Inutile montare paragoni col libro da cui è tratto, l’omonimo di Max Brooks. I punti in comune col testo sono ben riassunti da questo grafico esplicativo:
(immagine presa QUI)
Ci sono gli zombie. C’è Brad Pitt.
C’è anche Pierfrancesco Favino.
Più o meno è tutto quello che dovete sapere. Impossibile fare spoiler, nemmeno volendo.
La storia di World War Z, diretto da Marc Foster, è travagliata. Si parte con l’idea di realizzarlo fin dal 2007, quando la compagnia di produzione di Pitt, Plan B Entertainment si assicura i diritti sull’operazione. Lo script è scritto e rivisto diverse volte, tra coloro che ci hanno messo mano c’è Damon Lindelof (sì, sempre lui, l’artefice del finale scemo di Lost). Infine, WWZ ha incontrato anche problemi di produzione, stop forzati, e si sono dovute girare nuovamente, a causa dei continui rimaneggiamenti dello script, intere sequenze di scene.
Volete sentirmi dire che tutto questo non si sente, che il film è un capolavoro del genere zombie e affini? Non posso dirlo. I problemi si sentono tutti. Pure troppo.
A partire dall’inconsistenza dell’intreccio, invero in alcuni punti fin troppo assurdo, per proseguire poi con l’estrema difficoltà: perché è difficile riuscire a scrivere una storia su un’apocalisse zombie oggi, dopo che si è scritto e esplorato di tutto, tutte le possibili varianti…
Ehi, un momento… ma c’è il libro di Brooks, da cui il film è stato tratto!
Naaaahh… sciocchezze!
Mettiamo su la solita improbabile storia del one-man show, Brad Pitt, che viaggia da un capo all’altro del mondo senza alcuna ragione apparente (dicono per studiare il fenomeno, ma chi ci crede?), e salva il mondo.
È questo che piace, no?
Mmmhh… no.
***
Il problema maggiore del film è il montaggio. Seguito a ruota dalla fotografia.
Chi ha letto il libro sostiene con forza, e io gli credo, che WWZ sarebbe stato invero, se trasformato in un film, un ottimo mockumentary.
Fanno mockumentary su qualunque cosa, le più improbabili.
Per una volta che potevano farlo sul serio, supportati in ciò dalla stessa costruzione del testo di Brooks, no… ma che scherziamo?
Facciamo un film. Con la cinepresa.
Un film che è un puzzle di scene attaccate l’una all’altra. Mosse e incasinate come un mockumentary, solo che non è un mockumentary. E il ritmo è talmente forzato e adrenalinico (ma se ci piace adrenalinico così tanto che non si è costretti a pensare, allora ci piace – cit.) che il risultato, guardandolo, è: non capire una ceppa.
Non riuscire a distinguere i sani dagli infetti, e non capire perché Brad Pitt sta sempre in mezzo: un momento te lo trovi negli USA, l’attimo dopo in una notte buia e tempestosa insieme a dei soldatacci, l’attimo dopo ancora a Gerusalemme e poi ancora insieme a Favino, incontrato chissà dove, dopo essere sopravvissuto a uno schianto con l’aereo con la collega che lui stesso ha salvato a Gerusalemme.
Sì, credici (parte I).
E non è l’unico problema. Accennavo al montaggio.
Ebbene, non c’è una scena che non subisca stacchi (gli stacchi sono i cambi di inquadratura). In continuazione. Col risultato che ce n’è uno ogni dieci-quindici secondi di media. E non mi riferisco a stacchi da un attore a un altro, ma a cambi repentini di prospettiva e di punto di vista.
Un delirio. Rafforzato dalla scelta di proporre sempre inquadrature strette sui volti. Non si respira.
Ma ai ggiovani piace così. Non vogliono mica le parti riflessive, solo il videogame con gli zombie.
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Zombie che più anonimi non si può, tra l’altro. Anche se, nella sequenza famosa della piramide umana, si danno da fare come tante formichine impazzite. Cosa che non salva la situazione dal ridicolo. Ma com’è possibile che sul muro non ci siano sentinelle? E che quindi si accorgano dell’imminente assalto solo quando le teste degli zombie spuntano dall’altra parte?
Mah…
E a proposito di cazzate. Altra scena presente nel trailer: Brad Pitt viene rimproverato dal poliziotto in motocicletta, e quest’ultimo viene falciato da un camion.
Camion che non avrebbe mai potuto sopraggiungere così di colpo. Primo perché in uno dei miliardi di stacchi si vede Pitt e il poliziotto e tutta la strada bloccata dal traffico, e non c’è mica il camion sullo sfondo che arriva sparato, secondo perché il corridoio tra le auto è appena sufficiente a far passare una moto. Perché un camion possa passarci deve sfondare un muro di trenta auto, come minimo.
E che dire poi dell’estremo romanticismo che vuole il maritino Pitt disporre, per raccomandazione, di un cellulare-satellitare-ultra-tecnologico-che-resiste-pure-alle-esplosioni-atomiche, che egli usa per conversare con la mogliettina rimasta in ansia sulla nave dove garrisce la bandiera ammericana?
Meglio non dire nulla.
E la passione per i grafici computerizzati?
Il mondo sta andando a scatafascio e… come accade in Man of Steel, nel centro di controllo militare qualcuno, non si sa come né perché, ha creato una specie di simulatore che conta, non s’è capito bene se il numero dei morti su scala mondiale o quello degli infetti. Vabbé, forse è la stessa cosa.
Comunque è bellissimo, l’apocalisse è appena scoppiata (e ancora si dibatte su cosa stia accadendo, sulla natura della stessa) che già c’è qualcuno che ha calcolato su scala mondiale (!) il progredire del fenomeno, e non solo, ne ha fatto anche un bel grafico che ovviamente proietta in power point per comunicare l’angoscia a tutti i presenti.
Certo, certo. Credici parte II.
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Per concludere, direi che aspetto con orrore la seconda parte, che sembra si farà davvero.
Pietà.
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