La Stanza Bianca

Il silenzio della trincea

Giorni ricchissimi di suggestioni ed emotività, complice anche il periodo. Il maledetto Natale.
Con fatica, ti stai riavvicinando al mondo di internet e alla scrittura. Cos’è stato a tenertene lontano? Semplice: la vita.
Adesso che ti ha lasciato un po’ da parte, ci stai riprovando.
Ed è difficile. Come sempre.
Uno penserebbe che le cose, dalla pubblicazione del primo ebook professionale (fine 2013) siano diventate più facili.
Macché, nel frattempo, forse, sono persino peggiorate.
L’aggressività e il menefreghismo online aumentano secondo una spirale logaritmica (cit.). Si acuiscono, persino, in questa manciata di giorni in cui si deve essere felici.
C’è gente che passa la vita a blastare altri con commenti sagaci, c’è gente che passa la vita a mettere cuoricini a questi commenti.
Ti sei sempre chiesto come la spiegheresti ‘sta cosa, a tuo nonno, sfuggito ai campi di concentramento nazisti. Non ci riesci. Non riesci a immaginartelo.

La dignità tanto auspicata attribuita agli autori indipendenti non esiste, forse non arriverà mai.
Alla base c’è la stessa reazione sdegnata dei matematici nobili di fronte a un problema risolto su 4Chan.
È questione di sangue blu.
La soluzione è lì, in bella mostra e precisione matematica, tra battute razziste e meme sulla svastica e politicamente scorrette, ma non vale, non è educata, non ha seguito il sistema di riverenze programmate e forche caudine. Si trova in un ambiente sconveniente: la morale prima di tutto. Poi le leccate di culo ai soloni.
Nell’editoria è uguale: voi indipendenti siete i soliti lavapiatti con l’aria trasandata e pieni di acciacchi.
Non avete l’aspetto di quelli nati per creare, che non sono mai angustiati dal mal di denti o dalla diarrea, o dalle bollette da pagare.

Ci provi, fai pubblicità, accenni alla tua attività, cerchi nuovi clienti, di recuperare i vecchi, pazienti e magnifici, che nei tuoi scritti hanno visto qualcosa. O forse, soltanto, hanno provato a leggerti vincendo la propria ritrosia e, cazzo, ti hanno trovato interessante.

Qualche mio lettore storico mi segue ancora, si domanda quando arriverà il nuovo capitolo di questa o quell’altra serie.
Sono cose che fanno bene, piccoli puntini luminosi laddove non sembra esserci molto altro che cinismo, sfottò assortiti e un senso di superiorità ravvisabile in… chiunque.
Qualunque autore pubblicato, poi, si crede migliore di te, probabilmente, dall’alto della sua bassa casa editrice, non ti ha mai nemmeno letto, ma dev’essere per forza migliore di te. Lui è uno scrittore posato, dal tono moderato, che lecca culi con diplomazia, fa parte del sistema. Tu… il solito lavapiatti che dice le parolacce e non mostra alcun rispetto.
Sono problemi, quando nasci così, ti scontri per forza col mondo intero. È ineluttabile.
Se morissi, così di colpo, qualcuno ne sarebbe persino contento.
E il pubblico, gli “amici”, quelli non sono tanto meglio.
Ti fai un mazzo così per scrivere un nuovo ebook, lo curi, lo impagini, fai una copertina più che decente, lo dai addirittura alle stampe, sull’adorata carta che profuma, lo promuovi.
E l’unica reazione concreta che ottieni è la segnalazione di un refuso, in amicizia. O una battutona riguardante l’ambiguità sessuale del titolo.

Mavaffanculo.
No, seriamente. Ché se non vi fate sentire per mesi e la vostra battuta d’esordio è “Guarda che a pagina 23 c’è un refuso” avete dei problemi.

Questa è l’aria che tira.
Ma tu hai scelto la scrittura per campare. Sei un testardo arrogante. Non la mollerai, costi quel che costi.
Dei tuoi colleghi superiori per sangue blu te ne fotti, te ne sei sempre fottuto, senza nasconderlo. Senza diplomazia. E forse è quello che ha attirato la loro antipatia: non sai mostrare riverenza. Sei un ingrato, chi cazzo ti credi di essere?

Del pubblico che sfotte men che meno. Loro passano, i tuoi libri, con un po’ di fortuna, no. Le loro battute, i loro sfottò in grado di polverizzare nel tempo di un commento un lavoro di mesi fanno male, ma sono stolide e passeggere quanto loro.

Le paure s’accavallano incessanti: un misto di sfiducia e senso di incapacità.
La scrittura è difficile.
È solitaria, non è piacevole, serve a sfogarsi quando le parole scorrono. In caso contrario, ti trasforma in una pentola a pressione inesplosa.

Occorre spiegare: le scene le vedi, prima di scriverle, come fossero proiezioni, le battute recitate da attori in carne e ossa. Ne ascolti i suoni, i rumori, ne annusi gli odori, i profumi, ascolti le inflessioni delle voci. Immagini ogni singola parola e il tono con cui viene pronunciata.
Non sai se sia una cosa comune a tutti, non parli mai di scrittura con altri scrittori, la scrittura come argomento di discussione l’hai sempre trovata noiosissima, i vademecum su come scrivere e come fare a descrivere una scena di sesso senza scadere nel ridicolo anche di più. Hai sempre pensato che se qualcuno si dice scrittore, lo sa quando scrive merda o no. E se non lo sa, non è un manuale che gli aprirà la mente.

Sai solo che è uno di quei momenti, già occorsi, per carità, in cui non vedi. Lo schermo è spento.
E quindi fatichi a scrivere.
Colpa della vita, abbiamo detto.
L’atmosfera di ostilità e infelicità generalizzata che c’è là fuori non aiuta.
Occorre fatica, concentrazione, documentazione. Non è, come pensano là fuori i contatti scemi di facebook, una passeggiata o un divertimento. È un lavoro. E viene persino pagato. Grazie a Amazon. E chi altri se non il Grande Satana?
Puntuale, preciso al centesimo, domanda persino scusa, quando deve.

Caso strano, lo schermo spento non ti impedisce di fare editing. Forse, riordinare le idee dipinte dagli altri è più semplice. Non sai. Sta di fatto che ci riesci sempre, con una certa naturalezza disarmante: sistemare gli accenti, cancellare le parole di troppo che appesantiscono e tolgono eleganza, cesellare qualche aggiunta, in punta di fioretto.

Ancora ti accorgi di quanto sia difficile, in questo paese, essere anche solo guardati e riconosciuti. C’è gente che ti legge di nascosto, perché non può ammetterlo pubblicamente, altrimenti altra gente “del giro” gli toglie il saluto e le pubblicazioni. C’è gente che persino ti fa gli auguri di compleanno, di nascosto. Persino quelli.
E poi quelli che ti segnalano i refusi.

Eppure lo facciamo lo stesso. Continuiamo a scrivere.
Non hai una bella storia del cesso da raccontare. Le cose sono brutte, l’ambiente per i lupi solitari come te è anche peggio, ma continui a scrivere. Per ora navighi a vista, cestini quasi tutto quello che riesci a buttar giù. Le cose cambieranno.
A questo punto, il peggio è arrendersi, darla vinta alle orde là fuori, dimenticarsi dei lettori che ti vogliono bene.
Non succederà.
Ci ribecchiamo l’anno prossimo. Sarà una guerra, come sempre, è già in corso e non smetterà. Buona trincea e buon silenzio a tutti.

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