Non ricordo più dove l’ho sentita, ma una delle mie frasi preferite è:
Dove l’hai imparata questa cazzo di diplomazia?
Il contorno è il quotidiano. È sempre il quotidiano, in una sorta di meta-realtà, laddove quella frase, estrapolata da un contesto quotidiano di finzione, si riversa nel contesto reale.
Mi domandavo quando, esattamente, l’affettazione ha soppiantato la verità.
Quando il come dire una certa cosa è diventato più importante del cosa dire.
Là fuori è un tripudio di “diplomazia”.
Fino ad arrivare al paradosso che si debba essere ben disposti verso chiunque, soprattutto se quel chiunque fa il tuo stesso mestiere.
Sai, tra colleghi…
Non importa se quel tuo collega è uno scarparo. Devi usare la diplomazia, altrimenti vieni etichettato come “poco collaborativo”, che è la versione diplomatica di “stronzo”, e vieni messo da parte. Anche se tu, rispetto a quel tuo collega, vali dieci volte tanto.
Questione di modi.
Modi del cazzo.
Certo, c’è poi l’altra faccia della medaglia, c’è sempre, se ci fate caso, in ogni medaglia (ma va?). Ovvero quelli che pretendono di ricoprirti di letame, perché loro non sono diplomatici, e che vogliono essere pure ringraziati.
Io non appartengo a questa seconda categoria, che per parte mia aborro, ma di sicuro non indoro la pillola a nessuno.
Poi mi capita sotto gli occhi un articolo su Spillane.
Mickey Spillane.
Chi?
Esatto.
Uno che aveva l’aspetto di un killer dei Soprano. O di un poliziotto, il tipico cane sciolto dei meravigliosi noir.
D’altronde l’epoca era quella, gli anni Cinquanta.
E, a parte rendermi conto che tra me è lui c’è una piccola differenza misurabile in duecento milioni di copie vendute, ciò che più mi colpisce è una breve descrizione del suo carattere, che è in tutto e per tutto sovrapponibile al mio.
Spillane chiamava i lettori clienti.
Non amici, non ammiratori, non fanz, ma clienti. E quello del cliente era l’unico rapporto che Spillane ammetteva avere con loro. Perché è giusto così. Non è che se compri il mio libro diventi mio amico. Non è che devo pagarti da bere in cambio, e stare a sentire le tue chiacchiere.
Sì, può capitare, ma il caso eccezionale non deve diventare prassi consolidata e condicio sine qua non.
E i colleghi… sì, erano colleghi, ma non è che si dovesse per forza andare in giro a fare bisbocce o farseli tutti amici.
A ognuno il suo.
Perché così dovrebbe essere, un mondo ideale. Un mondo in cui ognuno si fa i fatti propri, e fa soprattutto il suo lavoro. In cui si può dire quello che si vuole, nei limiti dell’educazione e della decenza, senza timore:
a) di subire vendette trasversali da parte di quarantenni che fanno i bambinoni offesi
b) di pestare i piedi a qualcun altro
“Hell, I’m not an author, I’m a writer,” Spillane once said. “I’m just trying to entertain.” As for his audience, he added, “I have no fans. You know what I got? Customers.”
Ora, non so cosa ne sarà di me, perché sono ancora qui e ora, e il futuro è ancora da scrivere, nonostante adesso stia patendo un gradevole e ricercato isolamento.
Lontano dalle chiacchiere, lontano dalle cazzate, come dico sempre.
Posso raccontarvi, però, cosa ne è stato di Mickey Spillane.
Era odiato da tutti.
Dai colleghi.
Probabilmente anche da certi lettori, che si sentirono definire per ciò che erano, clienti. E questa cosa li ferì nel profondo del loro portafogli.
Di sicuro era detestato dalla critica.
Perché anche lì, Spillane, non le mandava a dire. Tu fai il critico, io scrivo, non è che dobbiamo uscire a cena, giusto?
Sbagliato.
Infatti gliela fecero pagare.
Accusato di fascismo, per i contenuti delle sue opere, di misoginia, a causa dei suoi personaggi femminili (che spesso facevano una brutta, bruttissima fine), dai liberali; e di essere un fottuto liberale (a causa delle sue opere, e dei suoi personaggi femminili) dai conservatori.
Sì, potete ridere.
Addirittura fu l’unico autore di narrativa a essere inserito nella versione dei nostri tempi del Malleus Maleficarum, il libro che individuava nei fumetti il Satana contemporaneo, Seduction of the Innocent, del dottor Frederic Wertham (1954). Uno che di problemi, là fuori, ne vedeva a pacchi.
“The astonishing thing about Mike Hammer’s success is that nobody likes him but the public. No major book reviewer, anywhere, has ever said a kind word for a Spillane novel.”
Non piaceva a nessuno, eccetto al pubblico. Quel pubblico evidentemente affezionato al contenuto e non alla fottuta diplomazia. Un pubblico numeroso, nonostante tutto.
Duecento milioni di copie vendute. E almeno un film girato da Robert Aldrich, meritevole di una visione: Kiss me deadly (1955).
La critica, quindi, quando non era impegnata a ignorarlo lo bastonava con recensioni feroci (che tutt’al più gli provocavano un’alzata di spalle) e accuse di fronte alle quali lui reagiva… sbattendosene il cazzo.
Quanto basta, da queste parti, per essere amati alla follia. Per sempre.
Spillane. Uno di noi.