Forse sapete già che mi sono messo a scrivere una serie di racconti (Perfection) ambientati in un futuro in cui, complice una malattia che sta uccidendo gli esseri umani di sesso femminile, questi ultimi sono stati soppiantati dai robot, androidi, ma soprattutto ginoidi.
Cerco in internet articoli sulla robotica, sui più recenti progressi nel campo della ricerca dell’intelligenza artificiale, mi documento su quanto sia realistica la mia ambientazione e soprattutto la possibilità che, un giorno, noi altri possiamo interagire con una nuova specie senziente: composta non già di carne e sangue, ma di silicio e silicone, in mancanza di materiali succedanei ai nostri e più adatti allo scopo.
E scopro quindi che, a tutt’oggi, la prospettiva di avere future interazioni con esseri artificiali (sì, intendo interazioni a tutto tondo), desta ancora diverse perplessità.
Ci sono, d’altro canto, come sempre gli eccessi in senso opposto: gente che già oggi sposa la propria fidanzata creata artificialmente con materiale di recupero.
Anche questo è amore?
Probabilmente. Ed è una cosa molto vecchia. Parliamo di Pigmalione. Non proprio una roba cyberpunk, quindi.
I problemi sono due:
– il nostro orgoglio, mal celato e mal riposto, in quanto specie senziente, che ci porta a dire che mai faremmo una cosa del genere.
E sappiamo che l’avverbio “mai” non è mai esistito davvero, lungo l’evoluzione della specie umana.
– probabilmente la nostra errata concezione filosofica e fantasiosa dell’amore per l’altro.
Identificando questo altro esclusivamente con un nostro simile.
E, per l’appunto, il segreto di tutto ciò, ciò che rende questo futuro estremamente plausibile, è in quel sostantivo/aggettivo: simile.
Parliamo di massimi sistemi, di percezione della realtà.
La realtà è ciò che i nostri organi di senso ci suggeriscono. La nostra realtà ha questa forma perché noi abbiamo inteso costruirla così, perché la vediamo, sentiamo, annusiamo, percepiamo in questo modo.
Sfiorando l’esistenzialismo, non si ha alcuna prova dell’esistenza degli altri, della vostra fidanzata dei vostri figli, eccetto ciò che i vostri organi di senso vi suggeriscono.
Ciò detto, l’unica differenza tra un essere umano e un robot che ne imita la natura è nei materiali e nella attuale limitatezza tecnologica.
Come ho già detto, noi siamo carne, loro silicone scaldato a batteria.
Col passare del tempo, visto che le ricerche sulla robotica conducono in tale direzione, nella imitazione assoluta dell’essere umano, riusciremo a creare replicanti di tale qualità da rendere la distinzione umano-macchina assolutamente superflua.
Per interderci, esattamente come noi altri leggiamo sulle etichette dei cibi cosa stiamo assumendo, probabilmente sarà un’etichetta a svelarci se stiamo frequentando un uomo o una macchina, e la cosa non ci importerà, perché i nostri sensi saranno perfettamente ingannati, tanto da trovare l’interazione con una macchina assolutamente naturale. O la distinzione secondaria.
È quello che facciamo ogni giorno, se ci pensate, ci fidiamo ciecamente di ciò che percepiamo. Se i nostri sensi ci suggeriscono di essere in presenza di un simile, reagiamo di conseguenza.
Basta l’illusione volontaria, quindi, la sospensione dell’incredulità, a far sì che questo futuro avvenga.
Essendo il problema pratico di così facile soluzione, almeno in linea teorica, s’apre tuttavia uno scenario molto più interessante.
Stiamo in effetti riferendoci a un cambiamento epocale nella società umana: l’introduzione di macchine che imitano la nostra eistenza.
Per cui sarebbe interessante ipotizzare, come sto facendo soprattutto in Starlite (seguito di Perfection di prossima pubblicazione), quali possano essere i cambiamenti nei costumi, rispetto a simile eventualità.
Ammettendo per un attimo che la singolarità non avvenga mai: ovvero che non si riesca a creare l’intelligenza artificiale autocosciente, quindi in grado di autodeterminarsi.
A ragionarci, nemmeno questa ipotesi diventa determinante, considerando lo scenario, o fattiva a impedimento di una rivoluzione che appare inevitabile:
siamo nel campo della speculazione e dell’imitazione.
Ipotizziamo di non riuscire a crearla. Quello che ci resta è l’estrema conseguenza di ciò che già oggi è la strada che viene percorsa: la costruzione di una replica dell’essere umano. Spirito compreso.
Quindi, ammettiamo che la creatura così ottenuta sia simile a noi, che riesca a simulare l’autocoscienza: che differenza ci sarebbe, dal momento che noi non possiamo stabilire con certezza quando l’altro sia o meno autocosciente, tra un’intelligenza artificiale effettiva e un programma supercomplesso che la imita?
Il risultato finale, ai nostri sensi, sarebbe identico. Probabilmente riusciremmo non solo ad avere interazioni sessuali con tali macchine, vive o meno non importa, davvero intelligenti o meno non importa, purché imitazioni realistiche della realtà.
E, una volta superato quel gradino, l’innamoramento, cosa ci impedirebbe di volerle sposare, di voler condividere la nostra esistenza con quest’illusione volontaria?
E quindi, via ai matrimoni, alle unioni civili, alla stesura di nuovi articoli di legge che garantiscano diritti a queste nuove creature.
L’idea di base è che dovremmo essere pronti, in quanto specie, alla responsabilità che deriva dall’introduzione nel nostro mondo di un’altra forma di intelligenza, che, una volta presente, meriterà attenzione, e di sicuro anche rispetto.
Non c’è mai il tempo per annoiarsi, su questo pezzo di roccia.