Ogni film ha il suo momento, oggi tocca a The Warriors (I Guerrieri della Notte), di Walter Hill. Riflettendo sui corsi e ricorsi storici e sui luoghi comuni della stampa che sembrano non abbandonarci mai, oltre al film in sé, interessantissimi risultano i retroscena, l’aneddotica, e le curiosità legate a questo cult.
La storia è classica, origina nel III secolo a.C., dall’Anabasi di Senofonte, dove diecimila mercenari spartani combattevano sulla via del ritorno in patria, dopo aver perso la battaglia.
Ma questa di The Warriors è la New York del futuro, un ipotizzato futuro distopico in cui centinaia di gang stanno per riunirsi dietro a un solo leader carismatico, Cyrus (nome non casuale), per mettere a ferro e fuoco la città: sessantamila membri di gang contro solo ventimila “elmetti”, o poliziotti.
Questo nelle intenzioni, dal momento che Cyrus viene assassinato. Dell’omicidio viene accusata una gang in particolare, I Warriors, che ora devono percorrere a ritroso la città, ben cinquanta miglia, dal Bronx fino a Coney Island, loro territorio, affrontando tutte le gang delle zone che si troveranno ad attraversare.
New York del futuro, quindi, per una storia presa dal passato, talmente efficace da essere un tema universale. Solo che all’epoca il cinema si faceva sul serio, in luoghi reali: sessanta giorni di riprese, giorno più giorno meno, dalle otto di sera alle sei della mattina dopo, in quartieri che, nottetempo, erano dominati da vere gang.
Per dirne una, tra le tante, Cyrus doveva essere interpretato da un vero esponente di una qualche gang newyorkese, per volontà di Walter Hill, probabilmente per un maggiore realismo. Attore prestato al cinema, quindi, che scomparve a pochi giorni dall’inizio delle riprese e, stando a quanto testimoniato dallo stesso Hill e da Frank Marshall, produttore esecutivo, di lui non si seppe più nulla.
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Un’altra gang, gli Homicide di Coney Island, non tolleravano che gli attori se ne andassero in giro indossando dei “colori” nella loro zona, il che costringeva il cast a svestirsi durante ogni pausa, e a eccezionali misure di sicurezza.
Durante le riprese, un’altra gang venne assunta, a cinquecento dollari al giorno, per proteggere le roulotte della troupe e tutti gli strumenti, in parte già devastati come atto di ritorsione da parte di altre bande.
Un’impresa, girare The Warriors, tanto quanto quella che si trovano ad affrontare i protagonisti sul grande schermo.
Paradosso, oppure ovvia conseguenza, come accade per i film sulla mafia, quando veri mafiosi vengono sorpresi dalle forze dell’ordine a guardare film che li ritraggono, i cinema che proiettavano The Warriors assistevano a proiezioni di massa seguite da intere gang. Capitò che due di queste avessero scelto la stessa sala, per lo spettacolo in prima serata, le conseguenze furono disastrose, con un paio di morti ammazzati.
Per la cronaca, già all’epoca scoppiarono le polemiche sulla cattiva influenza del cinema sui ragazzi, ma furono abbastanza saggi da non ritirare il film dalle sale, ma di associarvi, nelle zone considerate “a rischio”, un implementato servizio di sorveglianza.
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Interessante, poi, alla luce dei recenti fatti di cronaca, notare che film violenti e critiche rivolte alla presunta apologia di reato che tali prodotti sono accusati di suscitare sono sempre esistite. In questo caso mosse persino dallo stesso Sol Yurick, autore del romanzo da cui The Warriors è stato tratto:
Yurick expressed his disappointment in the film version and speculated that it scared some people because “it appeals to the fear of a demonic uprising by lumpen youth”, and appealed to many teenagers because it “hits a series of collective fantasies” [fonte]
Il fatto che poi piacesse al Presidente Reagan, che telefonò personalmente a Michael Beck, l’attore protagonista nel ruolo di Swan, per comunicargli il proprio gradimento, dopo una proiezione a Camp David, non fa che alimentare facili (e sterili) polemiche.
La verità è che The Warriors, a dispetto della fredda accoglienza della critica, che lo accusava di inconsistenza di dialoghi e personaggi, di contro a una messinscena accurata, tale da configurare l’intera operazione come manieristica, è divenuto un classico. Efficacissimo ancora oggi, anche a causa di quegli stessi dialoghi tanto vituperati: crudi, essenziali, volgari. Concetti non particolarmente profondi, o ricercati, quelli espressi, ma adeguati ai personaggi.
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Tema principale è il viaggio, la fuga, le avversità, l’estetica sterile, delle gang, della città, dei bassifondi. Tutto concorre a creare una realtà distopica coerente, e in verità non troppo distante dalla nostra.
Molti ritengono che il ritratto delle gang sia fin troppo colorato per essere reale, ciò non corrisponde a verità, visto che molte delle bande ritratte sono vere. I Baseball Furies, quella più celeberrima, dopo i Guerrieri, i cui membri vestono casacche da baseball e brandiscono mazze, coi volti dipinti, sono stati inventati da Walter Hill, che in essi fuse le sue ossessioni, per il baseball e per la musica dei Kiss, ma anche loro s’ispirano a una gang reale.
Realtà parallela, quindi, ma non per modo di dire, visto che questi squarci sono presenti nel nostro mondo, di recente esportati anche da noi, attraverso il fenomeno delle bande giovanili; sacche di violenza in cui concetti come onore, combattimento e territorio sono distorti. Esemplare, a questo riguardo, la scena che vede la coppia Swan/Mercy (Mercy è la ragazza che accompagna i Guerrieri lungo il tragitto) contrapposta ai giovani ricchi e “perbene” in metropolitana. Nessun dialogo, sono sufficienti poche inquadrature a stabilire, netto, il divario. Ma la scena, e il conseguente disagio, appartengono tutti a Mercy, che sì, pare provare vergogna, ma che in realtà scaccia quella visione dei quartieri alti, chiudendo gli occhi, quasi si trattasse di un incubo.
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Da qualche parte lessi qualcosa sulle sequenze di lotta, coreografate tanto da risultare meccaniche, nella loro perfezione. Meccaniche sì, ma non per questo meno realistiche o violente. L’idea di associare a esse piste sonore fu in effetti un tentativo di mitigarne la brutalità. Ma la realtà è che il tema di Barry DeVorzon è talmente caratteristico che contribuisce a scolpirle nella memoria.
Altro merito, che permette a The Warriors di sostenere il passaggio delle epoche, è che in esso, a parte l’impiego di qualche cabina telefonica, non v’è mostrata particolare tecnologia, dato che l’enfasi è posta sulle dinamiche dei personaggi, per cui, al di là di certe acconciature, che in ogni caso sono cicliche e vengono riproposte, nulla o quasi identifica il periodo temporale in cui la storia è collocata. Lo stile registico, la fotografie notturna, gli stacchi sui dettagli urbanistici, sono taglienti, come la già citata musica e i volti dei protagonisti, in un’operazione che, caso strano per Walter Hill, rinuncia agli artifizi, come i cavi per tirare gli attori e simulare l’impatto dei colpi (contraddicendo però le leggi della fisica), in nome di un realismo estetico davvero encomiabile.
Link Utili:
Pagina Wiki di The Warriors, su NeoSeeker
The Warriors Movie Site (con informazioni dettagliate, e relativi simboli, di tutte le gang del film)
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