Underground

Solo, nel buio – Mohamed MeDo

Mohamed MeDo (non vi sarà sfuggita la particolare grafia del cognome) viene dal Cairo, e pratica arte digitale.
Non ho approfondito, ma credo che affronteremo la questione in una delle prossime puntate, il modo in cui l’arte digitale venga percepita rispetto all’arte classica. Qualcosa come la vuota polemica che circonda tutt’ora i libri digitali?
L’unica differenza tra un dipinto su tela o tavola e unìopera di Mohamed MeDo è la consistenza fisica, non certo l’impatto.

Va da dé che ogni creazione digitale possa diventare solida, e viceversa ogni forma solida (c’è chi dice persino noi stessi, la nostra anima) possa essere tradotta in digitale.
Basterebbe già questo a annichilire ogni discussione. Ma ne riparleremo.

Quello che non cambia è il modo di comunicare, attraverso forme consuete che diventano simboli.

Una costante di MeDo è l’impiego della figura umana, messa a confronto con un panorama enorme.

Ne consegue, com’è ovvio, un drastico ridimensionamento dell’essere umano rispetto a ciò che lo circonda.

E anche un paradosso. Perché, ovviamente, ciò che le minuscole figure di MeDo affrontano sono creazioni dell’uomo stesso.

Ridimensionato, quindi e soverchiato dalle sue stesse creazioni? Possibile. Intanto, godiamoci questa magnifica serie che non sfigurerebbe in un moderno salone, o in una libreria privata.

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