Underground

Una specie a rischio

Riprendendo, in parte, il discorso di ieri, e allargandolo con nuovi spunti:

a) Isabella Santacroce vagheggia sulla restaurazione del mecenatismo
b) Giovanni Mongiano si esibisce davanti a un teatro vuoto

La questione se l’arte e la letteratura, e la condizione e il ruolo d’artista, siano o meno un lavoro, torna prepotentemente protagonista.
Ma attenzione, anche qui, bisogna fare le dovute distinzioni.

Torna prepotentemente protagonista tra noi che di queste quisquilie ci campiamo, o per lo meno ci proviamo.
Torna prepotentemente protagonista il romanticismo d’accatto, lo stesso tirato in causa da coloro che hanno esultato di fronte alla storia dei due bibliotecari e del lettore immaginario (vedi articolo di ieri).
Per tutti gli altri, la gente là fuori, che quel teatro l’ha lasciato vuoto, che se ne fotte dell’arte e della letteratura e che le considera, a ben guardare questi “fenomeni” in carne e ossa, alla stregua di un falò delle vanità che assomiglia di più a un fuoco di bivacco o dove si bruciano i sacchi dell’immondizia, non è cambiato assolutamente nulla.

Quel teatro era vuoto ieri, sarà vuoto domani.
Coi romanzi non si campava ieri, si camperà ancora meno domani.
Perché questo è il nostro retaggio culturale, ormai.
Questa è la distopia che abbiamo creato.

Ed è tale, è una distopia, inutile girarci intorno.
Perché il paradosso non è nel teatro lasciato vuoto – non per protesta verso Mongiano, ma per semplice ignoranza dell’evento e forse anche dell’artista (se nessuno sa che lì si tiene uno spettacolo, nessuno ci va, in quel teatro) – ma il fatto che, ancora oggi, si debba stare a spiegare alla gente, che pure usa facebook e si spancia guardando film e video su youtube creati da “nullafacenti” (secondo costoro), che l’arte e la letteratura e tutte le forme di intrattenimento a esse associate e derivate sono un cazzo di lavoro vero pure loro.

Questa è la tragedia dei tempi che viviamo.
La concezione retrograda del lavoro, che costa fatica, tempo e sudore, solo a chi fa un lavoro sgradito (l’unico socialmente accettabile, l’unico vero).

Ma i torti stanno anche dall’altra parte.
A questo punto, stando così le cose, ovvero come ce le racconta Isabella Santacroce, che ne fa un vanto di aborrire qualunque forma di lavoro, perché mai la gente che non va a teatro e non legge libri, perché ha la via occupata dalle faccende serie, dovrebbe considerare arte e letteratura un lavoro se per primi artisti e letterati pensano di se stessi come una sorta di categoria di imbelli cazzeggiatori?
Una specie a rischio bisognosa di protezione.
In pratica, dei panda.

I tempi sono cambiati…

Mi fa ben ridere invocare la protezione di un mecenate, quando uno dei padri della letteratura italiana, Dante, proprio disprezzava, più di ogni altra cosa, la propria condizione di “cliente”.
Condizione acquisita suo malgrado, ricordiamo, e che lui viveva alla stregua di un’onta.

Ma i tempi sono cambiati, e il sedicente artista, afflitto da un romanticismo deteriore, pensa a se stesso come a un essere molle, indifeso nei confronti della vita dura, che esige tasse, bollette, e tutte le rotture di palle che ben conosciamo.

Quindi c’è proprio una frattura, insanabile, tra vita e arte, una frattura che non dovrebbe esistere, ma che s’è insediata nella testa della gente, da una parte e dall’altra, e che provoca questi disagi, che svuota i teatri e che costringe un attore a recitare, nonostante tutto, di fronte a un teatro vuoto, perché lui è un mestierante, un lavoratore, uno che si spacca la schiena.
E non ha protettori.

E non si dovrebbe davvero porre il riflettore dell’entusiasmo di fronte al gesto di Mongiano, che pure esprime molte ragioni e chiare, per quanto fraintese da chi inneggia a questa forma di teatro wagneriano, che canta al crepuscolo degli idoli. E dell’arte, di fronte al mondo cattivo e insensibile.

Si dovrebbe al contrario porre l’attenzione sul perché quel teatro sia vuoto, su coloro che, con la loro concezione erroneamente romantica, e anche un po’ infantile, diciamo, dell’arte e della letteratura, hanno contribuito a svilire l’immagine di artisti e letterati, agli occhi di quello stesso mondo.

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