Parliamo un po’ di regole e stili della scrittura, vi va? Dopotutto è lunedì e tra gli argomenti del giorno c’è anche la narrativa.
Scrivo con regolarità da circa sei anni, precisamente dal Novembre 2010. Con ciò intendo che, da quella data, non ho mai smesso di scrivere, mai per lunghi periodi. Tutto quello che è avvenuto prima, racconti e romanzi presi e abbandonati al loro destino, non lo metto in conto; per quanto mi riguarda non è stato scrivere, ma atteggiarsi.
Se siamo abbastanza fortunati, arriva il momento in cui la smettiamo di spararci le pose da autori maledetti, ma incompresi e cominciamo a fare sul serio.
Ovvero iniziamo a scrivere senza romanticherie di sorta.
Ovvero iniziamo a scrivere senza romanticherie di sorta.
Ok, sono fortunato.
E da sei anni, più o meno, una delle considerazioni che mi viene rivolta più spesso dai miei lettori è: “Sai, hai uno stile piuttosto criptico, che non concede distrazioni”.
“Il suo è un libro da non leggere a cervello spento”.
E io sono lì a sperare che nessun libro venga mai letto a cervello spento, ma… non divaghiamo.
“Il suo è un libro da non leggere a cervello spento”.
E io sono lì a sperare che nessun libro venga mai letto a cervello spento, ma… non divaghiamo.
Il mio secondo pensiero è: “perché mai uno dovrebbe distrarsi leggendo?”.
Vabbé, questione di gusti.
De gustibus non disputandumst. Ma anche no.
Vabbé, questione di gusti.
De gustibus non disputandumst. Ma anche no.
Per la maggior parte di costoro, tuttavia, il mio non è un difetto, fa parte, per l’appunto, del mio stile.
Per altri invece lo è. È qualcosa che penalizza i miei racconti, questa mia ferma volontà di non indulgere nella benché minima spiegazione non necessaria.
Per cui sì, dal lettore pretendo molto, ma ritengo di dare anche molto, se non altro sul fronte dell’impegno.
Ma, esattamente, cos’è questa cripticità di cui stiamo parlando e della quale, apparentemente, sono esponente di spicco?
Prendo in prestito le parole di Caroline Janice Cherry, meglio nota come C.J. Cherryh, autrice statunitense di Speculative Fiction:
“This is a very tight limited third person”.
Ovvero, una terza persona limitata molto stretta.
Altrimenti detta intense third person, terza persona intensa.
In sostanza, è una radicalizzazione della terza persona limitata.
Secondo questo stile narrativo, l’autore (e quindi anche io) scrive soltanto ciò che il personaggio nota (attraverso i suoi organi di senso) e pensa.
Essendo il Punto di Vista stretto sul personaggio, è come trovarsi dentro di lui, guardare attraverso i suoi occhi, sentire attraverso le sue orecchie e attraverso la sua pelle. Quindi ci si sofferma sovente, nelle descrizioni, su dettagli quali colori, profumi, umidità dell’aria, freddo, calore, etc…
Io vado anche oltre, visto che personalmente, quando adopero la terza persona, non apprezzo molto indulgere in riflessioni personali, ovvero nel pensiero o nella coscienza del personaggio; c’è chi lo fa per aiutare a capire il carattere del protagonista, che al contrario amo rendere palese attraverso la gestualità e addirittura attraverso le reazioni psicosomatiche.
Qual è la conseguenza di tale scelta narrativa?
La conseguenza è che il protagonista sul quale ricade il Punto di Vista della intense third person non descriverà mai la totalità delle informazioni, ma solo una piccola parte delle stesse, ovvero quei dettagli che per lui costituiscono una novità o che, per qualche ragione, catturano la sua attenzione in un determinato momento.
Un esempio pratico:
Jill, la nostra protagonista, rincasa dopo una giornata passata al laboratorio di tatuaggi dove lavora.
Entrando, visto che il Punto di Vista è strettamente limitato su di lei, Jill non si metterà mai e poi mai a descrivere la sua casa, perché la conosce già, le è familiare, è abituata a quella vista. L’unica cosa che potrebbe intrigarla, rientrando a casa, sarebbe il trovare un particolare fuori posto, o una perdita d’acqua, o una lampadina in corto circuito.
Diversamente, non c’è ragione per la quale il personaggio debba mettersi a descrivere o a pensare a ciò che per lui/lei è ovvio.
Per qualche lettore e per queste ragioni, la terza persona limitata intensa può risultare ostica, perché offre una visione interna sulla quale non solo non c’è alcun controllo, ma che è avara di chiarimenti.
Perché noi non spieghiamo nulla, a noi stessi, almeno nulla di ciò che sappiamo già.
Il che implica, tornando alla nostra Jill, che nel descrivere le azioni del personaggio, l’autore (ovvero anche io) eviterà coscientemente, nel mostrare l’ingresso di Jill nel proprio appartamento, di fornire dettagli superflui, ma che magari potrebbero essere d’aiuto al lettore per meglio inquadrare la situazione e la stessa protagonista.
Chiaro?
Portata alle estreme conseguenze, questa tecnica sfiora lo stream of consciousness, il flusso di coscienza, che dà spazio libero alla confusione magmatica, al continuo accavallamento tra sensazioni percepite e pensieri.
Ma questa è un’altra storia…