Underground

L’icona

CraxiOk, sto guardando 1992, lo sapete.
E oggi non è mercoledì, giorno di serie TV, ma è giorno di Chiacchiere & Teorie. Ragion per cui, volevo fare un discorso che mi è saltato in mente durante la visione dell’ottavo episodio.

Nel suddetto, l’Italia della Prima Repubblica assisteva alla deflagrazione della Democrazia Cristiana, del sistema di finanziamento ai vecchi dinosauri partiti, tremava all’arrivo di avvisi di garanzia che cadevano a pioggia, emessi dal pool di Mani Pulite, barricato nel Tribunale di Milano.

E io c’ero.
Ok, ero un ragazzo e sbavavo, tornando da scuola, dietro Non è la Rai.
Ma c’ero. E dopo qualche anno avrei avuto diritto di voto.
Assistevo alla popolarità crescente, complice soprattutto il Milan, credo, di Berlusconi, assistevo all’Italia ricca che si scopriva tale grazie a un’architettura che aveva elevato la frode generalizzata allo stato dell’arte.
Di lì a poco, la folla inferocita avrebbe lanciato le cinquecento lire addosso a Craxi, all’uscita del Raphael, al grido “Vuoi pure queste, Bettino vuoi pure queste?”.

Come dicevo qualche post fa: è il senso della storia.

economist-copertinaÈ quel momento in cui ti accorgi che il tuo passato assume rilevanza e peso: quando qualcuno lo ricostruisce esaminando le fonti dell’epoca e ne interpreta cause, propettive, incidenza sociale.
Fa uno strano effetto.

E mentre guardavo, ciò che mi ha colpito di più, di questa ricostruzione, è la scelta di non inquadrare mai il volto di Silvio Berlusconi.
O meglio, dell’attore che lo interpreta.
Quello vero infatti appare grazie ai filmati dell’epoca, quindi viene inquadrato in quella fase dello spettacolo che potremmo definire a ragione meta-televisione.
La televisione che parla attraverso la televisione, fingendo se stessa.

L’attore, da quel poco che si intuisce, non sembra molto somigliante. A cominciare dalla voce.

Ma ok, questa è una scelta di casting. Probabilmente non c’erano attori all’altezza, non adeguatamente simili. Anche se di sosia di Silvio in giro se ne trovano parecchi.
E forse, insistere coi primi piani di un individuo che non gli somiglia avrebbe rovinato l’incanto.

Troppo radicata, troppo presente, direi quasi onnipresente e universale, l’immagine di Silvio, per coprirla con qualcuno che non gli somiglia.

Non so se questa scelta estetica sarà mantenuta fino alla fine, ma spero di sì.
Perché mantenendo il volto di Silvio nell’ombra si è riiusciti a trasmettere una cosa estremamente difficile da mettere in scena: l’atmosfera di surreale decadenza che si respirava in quegli anni, quando l’intero paese compì le scelte che tutti sappiamo.
Quando si guardava a Silvio Berlusconi come un Messia che avrebbe traghettato L’Italia fino alla Seconda Repubblica, nella quale non sarebbe cambiato quasi nulla, eccetto i sistemi per frodare.
Ma questa è un’altra storia.

guerin sportivoEcco, l’idea è che quelli di 1992 non abbiano in effetti avuto bisogno di un attore che impersonasse Silvio Berlusconi, perché lui l’hanno mostrato perfettamente nei volti delle platee che, nel 1992 e IN 1992, lo stanno a sentire.
Che siano industriali, rappresentanti politici, membri di Publitalia Ottanta, stavano tutti seduti composti, in platea, ad aspettare l’arringa di Silvio, i suoi discorsi a braccio.
Se ne stavano coi volti in estasi, pieni di soldi, timorosi di Di Pietro e dell’avvento dei Comunisti di Occhetto. Silvio lo vedi lo stesso, nelle loro facce in adorazione.

Ed è, a pensarci, col senno di poi, qualcosa che fa paura: perché vera, netta ricostruzione del sentimento storico coevo.
Di una parte della nazione, almeno.
Le barzellette, le risate fuori campo o fuori fuoco, i giri di puttane da combattimento alle conferenze, i politici che, nel frattempo, facevano bisbocce e si scambiavano favori.
E, su tutta l’Italia, eletto dal popolo ben prima dei sondaggi grillini, c’era Silvio, celebrato da TV Sorrisi & Canzoni, la testata di regime. Ma perfino dal Guerin Sportivo, per ovvie ragioni.

E mi vengono in mente tutti quei discorsi che, di lì a pochi anni, avrei letto e ascoltato e studiato, circa il potere dei mass-media, la costruzione di nuovi miti, la costruzione di una platea di “robottini” dai volti estatici e ammiranti, che s’aggiravano nelle mense aziendali, tutti in giacca e cravatta, a parlare di tennis e rolex. Forza di voto, più che forza lavoro.
Discorsi che all’epoca non capivo, non vedevo nemmeno forse.

E che, ancora, vent’anni dopo, non sono finiti. Proseguono in una sfilza di assoluzioni.
La politica che assolve se stessa, probabilmente.

Ecco, l’idea che un uomo possa a tal punto influenzare l’immaginario collettivo che non ci sia bisogno di vederlo, per pensare a un intero periodo storico.
E restare agghiacciati.
Questo sì, che fa paura.
Un’icona, pari a quella di Marilyn. Ma horror.
Insieme alla cruda consapevolezza che io e moltissimi altri ci siamo limitati, in questi vent’anni, a stare a guardare.

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