I problemi di questo Batman sono stati quelli di tutte le trilogie che possono contare su un bacino di appassionati: lo gne gne gne moltiplicato per centinaia di milioni. In altre parole, le fisime, il gusto personale che ogni fan applica, in coscienza o meno, al personaggio Batman. E quindi si parte con: “Sì, ma Batman avrebbe dovuto essere così o colà…”
Roba che, a pensarci, fossi stato in Nolan, mi avrebbe fatto venire le crisi. L’unico modo è fregarsene e proseguire con la propria idea di Batman, che non può essere uguale a nessuna di quelle centinaia di milioni di idee, ma deve essere organica e armonica con ciò che è venuto prima.
Eh, ma Tom Hardy non è Heath Ledger. Grazie al c…
Qualche altra palese idiozia? No? Bene, possiamo continuare.
E continuo dicendo che il Batman di Nolan mi piace. Mi è piaciuto sempre. Ho sempre trovato azzeccate atmosfera e interpreti, soprattutto. E il punto di forza è proprio il distacco impresso al fumetto, in nome di un realismo sacrosanto, che fa solo bene.
The Dark Knight Rises prosegue, per concludere, la visione di Nolan. E lo fa bene, anzi, meglio.
Ecco, l’idea che Wayne si sia nascosto, ritirato in un isolamento dal mondo, e che con lui sia scomparso anche Batman… E che quando lui ritorna, riappare anche Batman… Ecco, di fronte a certe coincidenze è impossibile non vedere. Ma prendete un ricco rampollo italico, senza fare nomi. Voi ci credereste che nel tempo libero fa il giustiziere mascherato? O vi verrebbe da ridere?
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Il momento epico, però, non è nel ritiro/ritorno di Wayne/Batman, ma nel nuovo gadget adoperato dall’Uomo Pipistrello. Un velivolo a spinta vettoriale, naturale evoluzione della Bat-mobile del primo capitolo.
Ora, se voi foste Matthew Modine, il poliziotto che è riuscito a intrappolare Batman in un vicolo, e lo vedeste fuggire via a bordo di un’astronave, e sapendo che Batman, a parte la breve parentesi a Hong Kong, ha sempre operato a Gotham City, non vi domandereste chi è che, in città, ha tanti soldi da poter comprare simili gadget? Ecco… parliamo di un film imperfetto, in cui coltellate si sarebbero potute dare verso la metà, anziché alla fine, in cui il piano diabolico di distruzione di Gotham procede in modo caotico, a seconda dei capricci di un villain mascherato, ma parliamo anche di un film validissimo. Quindi il Barbatrucco esiste, ed è stato applicato con maestria. Complimenti a Nolan, che è riuscito a rendere simpatico Bale, che ha preso una Catwoman che non voleva nessuno, Anne Hathaway, e ha tirato fuori un bellissimo personaggio (lei non è bellissima, ma il personaggio funziona eccome), che ha reso credibile una minaccia nucleare e ha messo in scena un collasso civile, che non è universale in quanto limitato al solo territorio cittadino di Gotham, che finalmente non appare sciocco, come ogni diabolico piano architettato dai villain, quanto ineluttabile.
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Anne Hathaway è troppo magra, probabilmente non sembra quella giusta per stendere un uomo con un cazzottone. Una specie di Audrey Hepburn al 30%, sulla quale è stato cucito un personaggio menefreghista, traditore, col cuore tenero, che finisce per credere all’opera di convincimento di Wayne, che non ha mai detto certe cose a una ragazza, ma che con lei, non si sa perché, forse a causa del fatto che lei ha violato la sua camera da letto, irriso le sue doti di combattente, e ha mantenuto un bel sorriso, proprio non riesce a stare zitto: “Tu sei migliore di così” è solito dirle. Forse. O forse no.
In ogni caso, impagabile è vedere Batman sottoposto a quella stessa teatralità, le uscite di scena improvvise, con la quale lui ha tormentato i nemici, ma soprattutto gli amici, Gordon (Gary Oldman) per primo. Quindi Catwoman è ottima, diversa dalle precedenti, e non spieghiamo il perché, e proprio per questo funzionante.
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Tom Hardy è Bane. Fisico massiccio, indossa una maschera che lo preserva dal dolore, ma che soprattutto lo ha reso quello che è. Interessante il punto di vista della maschera che, come dice lui stesso, dal momento in cui si indossa, ti strappa via dall’anonimato. Bane diventa qualcuno nel preciso istante in cui indossa la sua maschera. Ha imparato il dolore e la sofferenza, ha imparato la lezione sulla paura e la vendetta dalla Setta delle Ombre, come Bruce Wayne, l’ha fatta propria, l’ha rielaborata. La applica nella prosecuzione e nel compimento della volontà di Ra’s al Ghul, per distruggere Gotham.
Hardy è un ottimo attore. E riesce ad apparire tale pur essendo costretto dietro quella maschera che gli impedisce la mimica facciale. Quindi il personaggio è tale solo attraverso la fisicità e attraverso la voce. Bane è violenza, sì, ma soprattutto dialoghi, monologhi. È un piacere starlo a sentire quando impartisce lezioni a Wayne, un po’ meno quando arringa la folla allo stadio. Non è Joker e non deve esserlo. È qualcos’altro, che però viene cancellato nel finale, perdendo tutta la grandezza accumulata.
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Christian Bale è Batman/Bruce Wayne. Ammetto che in questo film l’ho adorato. Appare indebolito, depresso, apatico, aspetta che una ladra, un’avversaria alla sua altezza, lo distolga dal torpore. Il fisico, dopo gli anni trascorsi a fare il giustiziere, s’è logorato. Ha problemi al ginocchio, segni di fratture, un guerriero in pensione per sopraggiunti limiti fisici che decide di rientrare e, quando lo fa, lo fa senza aspettare, con un’arroganza che sa, soprattutto, di necessità, di fuga dalla disperazione interiore. Sì, il ricco depresso, dicono che sia un cliché, ma solo perché, a parte i soldi, quel vuoto lo conoscono in pochi. Caduta del personaggio, quindi, e rinascita, seguendo nella seconda parte del film lo schema classico, dell’eroe abbattuto che si rialza e torna. Tema universale, infallibile, arricchito da qualche colpo di scena che non guasta, ma che poteva persino essere evitato.
Trovo davvero sciocco, sulla base dei temi trattati dalla sceneggiatura, connotare questo film di una volontà politica, al solito tra destra e sinistra (perché chi si abbandona a questo stanco esercizio di retorica manca di fantasia, si sa), che non ha né può avere. Credo, invece, si faccia portatore, involontariamente o meno, del disagio a noi coevo, per combattere il quale, i discorsi di Harvey Dent del secondo capitolo, l’idealismo, potrebbero non bastare più. Infatti il mito di Harvey Dent si basa su una menzogna. Qui è la violenza che risponde alla violenza. Scontro fisico che, in qualche cultura, è persino considerato una forma di comunicazione. È giusto, sbagliato, che messaggio fornisce?
È solo una storia. Piantiamola di scaricare la responsabilità sulle storie. E guardiamoci il film.
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