Tra le serie che ho recuperato in questi mesi di pausa dal blog c’è Mr. Robot. A breve assisteremo alla seconda stagione, per cui questo non è un articolo del tutto estemporaneo o fuori tempo massimo.
Non foss’altro che Mr. Robot è radicata nella più profonda attualità. Al contrario di Black Mirror, che proietta nel futuro prossimo il nostro disagio, Mr. Robot ci mostra il Qui e Ora (sì, è anche il titolo del discusso articolo di ieri, e si sta rivelando il leit motiv di questo mio ritorno al blogging. Casualità… o forse no).
Il Qui e Ora è una semplificazione della contemporaneità. Si è sempre presenti a se stessi. L’istante è l’unica misura della vita che ci è data di possedere davvero. Riusciamo a quantificarlo, almeno a livello empirico, lo assaporiamo, ci piace.
Consumiamo la nostra esistenza istante, dopo istante, dopo istante, talvolta riuscendo tramite deduzioni statistiche, a prevederne il futuro.
È la vita 2.0, diretta discendente dell’internet.
Un frullato di paranoia, onnipotenza, esistenzialismo e depressione combattuta a suon di psicofarmaci.
O è un modo per intendere il presente. Per decodificarlo tramite una presa di coscienza che è nostra esclusiva, figlia del progresso, vanto della nostra civiltà.
Sempre a causa dei post di questi giorni, sono stato tacciato di pessimismo cosmico: vedo tutto nero, sono convinto (a torto, ma del perché io abbia torto non mi è stata fornita spiegazione alcuna, ndr) di vivere in una distopia teorizzata negli anni Ottanta, quando la grafica era una manciata di bit e il titolo di questo blog sarebbe stato così:
Che poi è lo stato mentale del protagonista di Mr. Robot, Elliot (Rami Malek). Che decide di distruggere il sistema vigente per salvare il mondo. Come? Distruggendo le banche dati di ogni transazione finanziaria. Rendendo nulle, di fatto, le montagne di denaro virtuale sulle quali si basa l’economia moderna.
Vi svelo una cosa:
anche io desidererei veder crollare la società attuale
Tutto, ogni cosa affanculo.
…
*sospiro*
…
Sì, dicevo…
Così come, credo, ogni uomo della mia età non uniformato ha desiderato, come Elliot, di vedere abbattere il regime in cui s’è venuto a trovare semplicemente perché è venuto al mondo. Regime istituito dai suoi simili e che, per mancanza di alternative e forza fisica e/o potenza nucleare non possiamo scalfire.
In breve, o ti mangi questa minestra, o ti butti…
Ma attenzione, questo non fa di me un sociopatico. Non necessariamente, per lo meno. Voler vedere il mondo precipitare in un buco nero non significa adoperarsi attivamente per farlo. È solo una vocina di fondo, una scintilla di ribellione verso le tante, piccole meschinità quotidiane dalle quali siamo bombardati e vessati ogni giorno:
– il treno in ritardo
– l’impiegato assenteista che ruba lo stipendio
– la posta che non arriva mai e quando arriva sono dolori
– la maleducazione degli automobilisti
– quella dei pedoni
– qualcuno che magari ci frega il posto nella fila per pagare alla cassa
Per tacere dei grandi abusi, e delle violenze.
Potendo, vorreste vedere un noto miliardario italiano piangere in ginocchio perché i suoi miliardi sono andati in fumo? Sì.
O una banca che vi ha fatto un torto spezzata, gli impiegati andare via mesti con le scatole di cartone? Sì.
Lo vogliamo tutti.
E magari, se siamo fortunati, accadrà.
Stessa logica in Mr. Robot.
Ma attenzione, ché Mr. Robot, pur pagando la sua eccessiva ispirazione verso Fight Club, non è semplicemente il delirio di onnipotenza di uno schizofrenico, o un panegirico sulla “inner revolution”, la rivoluzione interna, o intima, che nasce da un minuscolo ingranaggio di quello stesso sistema che vessa la società (fuck society, a proposito). In essa ravviso, bensì, proprio la piccola meschinità quotidiana che ci piacerebbe combattere e schiantare.
Se Elliot ama giustificarsi pensando di fare un favore a tutti, è in realtà il suo stesso disagio che lui sta esorcizzando. Il suo egoismo e la sua incapacità. Lo fa in un modo altamente spettacolare e dai contenuti radicali, ma si tratta pur sempre di meschinità personale.
Elliot usa la società come farmaco per curare la sua depressione, che è essa stessa causata, o quanto meno acuita, dalla società stessa.
Per cui lui decide di cambiarla, resettandola. Dandole un reboot.
In una società ideale, in cui ognuno di noi fosse soddisfatto, nessuno avrebbe necessità di operare al di là del proprio quotidiano. Di sospirare sognando macerie.
Ciò a cui miriamo maggiormente è la nostra soddisfazione personale.
Esatto, ci siete arrivati: sognamo il nostro piccolo, meschino orticello.
Se quel fazzoletto di terra sta bene e fiorisce, siamo felici. Altrimenti siamo depressi.
Non ci sono eroi tra noi. E nemmeno Elliot lo è.
Quindi non è rivoluzione contro il potere, a mio avviso, il messaggio di Mr. Robot, ma rimedio alla personale insoddisfazione.
Siamo ancora lontani dal “ragionare come specie”, per un futuro dell’uomo. Siamo, forse anche inevitabilmente, dopo un secolo così difficile come il Novecento, concentrati su noi stessi. E poco altro.
A riprova e come contraltare abbiamo l’insoddisfazione di Angela Moss (Portia Doubleday) che usa le proprie armi seduttive per entrare a far parte proprio del più grande conglomerato di ricchezza della terra, la Evil Corp. Non per idealismo, ma per esigenza, “costi quello che costi”. Perché non ne può più di essere coi conti in rosso. Perché le piace comandare a bacchetta il commesso di un negozio di scarpe.
Piace a tutti noi.
Siamo ancora una specie piccola piccola.