Underground

Il comune senso della droga

Scrivo fantascienza. Fantascienza distopica. Che è un modo riduttivo di descrivere certe idee con cui contamino la mia narrativa.
Ma in qualche maniera bisogna catalogarle, queste idee, giusto?
Per cui, ci proviamo. La mia idea di distopia non deriva da una generale sfiducia nel genere umano.
Anzi, io credo molto nella nostra specie, e nel futuro che l’attende. Ciò non significa che le cose debbano andare sempre bene per noi. I danni al nostro ecosistema siamo stati noi a causarli, mica altri. La mia positività riguarda la fiducia in un esito positivo della situazione a lungo termine.

 

Quindi, ok, fantascienza distopica, ma con ampi margini di miglioramento. Non un quadro negativo perché sì, dove tutti sono infelici e vivono in un dramma senza via d’uscita.
Dobbiamo tenerci stretta la bellezza, dice George Miller, e io sono d’accordo con lui.
Si può essere ottimisti persino di fronte a un’isola di rifiuti che galleggia nel Pacifico, pensando a come distruggerla e non lasciandosi deprimere da essa.
Mi seguite?
Questo tipo di fantascienza mi diverte non tanto dal punto di vista della speculazione scientifica, ma sociale, o meglio dei cambiamenti che attraverseranno la nostra società alle prese con il costante progresso scientifico.
Parliamo di cambiamenti tali da mutare per sempre il nostro modo di vivere, la nostra percezione della moralità, che non è giusta o sbagliata, è solo consuetudinaria.

Prendete l’intelligenza artificiale, la creazione di robot – in tutto e per tutto umani – la cui destinazione d’uso sarà “l’intrattenimento” sessuale. Credete che la nostra società non ne risulterà affetta, da un simile cambiamento?

A pensarci, è la consuetudine l’unica cosa che pretende di dare ritmo e senso alle nostre esistenze. E la consuetudine, per definizione, non è immutabile. Esiste per durare, sì, ma può essere cambiata.
Certe volte deve esserlo.
Pensiamo alla percezione che abbiamo della nostra sfera sessuale, a quanto essa sia mutata negli ultimi 30 anni, a quanto ancora i consuetudinari si attacchino a norme di valori del tutto arbitrarie, ma rese in qualche modo “migliori” di altre solo e soltanto dal loro impiego quotidiano…

E poi, l’uso delle droghe. Sì, no, forse, legalizziamo certe sostanze. Alcune sostanze non sono nemmeno illegali, solo perché l’organo istituzionale addetto al controllo non sa che esistono…
Un rapporto complesso, abbiamo con le droghe, dagli albori della civiltà. E tutto fa supporre che continueremo ad averlo.
Ok, se dovessi speculare su un’ambientazione distopica, dovrei rompere gli schemi, sforzarmi di immaginare come, nella società futura, sarà percepito l’impiego di sostanze stupefacenti.
Abbiamo a che fare con una società sempre più interconnessa, dove la naturale (e locale, ovvero radicata al territorio di provenienza) morale tradizionale viene sgretolata dall’arrivo di informazioni e nuovi modi di vivere distanti migliaia di chilometri; dove, ad esempio, valori che noi consideriamo istituzionali non vengono neppure presi in considerazione. O vengono aspramente messi in discussione, in nome del cambiamento.

Come potrebbe essere il nostro rapporto con le droghe, in futuro? Potremmo ipotizzare dei corsi online, sponsorizzati dal Governo, dove insegnanti sperimentino su di sé ogni tipo di sostanza stupefacente (il cui elenco, specie per ciò che concerne le molecole sintetiche, viene aggiornato di continuo), dove i loro parametri vitali siano costantemente monitorati, dove le cavie descrivano dettagliatamente le sensazioni che seguono l’assunzione, sia quelle dolorose che quelle piacevoli, il tutto accompagnato da una musichetta allegra in sottofondo, e orchestrato con la malvagia sapienza e perfetta cadenza di un programma televisivo di informazione, sapienti stacchi di regia, sceneggiatura, scaletta e pianificazione al millesimo di secondo, tutto l’occorrente per mettere in piedi uno spettacolo – dicesi educativo – il più possibile professionale.
Magari accade che, al cinquantesimo episodio, uno si affezioni pure ai conduttori, ovviamente una coppia di giovanissimi, un ragazzo e una ragazza, che fraternizzi con loro, voglia sapere come stanno, dopo un’intera stagione passata a assumere tutte le sostanze più incredibili.

Quanto potrebbe cambiare, la consapevolezza dell’esistenza di un simile show, la percezione che abbiamo della nostra realtà?
Ci farebbe dubitare di tutta una serie di valori che, automaticamente, consideriamo inviolabili, perché assolutamente consuetudinari. Sono i valori con cui siamo cresciuti.

Ebbene, dovrei fare uno sforzo d’immaginazione molto più intenso, perché la mia idea sarebbe antica. Mi viene segnalato che questo show esiste già.
Si chiama Drugslab. Va in onda su Youtube, è olandese, è condotto da una coppia di giovanissimi, Nellie e Rens. E, come avverte la didascalia, NON vuole promuovere l’utilizzo di droghe.
Costoro illustrano, di puntata in puntata e linguaggio il più possibile alla portata di tutti, la sostanza che stanno per provare e, una volta assunta, descrivono per filo e per segno le loro sensazioni a riguardo. Ah, alle spalle, sul muro, un monitor ci tiene aggiornati su pulsazioni e temperatura corporea dei nostri protagonisti, valori che subiscono oscillazioni vertiginose.
Lo scopo?
Educativo, ovviamente.

Massì, parliamo oggi di MDMA.

Anche se, in qualche maniera, l’educazione frantuma la nostra percezione del quotidiano, modifica i nostri tabù, rendendoli in qualche maniera, anch’essi, consuetudinari, spazzando via quella patina di timore misto a imbarazzo, anche solo nel nominare certe cose.
Che sia giusto o sbagliato… chissà. Forse diventerà consuetudine e, come sempre, sarà superata.

Kick-ass writer, terrific editor, short-tempered human being. Please, DO hesitate to contact me by phone.