita al personaggio più viscido, codardo e doppiogiochista che si sia mai visto. Eccezionale. Il film è una lotta all’ultimo sangue tra essere umano e alieno, tra due regine, Ripley, donna forte e inarrendevole e la Regina aliena, bella e terribile col suo cranio oblungo e la doppia bocca irta di zanne acuminate. Superlativa la scena della scoperta dell’alveare con le decine di uova in attesa di schiudersi…
III – Blade Runner di Ridley Scott, Director’s Cut (1982)
Rick Deckard (Harrison Ford) è un Blade Runner, addetto al ritiro dei Nexus 6, replicanti estremamente sofisticati, moderni golem ribellatisi alla loro squallida esistenza che li rende, di fatto, schiavi e sostituti degli esseri umani nei campi più disparati. La Tyrrel corporation ha creato esseri artificiali donando loro una coscienza, una vita destinata, però, ad avere una durata limitata, costringendo queste nuove creature a vivere nel terrore di sapere che tutto ciò che essi rappresentano è destinato a scomparire insieme a loro.
Indimenticabili le panoramiche sulla megalopoli losangelina, oscurata da smog e fitta pioggia, sulla cui distesa, enormi e improvvisi sfoghi di fuoco illuminano la notte resa arancione dalle migliaia di luci.
L’amore tra uomo e macchina, tra diverse intelligenze seppure simili, la coscienza, il confine dell’esistenza, il confronto del figlio, Roy Batty (Rutger Hauer), col proprio padre, l’assassinio e il perdono in questo enorme affresco filosofico-fantascientifico accompagnato dalle melodie struggenti di Vangelis.
II – Alien di Ridley Scott (1979)
Indimenticabile film sul primo contatto. Una nave spaziale mineraria atterra su una pianeta freddo e roccioso per investigare sulla sorgente di una comunicazione radio di origine sconosciuta. L’equipaggio entrerà in contatto con un organismo alieno che, attaccatosi al viso di uno di loro, germinerà nello stesso per dare vita ad un incubo di artigli e zanne.
L’alieno è il vero protagonista del film. Ruba la scena persino a Sigourney Weaver (Ellen Ripley) che pure è spettacolare, esso divora tutti gli altri, sia letteralmente che metaforicamente, muovendosi al buio, nei condotti di aerazione, attraverso i bip inquietanti che si lascia dietro sui radar fai da te, approntati per individuarlo, cacciando i superstiti in un gioco al massacro da antologia. I corridoi della Nostromo, la nave mineraria, sembrano prendere vita illuminati debolemente dalle torce e dai faretti dei protagonisti, cacciati e costretti per la loro stessa sopravvivenza ad inseguire quella creatura pura e perfetta, non offuscata da illusioni di moralità che è l’alieno, creato su design di H.R. Giger che lo ricoprì di allusioni sessuali e alla cui animazione partecipò anche il nostro Carlo Rambaldi.
Magistrale la sequenza in cui la testa di Ash (Ian Holm), il sintetico andato in avaria, toglie la speranza ai superstiti e filosofeggia sul significato dell’esistenza, in un mare di liquido bianchiccio.
I – 2001: A Space Odyssey di Stanley Kubrick (1968)
Dal mio articolo su Stanley Kubrick: un viaggio nelle immagini, alcune delle quali di impatto incredibile, altre generate da viaggi lisergici, nella storia, nella violenza insita nell’essere umano e nella costante ricerca di autodeterminarsi, superando i propri limiti. Concepito a partire dal 1966 e distribuito un anno prima dello sbarco sulla Luna, costato dieci milioni di dollari dell’epoca, di cui sei per gli effetti speciali, per mostrare la nascita della “coscienza” nella scimmia-uomo, ad opera del Monolito, e la sua evoluzione fino alla civiltà spaziale, attraverso lo stacco allo stesso tempo più spettacolare e assoluto della storia del cinema.
Il Monolito. Quel solido opaco e silente, stolido e incomprensibile nella sua immobilità, fastidioso e terrificante allorché emette quel suono che è insieme solenne e terribile, che appare nella storia dell’uomo in coincidenza con i momenti più importanti nella sua evoluzione, dalla preistoria allo spazio e oltre l’infinito fino a che questi non trascende la sua stessa mortalità, fatta di carne e sangue, e si trasfigura in un feto cosmico che è tutt’uno con l’essenza dell’universo.
E quest’odissea è quasi completamente mostrata attraverso immagini mute, perché ci si trova nel vuoto e nel silenzio dello spazio profondo, intorno al pianeta Giove, a bordo di un’astronave dove si svolge la lotta all’ultimo sangue tra l’uomo, ai confini del proprio essere, e l’intelligenza artificiale fin troppo umana, invidiosa, paranoica e vendicativa, Hal 9000, il supercalcolatore il cui nome rappresenta la fusione dei due principali metodi di conoscenza e comunicazione, l’euristico (heuristic) e l’algoritmico (algorithmic). Nelle quasi tre ore di durata, le parti dialogate si riducono ad una quarantina di minuti proprio perché ritenute superflue e meramente accessorie allo scopo. La riflessione sul superamento della natura umana, causato più che favorito dal monolito (di volta in volta interpretato come essenza divina, intelligenza aliena), incarnazione stessa della volontà dell’uomo di oltrepassare sé stesso, seguendo in ciò gli scritti di Friedrich Wilhelm Nietzsche particolarmente graditi al regista durante la sua giovinezza, è pienamente espressa dalla tacita filosofia che trasuda da sequenze di immagini perfette.
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