Il bello di essere letti tanto è che la gente, a un certo punto, comincia a odiarti. Così, perché forse il seguito e i crediti di cui godi non sono riconosciuti, perché, da queste parti, non ci si è mai atteggiati a padre eterno della cvitica cinematogvafica. La ciliegina sulla torta è “tanto non vi leggo” gne gne gne, che io immagino pronunciato da un bambino di cinque anni, incazzato perché la mamma l’ha sculacciato.
Ecco, tutto questo è stato il terreno di prova della presente e di un’altra recensione (che troverete linkata a fine articolo), de I Mercenari 2 che, come annunciato, “non sarà letta”, ci si limiterà a odiarla.
Sapete? Ci godo, di fronte a questa storia.
Godo del fatto che ci sia gente che si rode per ciò che scrivo. Non potrebbe andare meglio.
E dunque, I Mercenari 2.
Esattamente come per il primo capitolo (il link alla recensione lo troverete sempre giù in fondo), non mi sono tramutato in una verginella isterica, nell’attesa di vederlo. Piuttosto, era la curiosità, visti i risultati del primo, di trovare conferme. E poi, c’era il fattore determinante: Arnold Schwarzenegger. Era tornato, con la battuta presa dritta dritta da Terminator che fa visita alla stazione di polizia e, ovviamente, deformata in “siamo tornati” (nel trailer) dal nostro geniale doppiaggio che, ogni qual volta può farsi sfuggire l’occasione di risultare ridicolo, fallisce.
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La prova è in quel “riposa in pezzi” (rest in pieces) pronunciato da Sly. Perché fosse divertente, visto che il gioco di parole inglese si perde, si doveva cambiare, inventarsi qualcos’altro, tutto tranne che tradurre alla lettera. Risultato: il pubblico in sala muto, laddove avrebbe dovuto sghignazzare. Complimentoni.
I Mercenari 2 non è epico, come non lo è The Avengers, del resto. Non è neppure un buon film d’azione, o uno di quelli che si dovrebbe ricordare per qualche sequenza. A dire il vero, è passata una settimana dalla visione è di sequenze me ne ricordo poche. L’impressione che ho avuto, confermata dalla pioggia di citazioni di un glorioso passato, a contarle ce n’è una ogni cinque minuti, forse di più, è che sia stato concepito come una passerella, dove neppure i protagonisti hanno voglia, o la pretesa (come certi cvitici online) di essere presi sul serio, che l’impianto narrativo risulti credibile, le scene verosimili, e via dicendo.
Bisogna considerare la realtà: abbiamo a che fare coi professionisti, non spendibili, a differenza del titolo. È gente che questo cinema l’ha creato.
Ritengo molto remota l’ipotesi che Stallone non si sia reso conto di ciò che stava facendo. Il film è volutamente esagerato, al limite della parodia. La summa di questa teoria è nell’apparizione di Chuck Norris che evade dai confini cinematografici, per piombare direttamente nel videogioco. L’epica del momento cazzaro, in cui il buon Chuck fa fuori una dozzina di nemici armati fino alla punta dei capelli e un carro armato. Tutto da solo. Perché lui lavora da solo, se un cobra reale je dà un mozzico, il cobra muore dopo cinque giorni di atroci sofferenze.
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E si scopre che è stato proprio Sly a chiedere a Chuck di spulciare nell’archivio dei Chuck Norris facts (il meme su internet), sceglierne uno e usarlo nel film.
Perché, sì, i personaggi hanno dei nomi, Barney Ross, Trench, Church, Booker, ma siamo seri… chi se li ricorda? Quel che abbiamo davanti è Stallone, Schwarzenegger, Willis e Norris. E Van Damme e Lundgren e tutti gli altri. Voglio dire, avrebbero potuto fare a meno di nomi fittizi, usare i propri e il film sarebbe stato identico, come resa e coinvolgimento.
Questi non sono personaggi di un film che danno vita a una storia, sono persone che mostrano, ancora una volta, il loro modo di fare cinema.
La storia? E chi se la ricorda più?
Però ci si ricorda di Lundgren, laureato in Chimica, un po’ suonato, che millanta di creare esplosivi grattando fosforite dalle pareti di una caverna e non riesce a fare altro che una scintilla. Ci si ricorda di Schwarzenegger che sradica la portiera della Smart con una mano, di Stallone e Van Damme che si prendono a calci. E questo è quanto, evitando di creare un elenco infinito di piccole chicche.
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Il gioco è questo, quindi. E posso anche capire chi, i soliti otaku, si è recato al cinema a vedere un film d’azione e s’è incazzato perché ha trovato, invece, il teatro dell’assurdo. Dove uomini in carne e ossa si sono messi a fare ciò che hanno sempre fatto, sopraggiunti i limiti d’età. Quasi una riedizione di The Last Action Hero.
Sono i grandi vecchi. Stanchi e tirati. Quello che fa la figura peggiore è Arnold, maltrattato dall’età e anche dal ruolo. Vederlo apparire col cappuccio in testa e sparire fino alla fine del film non è affatto bello.
Ma, in generale, tranne forse Van Damme, sembra che un po’ tutti si reggano con quel poco che hanno. Un po’ tinti, un po’ piallati, apatici, quasi in imbarazzo, come m’è sembrato Norris, rispetto alla grandezza dei loro nomi, perché devono sostenerla.
Lo dice Schwarzenegger, pardon, Trench, che loro dovrebbero stare tutti in un museo. Ebbene, questa è presa di coscienza, ma anche consapevolezza di ciò che, a tutt’oggi, essi rappresentano.
I Mercenari 2 diverte? Sì, diverte. E tanto. È un parco giochi, non un film.
Ogni altra pretesa si annienta.
E chi sono loro per farlo?
Non è questione di poterlo fare. L’hanno già fatto. Noi siamo la maggioranza silenziosa che sta a guardare, sopraffatti dalla nostalgia.
E va bene così.
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