Cerco di solito di non nutrire mai aspettative nei riguardi di un film. Ho scritto “cerco” perché di rado capita che ne abbia anche io. Valhalla Rising rientra nel primo caso. Non solo. Fino a qualche giorno fa era un perfetto sconosciuto passato in sordina anche al Festival del Cinema di Venezia lo scorso 4 Settembre 2009.
L’ottima recensione di AgonyAunt, che troverete linkata in fondo all’articolo, mi ha intrigato e, tuttavia, neanche allora mi sono permesso di desiderare un particolare aspetto del film in luogo di un altro.
Negli ultimi tempi sono intrattabile. Conseguenza è che no, non giustifico più coloro che, delusi nelle proprie attese, stroncano senza pietà con le loro recensioni. Questo è ingiusto.
“Valhalla Rising”, già dal titolo, evoca immagini di lotta senza quartiere, spadoni, elmi cornuti e armature. Proprio lì, nel Valhalla, dove l’impavido può vivere per sempre. Facile aspettarsi un film di guerra con decine e decine di battaglie campali. Ancora più facile è venirne delusi e mettersi a borbottare.
Sorpresa, quindi, nel sapere che il suddetto è film metafisico, di violenza e di fede, lento, silenzioso e riflessivo che esplode, a tratti, in fugaci sequenze di combattimento, cruente quanto essenziali. Tra vili lordure e panorami d’infinita profondità, pari solo alla disperazione che da essi promana, un guerriero e il ragazzino che lo accompagna percorrono un sentiero iniziatico verso una terra aliena, accettando il cambiamento esiziale che segna il predominio di una nuova cultura sulla vecchia.
[Attenzione! Può contenere anticipazioni]
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One-Eye
One-Eye è uno schiavo orbo di un occhio. Egli vive segregato come un animale, tirato fuori solo per combattere e subito riposto, tra mille cautele, nella sua gabbia di legno scavata nel fianco di una collina. All’esterno, nel mondo, il cristianesimo dilaga nel nord insieme al suo esercito di Divoratori di Dio. Gli scandinavi guardano al fato per giustificare un’invasione della quale molti hanno solo sentito parlare, ma che sta giungendo, ormai, alle porte delle loro case come un’ondata di piena inarrestabile che porta con sé lutti, incomprensioni, bestialità e dolori. Nessuno ha la forza di opporsi, tanto più che il fuoco sacro che sembra pervadere i guerrieri della Croce sta per riardere acceso dal desiderio di conquista e vendetta verso una terra lontana della quale si favoleggiano infinite ricchezze, una terra chiamata Gerusalemme…
One-Eye, riuscito a fuggire ai suoi carcerieri, si imbarca assieme ad alcuni soldati di Cristo per raggiungere il mediterraneo, ma un fitto banco di nebbia manda fuori rotta la loro imbarcazione, portandoli ad approdare in una terra selvaggia e sconosciuta, ma talmente immensa e incontaminata da infondere terrore nel cuore dei viaggiatori.
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Il Sacrificio
Il simbolismo è elemento dominante di “Valhalla Rising”. E, se esso è di facile lettura, è pur vero che sottende ad ogni sequenza, ad ogni inquadratura. Esso è tale da sovrastare il tessuto della narrazione canonica, in luogo di una serie di immagini, di scene atte a suggerire un percorso interiore del Guerriero, a sua volta incarnazione religiosa degli aspetti più deteriori e insieme tipici della Guerra, verso una redenzione che è tale perché ineluttabile, perché funzionale alla rinascita, meccanica e necessaria.
Il combattente invincibile, segnato dalla divinità, privo di un occhio come il Padre Odino, veggente e meditativo, muto e inarrestabile conosce il proprio destino e lo accetta perché inutile diventa, a quel punto, la fuga. Egli è guida verso la redenzione che avverrà, secondo diverse iconografie, attraverso il sangue. Egli redime conducendo i viandanti in una terra straniera, così malvagia finanche nella natura che ella si limita a mostrare, con le sue rocce a strapiombo lungo i corsi dei fiumi e i suoi alberi che celano nemici silenziosi in perenne agguato.
Il Guerriero, assistito dal ragazzo, voce e volontà del primo, è dio ed è mezzo della volontà celeste. La religione alla quale appartiene è indifferente, è solo un nome, un pretesto che si infrange in un’epoca in cui il nulla e la pochezza umane sono segno distintivo.
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La Fede
Diretto da Nicolas Winding Refn e sorretto dalla presenza scenica, più che dalla mera interpretazione, di Mads Mikkelsen (One-Eye), “Valhalla Rising” è un film dalle astmosfere estremamente rarefatte, per nulla aderente alle immagini che possono affacciarsi nella nostra mente considerando il particolare periodo storico, l’anno Mille, nel quale è ambientato.
Contrariamente a quanto possa sembrare non c’è una civiltà che appare prominente rispetto alle altre. Lo scontro tra religioni, rappresentato attraverso l’incertezza e l’incomprensione che si accampa nella mente di coloro che, di nessun conto, sono destinati a subirne le assurde conseguenze, è essenziale, poco più di un’eco nelle orecchie di uomini fieri e selvaggi che continuano ad esistere secondo codici antichi e sacri ai loro occhi. I personaggi, le identità, le caratterizzazioni dei protagonisti si piegano alla messa in scena di una viaggio epico, concettuale più che fisico, sicché anche la presunta preveggenza del guerriero One-Eye appare accessoria. Caratterizzante la prima parte del film, la violenza è elemento sociale, catarsi di rapporti di scambio, moneta sonante, fino a quando essa non muta divenendo virtù, baluardo della Fede. Una fede qualunque, la Vera Fede senza nomi, senza aspetto, senza debolezza.
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Il Viaggio
Non è il film di guerra che cercate. Non è intrattenimento storico. Non è divertente. “Valhalla Rising” è qualcosa di diverso, antico. È riflessione e messaggio. È desueto, ma non per questo meritevole di disprezzo. La sua cornice è anomala, forse, più adatto alle meditazioni che esso cerca, sarebbe stato lo spazio profondo di una fantascienza pionieristica e consapevole, anche se qui, complice la ricercata violenza storica, il viaggio diviene esperienza estrema e assoluta. Resta una pellicola per pochissimi.
Approfondimenti:
La recensione di AgonyAunt
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