Pur non appartenendo al genere cinematografico che preferisco, è con divertimento che mi accingo a scrivere la recensione di You’re Next, film di Adam Wingard del 2011, presentato all’epoca solo in un paio di festival del cinema, e che ha aspettato l’Agosto del 2013 per una distribuzione su scala internazionale.
Nel cast figurano Joe Swamberg, che ha diretto il secondo episodio in ordine di preferenza personale di VHS (2012) e uno dei miei registi preferiti, Ti West, che invidio da matti.
Ebbene, dico subito che a Ti West è riservato un cameo, non vi aspettate di vederlo scorazzare per novanta minuti. Il suo personaggio è un filmaker, c’è quindi una nota autobiografica. Ma finisce lì. Curiosamente, quasi si fossero messi d’accordo, il film comincia a piacere proprio all’uscita di scena di West, come fosse un tasto d’avvio, in un crescendo che mi ha divertito fino alla fine.
E, per spazzare il campo da facili dubbi, faccio notare che il trailer è, come sempre, ingannevole. E almeno in questo caso non credo renda giustizia al film, date le false aspettative che crea. O magari svolge persino il ruolo contrario, ovvero crea aspettative nei patiti di un certo tipo di visioni e poi le spiazza creando malcontento.
Dopo la visione del trailer mi aspettavo minimo un gruppo di eco-ambientalisti psicotici, mascherati come animali, che davano la caccia ai ricchi bastardi capitalisti, così, per applicare il loro senso bacato di giustizia equa.
Ma no, non è proprio così la storia.
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Se devo fare un paragone, mi ricorda per situazioni e atmosfera, un altro bel filmetto indipendente di cui ho parlato mesi fa: The Day.
Solo che, naturalmente, non c’è l’apocalisse, né trattasi di vero e proprio assedio a opera di bande di pazzoidi. Quindi il sottogenere a cui si richiama, l’home invasion, mi sembra la distinzione più appropriata, se siete fissati con questo genere di etichettature.
Sia come sia, You’re Next mi ha appassionato per poche ragioni, tutte validissime, dal mio punto di vista:
– la rinuncia a facili (e in quanto tali, banalissimi) sottotesti
– l’assoluta mancanza di moralismi
– l’assoluta mancanza di situazioni sciocche
Vediamoli in ordine:
come dicevo, non c’è una deriva politico-ambientalista, come in realtà potrebbe sembrare dai primi minuti. È vero, ci sono degli assassini pittoreschi che massacrano gente ricca e fascista (uno dei protagonisti usa proprio l’aggettivo “fascista” per descrivere la sua famiglia, credo intendendo una sorta di matrice repubblicana o di destra), ma non tutto è come sembra.
Non sono gli anarchici che puniscono la gente cattiva e ricca solo perché di destra. C’è gente che assale altra gente, ma le ragioni sono molto, molto più pratiche. Bando all’idealismo superficiale, quindi.
La mancanza di moralismo: è una situazione di vita o di morte, bisogna agire e farlo in fretta. Nessuno spiraglio, quindi, per il temporeggiare dedicato a dilemmi morali del tipo “perché ci fanno questo e quest’altro” o se è giusto troncare la testa di un assalitore, o “che ne sarà di noi?”, oppure del tipo “ci fanno questo perché la nostra famiglia e i nostri antenati sono colpevoli di questo e quest’altro e bla bla bla…”. Dal momento in cui si dà inizio all’azione, c’è tempo solo per quest’ultima.
La mancanza di situazioni sciocche: una fra tutte, non vedrete mai in questo film una vittima che magari riesce a tramortire l’aggressore e che, anziché finirlo, fugge dandogli il tempo di riprendersi. Quando la violenza si scatena, si va fino in fondo. Applausi.
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You’re Next si regge tutto sulle spalle della carismatica protagonista Erin, intepretata da Sharni Vinson. Anche qui, non è questione di final girl, o di empowering della figura femminile. Non può esserlo in quanto, ennesima nota positiva, la sessualità marcia o sana che sia, o il prevaricare di un sesso su un altro sono del tutto assenti. Come detto poc’anzi, la violenza ha uno scopo ben preciso, che per una santa volta esula dalla componente sessuale. Per cui, il fatto che si sia deciso di incentrare l’azione su Erin è fattore determinato, a mio avviso, dalla pura estetica. Ovvero, il piacere di ritrarre una bellissima donna per valorizzare le immagini.
Per di più, posso ribaltare questo ragionamento dicendo che gli assalitori sono tutti uomini per la medesima ragione. L’imponenza fisica e le maschere grottesche a forma di animali contribuiscono a fissare un immaginario iconografico di questi killer, ponendoli innanzitutto in una dimensione estetica, facendoli diventare simboli e sradicandoli dallo stretto contesto del presente film. Non mi meraviglierei di vedere, presto o tardi, dell’artwork relativo alle loro maschere.
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Se a questa precisa scelta estetica, dunque, si aggiungono l’arguzia di certe situazioni, il film diventa una bomba a orologeria.
Non è un horror. Non in senso classico, non come The Strangers. Non presenta situazioni eccezionalmente tensive, né per quanto mi è sembrato di notare, alcun jump scare (sobbalzo meccanico). Suscita attenzione, quindi, non attraverso la semplice strategia della tensione, ma creando curiosità attraverso il gioco della sopravvivenza.
Fondamentalmente, non si è mai sicuri che Erin e gli altri sopravvivano, fino all’ultimo istante (né io vi do certezze a riguardo), complici anche un paio di colpi di scena (non di quelli che ti fanno inginocchiare al miracolo, ma che scombinano le carte a sufficienza per modificare la percezione della storia), per cui è interessante e a un certo punto catartico, condividere le strategie di questo gioco al massacro, stare a vedere i trucchetti che vengono adottati per ingannare l’avversario e gioire dell’azione, quando esplode.
Perché sì, siamo di fronte alla “morte divertente” invocata da Tarantino. È cinema, al cinema si muore per finta, per cui è giusto divertisti anche con l’ultra-violenza. Perché, se non riuscissimo più a discernere la realtà della violenza dalla finzione dello spettacolo, a quel punto il problema sarebbe soltanto nostro.
Per cui è possibile godere al meglio di questa esperienza scenica sanguinosa.
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