Caratteristica fondamentale dei film, a differenza dei libri, è che impiegano un intervallo di tempo decisamente minore per essere considerati dei classici. Un film è in grado di divenire “classico” nell’arco di dieci, vent’anni. Spesso a un libro occorre il doppio del tempo o dieci volte tanto. Complice, sicuramente, il potere di diffusione e la velocità d’assimilazione che contraddistinguono la celluloide.
Così sto qui a parlarvi di Stargate come se si trattasse di una vecchia opera da ricordare con un tocco di malinconia, pur trattandosi di un film di sedici anni fa.
Sedici anni sono un vero abisso in tempi veloci come il nostro. Gli effetti speciali all’epoca così decantati sembrano obsoleti e, dopo dieci stagioni del telefilm omonimo suo figlio, di quell’anello che ha re-inventato il teletrasporto ci sembra di conoscerne ogni centimetro, nonostante le inquadrature avare non ci abbiano concesso più di tanto.
***
Amarcord e Multimedialità
Sulla genesi di Stargate, o meglio dell’idea che ne è alla base, sussistono versioni contrastanti. La tradizione vuole che Roland Emmerich, regista e futuro catastrofista, l’abbia concepita nel lontano 1979, mentre studiava per divenire cio che oggi è; l’altra, più terrena e meno lirica, è che Emmerich, con la complicità di Dean Devlin, che collaborò alla sceneggiatura, l’abbia rubata a uno studente di egittologia che l’avrebbe sottoposta a entrambi nel 1984, completa di storia e personaggi; i due sceneggiatori si sarebbero limitati a cambiare i nomi.
Senza una buona accusa di plagio non c’è successo che possa dirsi tale. Per la cronaca, il giudice ha dato ragione a Emmerich.
Stargate fu il primo film ad usufruire della Rete con la creazione del primo sito internet ufficiale appositamente dedicato, contenente immagini esclusive, dietro le quinte e altri contenuti interattivi dell’era pre-dvd. Ma per me era il 1995, primo anno di università, internet era un lontano miraggio di una potenziale tecnologia che avrebbe distrutto il mondo attraverso la nascita di un’intelligenza artificiale. “Roba da pirati dell’etere” e per pochi altri eletti, o per chi aveva parecchio tempo da perdere. Il massimo del godimento all’epoca era X-Files o una partita a Doom II, l’Inferno sulla Terra.
Andavo dietro a qualunque prodotto di fantascienza fosse anche solo vagamente interessante. La disillusione e lo schifo erano di là da venire e il miraggio costituito dal poter vedere degli alieni incarnanti divinità egizie dalla testa di falco o di sciacallo era invitante quanto un’oasi nel deserto.
Acquistato in VHS, probabilmente sapevo già cosa aspettarmi, pur non conoscendo Roland Emmerich. Un intreccio leggero, superscontato, applicato ad un’invenzione destinata ad un successo che tuttora non conosce crisi.
***
La Porta delle Stelle
In Egitto, così dannatamente alla Indiana Jones, viene rinvenuto un cerchio costituito da una lega metallica sconosciuta. Su di esso sono incisi simboli di altrettante costellazioni, alcune delle quali sconosciute. Ben presto l’aggeggio, finito nelle mani degli Stati Uniti, si rivela essere un portale verso altri mondi, di probabile manifattura aliena, definito perciò “Stargate”, Porta delle Stelle. Il Dottor Daniel Jackson (James Spader), archeologo dalla mente “aperta”, convinto che le piramidi di Giza siano qualche migliaio di anni più vecchie di come le si dipinge, assistito da un drappello di militari comandati dal Colonnello Jonathan ‘Jack’ O’Neil, dopo essere riuscito ad attivare lo Stargate, si ritrova insieme ai militari su un pianeta desertico. Qui una ristretta comunità di esseri umani vive in schiavitù venerando il dio Ra, il dio sole degli egizi, incarnato da un alieno appartenente ad una razza morente che, grazie alla scienza di cui dispone, ha trovato il modo di ingannare la morte infestando come un parassita il corpo di un essere umano, estremamente facile da gestire e curare all’occorrenza, la cui durata biologica può essere estesa virtualmente all’infinito.
O’Neil e Jackson, che nel frattempo ha legato sentimentalmente con un’indigena, si oppongono al dio-dittatore e fomentano la ribellione.
***
Riflessioni
Sarò sincero. Tornando al 1995 devo ammettere che Stargate mi piacque. Non tanto la storia in sé, che già allora parve un tantino annacquata, quanto per le trovate e i panorami. Vedere Horus in carne e ossa, seppur dotato di elmo meccanico, con tanto di occhi luminosi e lancia laser faceva effetto. E Ra (Jaye Davidson), figura ambigua, efebo impersonante un dio, era fin troppo perfetto nel ruolo. Non guardai e per questo non vidi le innegabili leggerezze. Ma adesso sono qui, sono cresciuto e sono anche invecchiato. E sì, mi sono anche incattivito. Ragion per cui, a Emmerich non gli lascio passare più nulla.
Va bene lo Stargate, il cui velo acqueo luminoso è ancora suggestivo, il resto, però, è un’accozzaglia di imprecisioni e di situazioni tanto improbabili quanto involontariamente ridicole.
A partire dal reclutamento del Dott. Jackson il cui unico merito, al di là della profonda conoscenza della materia oggetto dei suoi studi, l’archeologia e che, comunque, ogni archeologo che si rispetti dovrebbe avere, sembra essere la sua concezione alternativa, non suffragata da prove, della storia egizia.
È davvero vergognoso pensare, poi, che l’esercito degli Stati Uniti affidi la traduzione dei geroglifici presenti sulla lastra di pietra che ricopriva lo Stargate a un inetto, incapace finanche delle basi del mestiere. La storia del “settimo simbolo”, poi, è un’offesa all’intelligenza di chiunque. Conoscendo sei simboli su sette, per di più nell’esatta sequenza, come è chiaramente affermato da più personaggi, per attivare lo Stargate, trovare il settimo, anche procedendo per esclusione, sarebbe stata questione di mezza giornata al più tardi, senza la consulenza del fanta-archeologo salvatore del mondo.
E che dire di O’Neil, militare in congedo volontario con manie suicide che se ne va in giro in mezzo al deserto con una bella maglietta nera e ritrova in uno degli abitanti la figura filiale da lui stesso distrutta? Famiglia e fantascienza, qui binomio ancora piuttosto ossuto, ma che diverrà marchio di fabbrica nella gestione delle apocalissi emmerichiane. Normalità no, eh?
Andando sempre più a fondo, spulciando archivi e pagine internet, fa specie, poi, venire a sapere del vero e proprio gioco di prestigio perpetrato da Mario Kassar, produttore esecutivo, per salvare il film. Ovvero, resosi conto, dalle impressioni ricavate dagli spettatori durante proiezioni private, che il film rasentava lo schifo più assoluto e l’intreccio, a suo dire, non aveva alcun senso, non fece altro che far parlare Ra in “ostrogoto”, in modo che fosse sottotitolato e fece aggiungere le sequenze esplicative che chiariscono alcuni degli aspetti del film. Incredibile.
Alla fin fine un prodotto che aveva tutte le potenzialità per divenire film culto, appartenente a quella fantascienza sublime che sfiora la filosofia, si è dovuto accontentare della grana grossa. La stessa grana che sta incassando da sedici anni, con estrema soddisfazione di chi l’ha concepita. Questione di punti di vista. E di gusti.
Scheda del Film su IMDb