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Antologia del Cinema

Una Poltrona per Due (1983)

Il film di Natale. E, probabilmente, non sto a tediarvi con inutili calcoli il 22 Dicembre, il film che ho rivisto più volte. L’ho fatto anche ieri sera, e lo riguarderò il 24 prossimo, dato che, come ogni Vigilia che si rispetti, anche quest’anno andrà in onda in prima serata, facendoci sentire meglio.
Che ci dobbiamo raccontare?
Una Poltrona per Due (Trading Places) è come Rocky, un monumento della cinematografia. Come Rocky è il film perfetto, dall’intreccio infallibile, la caduta in miseria, della quale si è vittime più che responsabili e la risalita veloce, verso l’olimpo della ricchezza, accompagnata dal gusto della vendetta verso coloro che quella condizione infelice hanno causato, vendetta che è anche contrappasso, moralmente giusto, forse, ma di certo cinico. Forse persino cattivo.
E proprio per questa sua perfezione intrinseca, non riesce ad annoiare. E per una volta non mi affido alla critica, al gusto, all’effettiva qualità presente in ogni reparto, non foss’altro che c’è: è evidente. Sono i fatti a parlare. E la memoria. Questo film va in onda ogni anno, a Natale, da quando ero bambino. Non so cosa voglia dire, ma è la costanza che colpisce. E l’affetto con cui, di anno in anno, viene accolto dal pubblico.
Landis alla regia, quando ancora la sua commedia era divertente e irriverente. Titolo originale Black and White, cast originario Gene Wilder nel ruolo di Winthorpe e Richard Pryor nei panni di Ballantine. Pryor è fuori, per qualche buona ragione. Gli subentra Murphy, ma a questo punto il film si ridurrebbe a Wilder più il sostituto negro di Pryor, quindi fuori ache Gene. Arriva Dan Aykroyd. Duo perfetto. Funzionano. Si può girare.

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E si parte con Philadelphia, col fotogramma dedicato alla statua di Rocky, quella del terzo capitolo, che ancora abbellisce la città del suo mito moderno e fittizio sulle note de Le Nozze di Figaro. Ecco, uno può non sapere che la musica è di Mozart, ma quelle note restano scolpite nella mente, e quelle immagini, i quarti di bue tagliati per essere venduti per Natale, la pancetta di maiale, i commercianti a chiappe strette che non sc… faranno l’amore con le loro mogli se non riescono a vendere e… il succo d’arancia surgelato, l’impero economico sciocco, al confronto con i grandi imperi della storia, attorno al quale, negli anni ottanta, si svolgono le lotte del potere.
Perché si pensa alla commedia, quando si guarda Una Poltrona per Due, dimenticandosi della perenne satira sociale con cui Landis tratteggia i suoi lavori: l’oro è un bene di consumo, come il pane e il bacon, servito su un piatto a colazione, in mano a vecchi miliardari arraffoni che determinano i destini dei poveracci. Questo è un modo di vederlo, sì, magari guardando con nostalgia alle Torri Gemelle, che troneggiano immense e ferali nell’ultimo quarto d’ora, quello della rivincita e della vendetta: quasi un rape and revenge fuor di contesto, o metaforico.

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Fa specie sapere, oggi, che le linee di dialogo affidate a Dan Aykroyd, nelle quali Winthorpe si riferisce alle Twin Towers dicendo che lì dentro o si uccide o si è uccisi siano state “coperte” nelle attuali edizioni del film per non urtare la sensibilità dei familiari dopo i fatti del 2001. Brutto segno, questa specie di moralismo storico revisionista, che pretende di correggere il passato per non urtare il presente, come non si sapesse che lì dentro, per decadi, si sono succeduti squali della finanza cinici e stronzi. Ma adesso, è tempo solo di sciatta morale.
Ma noi, che non apparteniamo a queste schiere, custodiamo la nostra copia, senza censure, e godiamo a ogni battuta cattiva, persino a quelle a sfondo razzista fatte da un Duke all’altro: “Ballantine non ha niente che non va!”
“Ma certo che ha qualcosa che non va: è un negro, Randolph!”
E ok, alzi la mano chi non la trova geniale, per come è pronunciata e soprattutto perché a dar vita a questo scambio sono due figure uniche: Ralph Bellamy, un signore che in vita sua ha fatto qualcosa come centonovanta film e Don Ameche, un centinaio di film in meno, ma memorabili.
Due grandi vecchi, che a stare sul set insieme a loro c’era solo da ringraziare. Dirigerli poi, e guardarli divertirsi e far divertire, eccellere, nel ruolo dei miliardari vecchi, scapoli, cinici, razzisti e annoiati tanto da sperimentare studi sociologico-evolutivi sulla pelle degli altri, è meraviglioso.

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Denholm Elliot è Coleman, il maggiordomo che tutti vorremmo, che ci accende l’idromassaggio e bevacchia con gli invitati al party e poi, Jamie Lee Curtis, Ophelia. Per lei dire bellissima e bravissima è poco, aggiungete voi il resto, insieme al fatto che si traveste da Inga e viene di Svezia.
Colpiscono i comprimari, tutti. Dagli agenti alla stazione di Polizia che maltrattano Winthorpe, a Clarence Beeks, spia del Dipartimento dell’Agricoltura e faccendiere dei Fratelli Dukes e poi Penelope, la fidanzata viziata di Winthorpe, la sconosciuta Kristin Holby che ha recitato in un solo altro altro film (e che film), Manhunter, per poi sparire dalle scene. Ma noi ce la ricordiamo tutti, mentre aspetta seccata e disgustata in sala d’attesa che Winthorpe venga scarcerato, e spruzza deodorante spray, di nascosto, sulla schiena del suo vicino di sedia, puzzolente. Comprimari che, come era d’uso, erano caratterizzati più e meglio rispetto ai protagonisti: avevano poco spazio, pochi minuti e pochissime battute, perciò dovevano emergere subito, bucare il video, tramite espressioni, gesti, vizi e vezzi, “Mammina vuole far annullare il matrimonio! Devi essere ammattito, Louis!”.

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Doppiaggio allo stato dell’arte, una condizione e una constatazione che, ormai, ripeto troppo spesso. Ma la realtà è questa. Commedia sopraffina, mai volgare, si dice punto massimo della carriera di Eddie Murphy, cosa che, sebbene abbia apprezzato sia in 48 Ore che ne Il Principe cerca Moglie, mi trova d’accordo. Dan Aykroyd è magro, non lo vedremo più così, molle e viziato, ma alla fine lo amiamo, anche perché sposa una prostituta; il cuore è la prima cosa, non si dice così? Murphy guarda dritto in camera, marchio di fabbrica di Landis, mentre lo trascinano in gattabuia dove illustrerà la temibile tecnica del mezzolitro, e sappiamo che lo spettacolo è iniziato, il gioco degli scambi, l’agnizione, la rivincita di Natale. Spettacolo unico. Anche quest’anno.

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