Underground

Cavour Cacciatore di Vampiri – Capitolo 3: Vermina

Attenzione! La seguente è un’opera di fantasia dai contenuti violenti, inadatta ai minori di spirito.

14 Maggio 1835

La sanguisuga si contrae nella pinzetta di ferro, viscida e scura. La ventosa boccheggia cieca, in cerca di pelle. Il barbiere sorride dietro i suoi baffi neri, mentre la mostra, soddisfatto, a un palmo dal mio viso.
«Certi le usano per divertirsi, sapete… mettendole là sotto» mima il gesto avvicinandola alle pudenda, sghignazzando. «Sanno succhiare meglio di una puttana…» ride ancora più forte. «Volete dirmi, ora, questa dove l’avete pescata?» fa, rivolto verso Germaine. «Che razza di divertimento vende, ‘sta qui?»
Né io, né Pietro rispondiamo. Spaventato io, indebolito lui. Rinunciato ai cavalli, ripareremo con calma, pensando al da farsi, facendoci scudo col mio nome, ove se ne presentasse il bisogno.
La stanza puzza di trementina. Il barbiere s’allontana, rigettando la sanguisuga nel vaso di vetro e posando le pinzette sullo scaffale di legno grezzo. L’acqua vibra alla luce del lume a olio lì accanto, mentre il verme si scuote cercando un posto sicuro tra i suoi simili. L’uomo si pulisce le mani sul grembiule che indossa, macchiato di giallo, di sangue e di umido. Soffoca un rutto nel pugno, le guance paffute e paonazze. Tossisce. Si versa un bicchiere di vino rosso e lo tracanna. Si volta allora verso Germaine, distesa sul tavolo al centro della stanza: «Gliene ho messe cinquanta» dice. «Dovrebbero bastare a mandare via il male. E se non le togliamo, tra un po’ crepa.»

«È stata… morsa» dico.
«Non da un cane! Da cosa, allora?» sbotta, posando il calice di legno. Fa un rumore sordo, contro il bancone.
«Un insetto…» Penso alle cose svolazzanti, bestiacce piccole e immonde. Rammento i ronzii e rabbrividisco. «È stato un insetto.»
«Ah!» esclama quello, «E da quando, mordono? Li avranno portati mica dalle Indie insieme all’oppio!». S’avvicina a Pietro. Questi è seduto, bicchiere di vino in mano, si tasta la fasciatura alla gola, dove il barbiere l’ha ricucito. Beve a piccoli sorsi. Il viso grifagno, incorniciato nei lunghi capelli lisci e corvini.
«E tu, grand’uomo?» fa il bottegaio al suo indirizzo. «Anche a te t’ha morso un insetto? Eh?» Si china verso di lui, all’altezza del volto.
Pietro scatta, il bicchiere vola via, rotolando di lato, lasciando una scia di vino. Il suo ginocchio si pianta tra le palle del barbiere, mandandolo steso in terra. Quello geme e si mantiene gli attributi, ancor più rosso in viso, tossisce e s’affoga col catarro.
Dopo, il mio amico gli si fa dappresso, lento e silenzioso, sorreggendosi al tavolo. Slaccia il sacchetto di cuoio che porta alla cintola e, steso il braccio in avanti, lo rovescia, facendo cadere sette marenghi, lenti e sonanti. Tintinnano vicino al viso del barbiere che, tolta una mano dall’inguine, s’affanna a raccoglierli comunque, maldestro, stringendo i denti e ansimando. Gli occhi gonfi e umidi.
Pietro si porta l’indice alla bocca, mettendolo di taglio. Lo invita al silenzio con l’oro. Dopo ricorrerà al coltello.
Mi faccio accosto a Germaine. Tolgo una sanguisuga con la punta del dito, mentre pulsa e si gonfia, come un serpente che ha ingoiato un topo, in concerto con le altre sullo stomaco, le braccia, i seni e il collo. La vena del giugulo si muove, ritmica.

Il verme si contrae, raggomitolandosi. Lascia una chiazza rossa informe, e la pelle arrossata in quel punto, il resto livida. Tocco la fronte col palmo della mano, è madida, ma ancora calda. Il respiro è irregolare e veloce, ma non può dirsi affanno. Le punture sul collo sono piccole e odorose di pus. Già marciscono.
Pietro mi fa cenno col mento, al che annuisco e m’incammino.
Fuori, ai primi chiarori, il palo del barbiere, bianco e rosso, e una torma di gente che corre chiassosa, lungo la via. Sopra i tetti delle case s’espande fumo nero, lontano, lì dov’è l’albergo. E i demoni che lo abitano. Sento l’odore di bruciato.
Rientro, Pietro tracanna altro rosso, muove appena il capo a fissarmi, il barbiere libera il ventre della donna dalle ultime sanguisughe, con mano tremante. Lei s’inarca, urla, gli occhi colmi d’icore scarlatto.
«C’è un incendio… forse è l’albergo. Che sta succedendo?»
Germaine continua a dibattersi, afferrata per le spalle dal bottegaio, che la tiene giù.

***

4 Settembre 1835

Il damerino s’accomoda sulla sedia di noce, armeggia nella borsa di pelle lisa, prende delle lettere piegate con cura. Le butta sul ripiano della scrivania, a ridosso dei miei occhiali e del tagliacarte d’oro.
«Scrivete davvero bene, Cavour. Il vostro stile è eccelso, se posso azzardare un parere.» Fuma da una pipa ritorta. Tabacco al whisky, a giudicare dall’odore.
Mi limito a fissarlo, le dita incrociate sotto il mento, la schiena addossata alla poltrona. Fuori, le chiome dei faggi ondeggiano nella brezza della campagna francese. Il sole è malato, come quasi ogni giorno, negli ultimi due mesi di permanenza in questi luoghi.
«Fate attenzione, la prossima volta, a dove lasciate i vostri scritti. Certi luoghi fanno male alla reputazione, dovreste saperlo…»
Raccolgo solo una lettera. La riconosco ancor prima di aprirla. Il mio pensiero corre a Nina. Non la vedo da circa un anno.
«Ho bisogno di riposo, la mia salute è malferma. Cosa volete, signor…»
«Sapere cosa credete di aver visto, quella notte, vostra eccellenza.» Si riavvia la riga tra i capelli bene oliati. La bocca si stringe sotto i baffetti sagomati con cura, mentre una vena sulla tempia pulsa. Poi riprende: «Lo stesso motivo per cui, ritengo, abbiate rimandato la vostra partenza per l’Inghilterra. Per il quale vi siete ritirato in questo eremo dorato e per cui, contro ogni ragione, non fate ritorno a casa.»
Mi alzo, mani dietro la schiena, avvicinandomi alla finestra. Pietro ha finito di caricare le pistole e i due moschetti. Mira alle zucche fissate sui pali, quando non tira di scherma, o caccia. Non ha più parlato, da quel giorno, forse a causa della ferita.
«Siete qui per arrestarmi?»
«Signore, le ragioni della mia visita implicano argomentazioni non pertinenti al vostro rango.»
Estrae dalla borsa un recipiente cilindrico colmo d’un liquido giallastro, simile a orina. All’interno, fluttua un minuscolo feto: l’espressione feroce, la bocca irta di zanne.
Pietro spara in giardino, facendomi sobbalzare.

Pagina del Risorgimento di Tenebra e puntate precedenti, QUI

Autore e editor di giorno, talvolta podcaster. /|\( ;,;)/|\ #followthefennec
    • 13 anni ago

    No,nel senso di cosa lo HA partorito 😀

      • 13 anni ago

      Be’, c’è da pazientare… O forse no? Chissà… 😉

    • 13 anni ago

    Chissà di cosa è il feto con le zanna uhuhuh…:D

      • 13 anni ago

      Nel senso di cosa è fatto? 😀

    • 13 anni ago

    Sciocco, parlavo dei passaggi narrativi, non dei dialoghi 😀

      • 13 anni ago

      Anatema! 😈
      Anche io mi riferivo al lessico in generale, mica solo i dialoghi!

    • 13 anni ago

    Sbaglio o stai “affinando” il linguaggio qua e là, per renderlo più consono al periodo storico?
    Il risultato è un mix molto curioso e stuzzicante…

      • 13 anni ago

      Be’, che Cavour parlasse proprio come Hell non mi pareva opportuno… 😀

    • 13 anni ago

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    • 13 anni ago

    Bello, bello e ancora bello. Mi piace sempre più!
    Non è che alla fine ne farai un ebook, così me lo rileggo d’un fiato? 🙂
    Alla prossima^^

      • 13 anni ago

      Ehilà! Grazie! 😀
      Devo ammettere che la prospettiva mi tenta. Però allo stesso tempo so già che sarà un lavoraccio… Mah, chissà. Mai dire mai. 😉

    • 13 anni ago

    Inadatta ai minori di spirito? Concetto meravoglioso. 😉
    Stai andando molto forte, apprezzo lo sforzo di contenere il lato ucronico.

      • 13 anni ago

      Grazie a voi!
      Devo dire che si sta rivelando un ottimo esercizio, Cavour. Perché sarei tentato di improvvisare e invece voglio pescare dalla storia, per quanto possibile. Lieto che questo fatto sia percepito.

      @Fra
      Mah, diciamo che fa parte della mia volontà di presentare vampiri un po’ diversi dal solito. 😉

    • 13 anni ago

    Mi unisco al coro di approvazione per la parte sul barbiere ben scritta e ben reso sia l’ambiente che il personaggio.Mi incuriosisce molto anche il secondo pezzo,che vorra mai l’uomo con il feto di vampiro?

    • 13 anni ago

    Grande capitolo, soprattutto il pezzo con il barbiere che è veramente ben descritto. E sì, si nota che ti stai divertendo a scriverlo. 🙂

    Unica cosa che non mi torna, ma magari sono ancora troppo addormentato: “Da, cosa allora?” non dovrebbe essere “Da cosa, allora?”? :O

    Ciao,
    Gianluca

      • 13 anni ago

      UAU! Grande refuso! Grazie per la segnalazione, correggo subito. 😀
      Poi se avete domande, son qua. Lieto che stia piacendo.
      😉

    • 13 anni ago

    ahahahah, anche se per esigenze ucroniche ho dovuto alterare alcuni avvenimenti. Il 14 Maggio, ad esempio, Cavour avrebbe dovuto essere già a Londra.

    😀

    • 13 anni ago

    Con questo i ragazzi sarebbero felici di studiare la storia a scuola! Altro che la Gelmini

    • 13 anni ago

    Una cosa che mi sta particolarmente piacendo è il ritorno a storie in cui i vampiri erano delle incognite. Bisognava capire come ucciderli , a volte anche per tentativi. Mentre nelle produzioni più recenti dei vampiri si sa sempre tutto ! L’unico che aveva già fatto qualcosa di simile è stato Vergnani con i suoi libri. Tanto di cappello Hell ! 😉

      • 13 anni ago

      Be’, ho pensato che nell’Ottocento, prima di Dracula, c’è ancora il fascino della scoperta. 😀
      Grazie del feedback.
      😉

    • 13 anni ago

    Ti giuro che sul feto zannuto ho fatto un balzo sulla sedia 😀
    E grazie per l’ omaggio, sono lusingata.
    La descrizione della bottega del barbiere, con le sanguisughe e il vecchio disgustoso che beve e rutta è da standing ovation. Sembra di trovarsi lì.

      • 13 anni ago

      Io mi sto divertendo un mondo. Non so se si nota. 😀
      Grazie a te. 😉