Underground

Autof*ck

Tempi stranissimi, questi.
Guardo l’adattamento di Autofac di Philip K. Dick per i tipi di Amazon Prime Video e ci vedo Amazon stessa. La creatura inarrestabile del Compagno Bezos.
Però prima permettetemi di chiarire: io sono un cittadino di Amazon Prime. Non sono un puro, io. Io adoro i prezzi scontatissimi, adoro non pagare le spese di spedizione, adoro non avere a che fare con voci umane, ma solo con un sistema informatizzato sempre più perfetto.

Cioè, per quanto l’idea di Macchine Auto-replicanti appartenga agli anni Cinquanta e alle sostanze dickiane, quell’episodio, Autofac, è un autoritratto futuristico – quanto poi lontano? – della mega-società-corporazione-tutto-e-anche-oltre del Compagno Jeff Bezos.
E la cosa va al di là verso l’infinito.

Perché, appunto, è un autoritratto. Non già autocritica, ma vero e proprio autoritratto.
L’idea di una fabbrica – nata dal molto piccolo (cit.), da un’idea – completamente automatizzata che invii ai clienti tutto ciò di cui hanno bisogno, indipendentemente se ne abbiano effettivo bisogno, è grottesca, ma verosimile.
Ed è la verosimiglianza qui, a fare la differenza.
La verosimiglianza è quella cosa che scrive il futuro.

Amazon ha da poco comprato la Whole Foods. Cioè, ha appena messo un’ipoteca sul mercato alimentare, che gli analisti già prevedono finirà come è finita la catena di distribuzione libraria: annichilito. Raso al suolo nella sua bio-diversità dal colosso dell’e-Commerce.
Secondo uno schema che ha quasi del totalitarismo sovietico, scherzosamente non si sa fino a che punto, applicato al capitalismo.

Amazon si produce i suoi film e i suoi telefilm. Sono prodotti di qualità medio-alta. Alcuni stratosferici (vedasi The Man in the High Castle), alcuni, come Electric Dreams, rivedibili, eppure intriganti per le ragioni cui accennavo poc’anzi: la sfacciataggine di mostrare un Moloch computerizzato, un panorama da fine del mondo, dove una fabbrica che ha tutto l’aspetto delle infinite distese cibernetiche di Skynet, dove il cielo è offuscato dalle scie di droni automatizzati che incessantemente giungono e ripartono trasportando pacchi su pacchi di merce inutilizzata, fregandosene dell’impatto ambientale. Ché l’ambiente, in uno schema d’equilibrio diretto tra prodotto e consumatore pare non debba contare poi molto…

Credits: Medium

Una fabbrica, la Autofac, che, sopravvissuta a un conflitto nucleare, per la propria sopravvivenza, quindi per dare uno scopo alla propria esistenza, è costretta a costruirsi i propri clienti, secondo uno schema di imitazione della vita, e dei sistemi macro-economici, che proprio in quanto tale, in quanto emulatore, finisce con lo smarrire la sua identità di copia, di pantomima, per divenire reale.

Un po’ quanto succede nel modo reale, dove sempre più spesso, articoli come questo, un tempo terreno delle più profonde distopie, diventano consuetudine.
I lavoratori che piangono sul posto di lavoro perché schiacciati da un sistema inumano, realizzato – forse – dagli stessi umani, o forse da macchine.

Vivo, come voi, quest’epoca di grandi cambiamenti, fermamente persuaso che ogni cambiamento non sia – esclusivamente – nell’ottica del bene comune, e sempre più spesso sbatto contro la rassegnazione di chi non accetta più l’assunto, elementare e efficace nella sua brutale semplicità, che un sistema – che sia legge, istituzione o quant’altro – iniquo vada abbattuto, senza se e senza ma.
Non viene più accettato, questo potere di distruggere ciò che è maledetto per noi, perché “sai, bisogna pur mangiare”.
Allora davvero siamo ciò che mangiamo, e siamo ben propensi, pur di continuare ad alimentarci, a rafforzare la nuova consuetudine distopica che, di fatto, ci sta privando non già del lavoro, ma dell’umanità.
Però, ehi, ci sfama.
Chissà per quanto ancora.

Juno Temple, fondatrice dell’Autofac e leader dei ribelli.

A quel punto, nell’ottica di un futuro salvifico, che – trattandosi pur sempre di un prodotto di meta-narrativa – arriva Amazon Prime Video con la sua Autofac autocelebrativa e ci dice che i protagonisti ribelli del sogno elettrico Dickiano, che altro non rappresentano che una quanto mai vagheggiata incarnazione dell’indomabile spirito dell’uomo, altro non sono che un prodotto di quella stessa fabbrica. Dei replicanti. Ché l’uomo è bello che andato da un pezzo, ormai.
È incapace pure di ribellarsi, l’abbiamo capito.

Sì, anche l’uomo pare diventato un bene di consumo. Anche quei ribelli artificiali che lo replicano e lo idealizzano sono stati creati, impacchettati e consegnati con uno scopo ben preciso. Restituirci libertà e dignità, o un’imitazione di quel perduto spirito, che abbiamo volentieri ceduto per un piatto di lenticchie.
Alla fine la distinzione tra originale e imitazione perde di scopo.

Se non è distopia allo stato puro questa…

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