Underground

Il viaggio generazionale

Sto leggendo Aurora, di Kim Stanley Robinson, l’edizione inglese, perché non esiste traduzione italiana.
Trovo da sempre il soggetto, il viaggio interplanetario, uno dei più affascinanti; probabilmente esso costituirà il futuro della nostra specie. Se questo futuro sarà un viaggio di piacere, o una fuga per la sopravvivenza, spetta solo a noi, alle nostre azioni oggi.
Non vi parlerò del libro, ché l’ho appena iniziato. Ma il solo fatto di averlo acquistato mi ha spinto a leggere articoli in materia e ad aggiornarmi sulla questione del viaggio spaziale.

L’Em-Drive

Qualche tempo fa si parlava tanto, almeno nei circoli di appassionati, di EmDrive, il motore progettato dalla NASA che, per riassumere, violando un paio di leggi della fisica avrebbe permesso di accorciare “ragionevolmente” la durata dei viaggi spaziali: la luna si sarebbe raggiunta in una manciata di giorni, Marte in circa tre mesi.
Le sperimentazioni hanno dato esito così così, se non proprio negativo. C’è ancora da mettere a punto qualcosa, e forse noi non saremo tra i fortunati che testimonieranno il “viaggio veloce”.

Molti, i più suscettibili, si sono arresi, ma hanno continuato a ipotizzare un futuro oltre la Terra, se non altro perché il clima sta chiedendo, velocemente, di saldare i nostri debiti con l’ecosistema. Abbandonare il pianeta, quindi, optando per una poco gloriosa fuga, sembra comunque un’alternativa preferibile all’estinzione.
E si è tornati a parlare, non potendo accelerare la velocità del viaggio, delle astronavi-seme, o astronavi generazionali. Gigantesche arche contenenti il nostro ecosistema, destinate a fluttuare nello spazio per centinaia di anni, puntate verso quei pianeti, sempre più numerosi, oltre il sistema solare, e che si vagheggia possano essere la nostra nuova casa.
Idea romantica e che, anche a un profano quale io sono, si presenta in tutta la sua estrema difficoltà.
Materia per fantascienza, soprattutto, per sognare in grande, o per farsi venire i brividi.
Pensando a un viaggio interplanetario che dura centinaia di anni, la domanda che sorge spontanea è:

Cosa può andare storto?

Oltre al già citato Aurora, posso ricordare Coyote (2002, di Allen Steele), e il film Passengers (2016, Morten Tyldum), e ancora Pandorum (2009). Tutti film concernenti il tema del viaggio e delle astronavi generazionali

Per rispondere alla domanda: tutto.
Immaginate soltanto una lista con le variabili più comuni:

– una contaminazione batterica. Del cibo o dell’acqua, che assottiglia le scorte.
– un malfunzionamento meccanico, la rottura di qualche componente.
– l’impatto accidentale con uno o più asteroidi, anche di piccole dimensioni.
– l’impatto sull’organismo umano dell’assenza di gravità, col seguente insorgere di malattie poco note o mai diagnosticate prima.
– il sorgere di psicosi. Perché la consapevolezza di essere in un bozzolo, circondati da miliardi di miliardi di chilometri di nulla, può devastare qualunque sistema nervoso.

E questi sono solo una minima parte degli inconvenienti che possono presentarsi durante il viaggio. Se pensiamo poi che il suddetto viaggio dura centinaia di anni, capiamo bene quanto, a un livello di mero calcolo delle probabilità, sia difficile la progettazione, e la realizzazione di una simile impresa.
Talmente tanto che la fantascienza, oltre che gli stessi scienziati, si sta dimostrando abbastanza pessimista, a riguardo.
E se proprio vogliamo insistere, ammettendo di essere riusciti, chissà come, a far fronte ai milioni di imprevisti occorsi durante lo spostamento, e di aver messo piede su un nuovo mondo… perché non parliamo di adattamento?
Una volta arrivati a destinazione, dovremmo:

– abituarci al nuovo clima. Sperando che sia ospitale. Perché, che so, già convivere, ad esempio, con un vento costante a 120 km orari sarebbe, come dire, frustrante.
– abituarci a un nuovo intervallo notte-giorno, ché di sicuro la stella che diventerà il nostro nuovo Sole avrà “abitudini” diverse.
– abituarci a un nuovo ecosistema. Quindi sperimentare nuove infezioni, nuove allergie, e portarne di nuove, questa volta “nostre”, sul nuovo mondo, sperando di non distruggerci a vicenda con qualche virus.

Anche qui, è solo un’infinitesima parte delle problematiche che comporta l’entrare in contatto con un ambiente non solo inesplorato, ma del tutto sconosciuto.
Siamo lontani anni luce, se mi perdonate il gioco di parole, da un viaggio all’insegna della speranza e della rilassatezza, una sorta di “villeggiatura spaziale”.
E infine, ultimo ma non ultimo, dopo aver assicurato la sopravvivenza genetica, dovremmo occuparci di salvare la nostra cultura. Ammettendo che i supporti di immagazzinamento dati possano raccogliere tutto il nostro scibile, tuttò ciò che la nostra specie ha prodotto, bisognerebbe proteggere questo patrimonio quanto ci impegneremmo per salvare semi e specie animali.
In caso di disastro, oltre all’immane perdita culturale, ci ritroveremmo catapultati su un mondo alieno sostanzialmente privi della conoscenza necessaria per sopravvivere in quanto società ordinata e privi di identità. Senza passato, senza storia, senza coscienza di ciò che siamo e siamo stati. Destinati, quindi, a ripetere gli stessi errori del passato.
La società umana si riassesterebbe, come ha sempre fatto, riesumando brandelli di informazioni e fornendo a questi ultimi valenza di mito, o di religione, creerebbe intorno a questi dettagli inintellegibili nuove cosmogonie, e ricomincerebbe ad evolvere, perdendosi per strada millenni di progresso scientifico e tecnologico, oltre che morale.

Come viene suggerito in Reign of Fire (2002), Guerre Stellari diventerebbe la nostra nuova epica, in luogo di Iliade e Odissea.
Oppure, in Coyote, un poema scritto sui muri dell’astronave, da uno che s’è svegliato in anticipo, diventerebbe la nostra nuova religione.
La sirena di Starbucks la nostra nuova Madre divina.
Il logo di una compagnia petrolifera il simbolo del nostro nuovo inferno, quello che ha condannato il nostro pianeta natale.

Forse è un po ‘presto. Forse non è ancora trascorso abbastanza tempo. Ma quegli altri mondi, che ci promettono indicibili opportunità, ci chiamano.
Silenziosamente, orbitano attorno al Sole, in attesa. (Carl Sagan)

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