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I bisticci dei Vichinghi davanti alle porte di Parigi

vikings-season-3-set-photos-lagertha-instagramDopo aver scritto della prima stagione e avendo tratteggiato i quattro principali (e loschi) figuri protagonisti di Vikings, mi ero ripromesso di non trattare più questa serie televisiva, ma di godermela in pace.
Perché Vikings è stata, per le prime due stagioni, la mia serie preferita. Di sempre.
Sono arrivato addirittura a preferirla a Game of Thrones, per ragioni che, tuttavia, ormai sono sopite, quindi è inutile discuterle.

Vikings è giunta, giorni fa, alla conclusione della terza stagione.
Stagione che tutti, io per primo, aspettavo con ansia, visti anche i poster promozionali che mostravano sempre loro, i quattro di cui sopra, Ragnar, Lagherta, Rollo e Floki, uscire da un mare rosso sangue…
La stagione che, considerato soprattutto il look e il background storico di Ragnar Lothbrok, prometteva un delirio di violenza e gloria.
In breve, tutta l’epica guerriera propria dei vichinghi, che sarebbero giunti a mettere a ferro e fuoco Parigi.

Eh…

Si schiaccia il PLAY e ci si gode lo spettacolo.
È più o meno alla quarta puntata che cominciano a colare i sudori freddi, ma si pensa no, ok, è solo qualche svista, ora rientrano in carreggiata tutti, a cominciare da chi Vikings lo scrive, Michael Hirst, e ricominciano a spaccare culi.

Vikings-season-3-filming-picture-vikings-tv-series-37680504-538-536E invece assistiamo a un lento declino, progressivo e inarrestabile, che ci ha condotto fino alla puntata dieci, e che ha coinvolto, più o meno, ogni settore del telefilm: dalla recitazione ai costumi, dalla storia alla costruzione dei personaggi, sfiorando fondi di barile mai finora neanche sospettati, e sfondandoli.

In breve, tutto ciò che Vikings era stato fino alle prime due stagioni viene negato e distrutto, in puro stile The Walking Dead, che ha fatto e fa della contraddizione in termini il proprio vanto.

Quello a cui assistiamo è, fondamentalmente, un balletto che dura dieci puntate, alternato a episodi filler. Un gioco delle coppie (non del trono) tra diversi candidati, litigi tra i protagonisti che sanno non già di saga vichinga, ma di screzi e cat-fight tra liceali brufolosi e anche un po’ sfigati e che, tuttavia, dato i ruoi che questi ricoprono, appaiono oltremodo ridicoli.

Finora, fino alla prime due stagioni intendo, avevamo assistito alla nascita di un Re vichingo, self-made, sedicente figlio di Odino, alla sua irresistibile ascesa (e del manipolo di valorosi al suo fianco) basata su tre fattori fondamentali, che poi sono, a ben vedere, specie agli occhi di chi la storia vichinga l’ha letta, i valori fondamentali non solo del popolo in questione, ma di ogni condottiero di successo che si ricordi:

– l’ambizione
– la furbizia
– la curiosità

Ragnar è un sovrano forte in battaglia, furbo e sopra ogni cosa curioso, assetato di conoscenza. Ed è stata proprio la sua sete di conoscenza, di altre terre e culture, persino religiose, che l’ha guidato attraverso due bellissime stagioni.
Stagioni che ci hanno presentato la civiltà vichinga, impregnata di valori alieni ai nostri, perciò ruvidi e affascinanti.

image-pngNella terza si cade vittima di uno stolido individualismo narrativo: Hirst insiste, portandolo fino alle estreme conseguenze, sul lato personale di ciascuno dei protagonisti che dimenticano di avere la responsabilità del popolo che si trascinano dietro, di essere condottieri, e si trasformano in giocatori del Monopoli, insieme al Re del Wessex, col bonus sessuale, dato che sono maggiorenni.
La prima metà della stagione è il gioco delle coppie, con Ragnar, Lagertha, Re Ecberth e Athelstan che trombano selvaggiamente, assolutamente disinteressati a prevedere i cambiamenti politici e/o sociali che le loro azioni di sicuro avrebbero generato.

Lagertha soprattutto esce distrutta da questo nuovo corso, lungi dall’essere la fanciulla dello scudo che è arrivata a ammazzare il proprio marito, nella sala principale, davanti all’intero villaggio, perché costui l’aveva picchiata, ora è diventata un’adolescente tenerella che tuba davanti alla corte spietata del Re del Wessex, trasformato in un bardo romanticone.
E in seguito, oltre alla baldanza guerriera, smarrisce anche il senno, quando decide di affidare i suoi possedimenti in Scandinavia all’uomo che palesemente la tradirà, arraffandosi tutto.
Uomo che lei non ucciderà, ma che, tanto per cambiare, si tromberà, ma con la promessa che, un domani, lo farà fuori.
Tutto molto bello, come una puntata di Beautiful, dove in effetti gestiscono l’azienda di famiglia a seconda delle persone che si trombano. Non c’è differenza.

L’amicizia tra Ragnar e Athelstan diventa, da non credere, il leit motiv dell’intera stagione, con Floki che si tramuta nel terzo vertice di questo bromance insostenibile.
Ragnar che, ricordiamo, voleva sacrificare Athelstan a Odino, ora invece vuole condividere con lui tutto, soprattutto le figurine. E Floki, che viene tenuto fuori, si ingelosisce.
Floki soprattutto, da essere figura illuminata e toccata dagli dei, la cui stranezza era vanto e fascino, costruttore di navi, in qualche modo profeta, che aveva riempito un vescovo cristiano di frecce con un sorriso, diventa, complice anche la recitazione dell’attore, Gustaf Skarsgård, manierismo… anzi, macchiettismo puro. Insostenibile con quei suoi versetti e le faccette buffe.

Oh, mi sono spezzata un'unghia. Me ne vado!
Oh, mi sono spezzata un’unghia. Me ne vado!

Ragnar, e Trevis Fimmel con lui, è imbolsito, stufo del ruolo che copre (non si comprendono i motivi, in realtà, visto che è all’apice della sua carriera di sovrano e può ancora progredire) e in breve non produce uno straccio di strategia. Si limita a sbuffare e a fare gli occhietti per dieci puntate. Nemmeno una battuta di dialogo degna di essere ricordata, solo frasi smozzicate e recitare con lo scazzo addosso.

Si ammazzano personaggi così, ad minchiam, mancandomi parole più adatte: Siggy uber alles. Viene sacrificata alla fine di un vero e proprio delirio di sceneggiatura che vede Odino in persona scendere a Kattegat, casa di Ragnar, sotto forma di viandante, e curare il figlio deforme del sovrano, oltre che bombarsi la moglie di Ragnar, restata a casa. Così, per non smentire la fama degli dei che pensavano solo a scopare.
Per poi sparire nella nebbiolina, come in un film della Hammer. Ci mancava solo la nuvola di corvi.

Rollo inspiegabilmente, dopo tutto il suo percorso di riconciliazione e espiazione nei riguardi del fratello, soffre ancora di invidia del pene.

Porunn e Bjorn fanno gli adolescenti in battaglia, con lei che si becca una cicatrice in faccia e da buona valchiria (afferrate l’ironia) anziché andare fiera delle sue ferite diventa isterica e frigna in continuazione.

E tutto ciò, solo nella prima metà della stagione, che praticamente è consistita nel gioco delle coppie di cui sopra e in qualche scaramuccia in terra inglese, con Floki che s’è trasformato in un’insostenibile macchina moralizzatrice (o pigna in culo), e rompe i coglioni a Ragnar ogni secondo perché invidioso di Athelstan.

La seconda parte viene introdotta dal suddetto Athelstan che, di punto in bianco, decide di tirar fuori Parigi, come meta della successiva razzia. Perché? “Perché ci sono donne così belle che…”
Sì, da non credere.

E quindi tutti i vichinghi vengono trasferiti improvvisamente in Francia, con una serie di stacchi da far paura (nel senso di terrore, da quanto fanno schifo), a assediare una città fortificata di cui sostanzialmente nessuno sa niente.
Quindi zero strategia di guerra che non può che portare a…
Alla catastrofe.

tumblr_ndemfhtNAa1tx77yzo1_500Floki, prima della partenza per Parigi, in un nuovo attacco isterico ha ucciso Athelstan, che siccome si era provvidenzialmente riconvertito alla Croce davanti a tutta Kattegat, stava sul culo a tutti, quindi il suo assassino spera di farla franca in questo modo.
Ma no, perché Ragnar “è paziente” oltre che furbo, e quindi ha capito che è stato Floki (ma va?) e decide di mettere in secondo piano tutto il suo regno e la sua vita stessa e il fatto che stanno per assediare la città più grande e fortificata del mondo occidentale… per dare una lezione al suo amichetto.
Decide di mandare a morte il suo esercito nell’assedio parigino, in cui rischia di perdere tutto, il trono, la vita di suo figlio e la propria, affidando la costruzione di macchine per l’assedio a Floki. Sicuro del fallimento di quest’ultimo.
Ma risolverla alla maniera vichinga no? Tre scudi, una spada, e un duello.
No, troppo facile, evidentemente. Meglio mettere in piedi questa sceneggiata che nessun Re, considerati i costi e i rischi di una battaglia, avrebbe mai neanche solo pensato.

Ma c’è il tempo per l’ultimo colpo di scena: in realtà Ragnar ha previsto tutto, è meglio di un calcolatore elettronico, e mentre i protagonisti si ricordano le parole del veggente, nel primo episodio, Ragnar, che in realtà sta giocando a Jumanji, al sicuro nella sua cameretta a Stoccolma, e non è veramente sul campo di battaglia, tira di dadi e finge una conversione al cristianesimo, muore per le ferite riportate in battaglia, il tutto per entrare a Parigi (in quattro gatti, ormai, dato che ha fatto uccidere ventimila uomini solo per mettere Floki al suo posto) durante il suo stesso funerale e saccheggiarla.

Che poi, alla base l’idea è anche figa. Non è la prima volta che un esercito espugna una città con l’astuzia e un gioco di prestigio, ma il tutto è stato così esasperato che alla fine non fa nemmeno sorridere. Anzi, che Ragnar non fosse davvero morto è alquanto telefonato.

Noia e tedio in quantità. Personaggi ridotti a misere pedine che si accoppiano quando fa comodo, tanto per far vedere (soprattutto) Katheryn Winnick nuda o seminuda e far alzare gli ascolti. Motivazioni inesistenti per ognuno, cambi di umore come fossero banderuole segnavento, e soprattutto, caratteri contraddittori.
Scritta male, gestita peggio, girata pure mediocremente, con, per fare un esempio, una tediosissima sequenza finale del “funerale” di Ragnar, dalla sua tenda alla cattedrale parigina.
E qualche sussulto, come il maglio rotante che abbatte i vichinghi durante l’assedio parigino.

E alla fine, nell’ultimissima inquadratura, ancora Ragnar che chiama a sé Floki e lo accusa di aver ucciso il suo amichetto preferito. E queste sono le basi su cui aprirà la prossima stagione.

Paura.

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  • […] continuato a guardare solo Game of Thrones. Non lo so, ripeto. E non lo voglio sapere. Ma io con i bisticci dei vichinghi alle porte di Parigi (come dice il mio amico Hell) ho chiuso per sempre. […]

  • Io sto vedendo la seconda stagione proprio ora. Alla luce di quanto letto non posso che rubare una battuta a Jeff
    Goldblum : “Ho paura”…

    • Abbine. 😀