L'Attico

Una di quelle cose stupefacenti

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E di cui normalmente non mi curo affatto, ma che…
stavolta mi ha fatto riflettere.

I fatti:

– Un giornalista silurato perché, stando a quanto è emerso, ha scritto esattamente ciò che gli è stato chiesto di scrivere dalla stessa redazione (che però, complice il ferragosto, parla di sviste di controllo). L’unico, tra l’altro, tra tutti i responsabili della vicenda, a farne le spese. Per la serie: ci liberiamo della zavorra, così il pubblico è contento.

– La gogna mediatica, che tale non è in partenza, trattasi infatti solo di un video-critica-domanda sul tubo, ma che lo diventa grazie a internet e al sistema di commenti e alla caterva di follower iracondi.

– Il solito polverone italico di pro e contro che mette in secondo piano la vicenda principale: la violenza su una donna. Argomento sul quale, io credo, data la gravità, è bene essere sempre e comunque seri.

Perché c’è bisogno di essere (e restare) seri? Perché il mondo è popolato di gente assolutamente incapace di comprendere cose come ironia e sarcasmo, per loro stessa natura fraintendibili. E quindi, su cose come la violenza, è inconcepibile anche solo pensare di poter scherzare. Per la serie, mai pretendere dal pubblico ciò che il pubblico è inadatto a possedere: nella fattispecie la saggezza.
Ma questo è il mio modo di vedere.

La mia riflessione, più che sull’episodio in sé, è sul mezzo internet, che mi vanto di sporcare dal 2009.
Andrò per punti:

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a) ma quale peso possono avere, a conti fatti, su una rivista di tali dimensioni come GQ, un video sul tubo che conta (alle 15:27 del 20 Agosto 2014) solo 12.871 visualizzazioni (non certo milioni) e 700 (circa) commenti?

– evidentemente enorme, dato che si è proceduto, in tutta fretta, a “giustiziare” il giornalista in questione. Enorme e terrificante. Cosa su cui riflettere. Perché, magari, questo peso ce l’abbiamo tutti noi imbrattabit, l’abbiamo di certo intuito, mica siamo fessi come ce l’hanno sempre raccontata e ce la raccontano, solo che ci hanno sempre sussurrato il contrario, ovvero che senza una guida dall’alto di non si sa quale autorità, NOI blogger e quant’altro NON VALIAMO UN CAZZO.
E invece, non solo valiamo, ma i cosiddetti dinosauri (i grossi editori, e tutti quelli che detengono il potere mediatico) sono terrorizzati dai social network e dalla potenza polemica che offrono gratuitamente, pur facendone un impiego sfacciato e spietato. Una contraddizione in termini che è indice di debolezza senza precedenti. I dinosauri sono terrorizzati, confusi e quindi protagonisti di reazioni estreme e irrazionali. Cose sulle quali si potrebbe imbastire uno studio antropologico di quelli seri.

b) internet è, una volta per tutte, un organismo vivente che vive e si nutre della polemica (e di poche altre cose).

– non c’è niente da fare: polemica (e seguente indignazione per mostrare bellamente le proprie virtù morali inattaccabili), figure (da guardare, non da leggere), e classifiche sceme. Sono le tre cose sulle quali si fonda l’internet nell’anno del signore 2014. O almeno quelle sulle quali campa la società italiana. Ogni ulteriore commento a riguardo è superfluo.

c) far parte del sistema o niente

– ecco, tra le varie frasi lette, l’occhio m’è cascato proprio su questa, che poi è, sopra le altre, la cosa stupefacente del titolo. Il cui sunto è:

 

O fai parte del sistema, e ti mostri dritto, pur essendo il sistema una merda, oppure sei un coglionazzo destinato a fallire. (o non proprio, magari sono io che ho frainteso, ma, in ogni caso…)

Mi chiedo, da quanto tempo, esattamente, ci hanno ammazzato proprio quello spirito ribelle?
Che poi è sempre stato quello di chi al sistema non si adegua, ma che lo combatte con le armi che ha a disposizione. Quali che siano. Anche (e soprattutto), a parole.
Che poi doveva essere quella, la forza delle idee.
E invece…

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Io voglio scrivere. non è un segreto.
Il mio sogno, che poi testardamente sono certo si possa realizzare proprio tramite i mezzi che la stessa internet mi offre, è campare (e pagarmi le bollette) con la mia scrittura, coi miei ebook, e poco altro.
Ci si prova, decidendo di impiegare la mia breve esistenza in questo tentativo, piuttosto che restare a guardare. Ci si prova coscienti di aver difeso e conservato l’indipendenza e l’orgoglio di non aver mai ceduto a nessuno.
Questo è ciò che faccio.
Mi piace.
E non sto a rodermi il fegato per gli altri che, al contrario, di quel sistema vogliono assolutamente fare parte.
Solo che, quest’ultima, è una posizione che per quanto possa accettare, non comprenderò mai.

Il punto è che l’organismo fatiscente e obsoleto che tutto avviluppa, e in cui siamo immersi a ogni livello, che io chiamo sistema-italia, è talmente goffo e gargantuesco che, di fatto, ha reso impossibile per chiunque (non soltanto per noi che coltiviamo ambizioni scrittorie) costruirsi una carriera solo con le proprie forze.
Gli stereotipi (che, ricordo, si fondano su fatti reali), che vogliono ogni tentativo possibile solo tramite conoscenza-spintarella-etc… sono assurti a sistema.
Non importa che sia vero.
Importa che così venga percepito. Questo importa davvero.
Talmente radicato nella mentalità di ciascuno di noi da privarci anche solo della possibilità di concepire un’alternativa credibile.
L’orrore di questa situazione è palese.
E spinge talmente in là che i predetti mezzi coi quali coltivare la propria indipendenza vengono utilizzati come escamotage, o scorciatoie, tipo il kindle store per noi scrittori, come unico mezzo possibile per superare l’intasamento delle tubature che soffoca l’editoria tradizionale (nel caso in particolare che mi riguarda da vicino) e per “farsi vedere/notare” da quegli stessi dinosauri che, nonostante tutto, sono quelli che continuano a contare davvero e che, nonostante siano terrorizzati dal magma internettiano, decidono ancora tutto.

Quindi, adeguarsi al sistema, pur percorrendo vie alternative e “ribelli”, è il controsistema che oggi adottano quelli che vogliono, testardi, intraprendere questo tipo di carriera (leggasi scrittore) o affine.
Ma da quando in qua la rivoluzione consiste nello schierarsi col potere affermando che solo i fessi (o idealisti, va, diciamo così; oppure ancora i sognatori) pensano ancora che si possano cambiare le cose?
Hanno vinto loro, ché contro una generazione di ignavi orgogliosi di essere parte di un sistema aberrante e iniquo, e che, per di più, prendono per il culo quelli come me che ancora ci credono, nel cambiare quelle stesse cose, non c’è proprio nulla da fare, se non lasciare che tale sistema marcisca da solo, chiuda il suo ciclo come ogni organismo vivente e si tramuti in altro.
Lasciare la nave che affonda, in parole povere. Altrimenti la lotta diventa fine a se stessa, e priva soprattutto di scopo.
Ma in tutto questo, mai avrei pensato che si fosse davvero giunti a tale sfacelo culturale.
La realtà continua a sorprendere, sempre.
Per le ragioni sbagliate.

Kick-ass writer, terrific editor, short-tempered human being. Please, DO hesitate to contact me by phone.
    • 10 anni ago

    Mi pare che alla base di tutto ci sia un’esponenziale codardia, che coinvolge sia i capi redattori che il giornalista incriminato: un capro espiatorio che in fondo se l’è pure un po’ meritato, non tanto per l’articolo (che non ho letto, mi sono persa molto?), ma per aver fatto parte di un sistema malsano e dittatoriale solo per il vil denaro. Sì, diventa vile il denaro, in certi casi. Ovvero quando è il frutto di un lavoro fatto col culo, a comando, fottendosene del senso critico. Certo, quelli che ne escono peggio sono i responsabili di GQ, mi sento imbarazzata per loro. Questa gente che si caga sotto per una che fa un video insopportabile all’udito, che nella fattispecie conta meno di un ventaglio su un ghiacciaio, sarebbe gente competente? Sarebbe gente che dirige testate importanti e si mette in saccoccia soldi a valanghe? Che pena infinita.

    • L’articolo in questione è stato cancellato da GQ, ma è possibile reperire i passaggi “salienti” in rete.
      Sì, tutta la vicenda è paradossale.
      E entrambe le ipotesi a essa collegate sono state evidenziate qui:
      a) GQ si caga sotto di fronte a un manipolo di internauti che sbraitano e lanciano invettive
      b) GQ aveva altre ragioni

      E in fondo non me ne frega niente. Il punto che mi interessava dirimere era che c’è ancora gente, come me, che si oppone al sistema, che non ha mai desiderato farne parte, che con ogni probabilità non sarà mai invitato a farne parte.

        • 10 anni ago

        Puoi reputarti fortunello, allora 😀

        Comunque qualcuno dica a Nebo di leggersi molto attentamente Transmetropolitan, così forse capisce cos’è il sarcasmo e come lo si può utilizzare nel giornalismo. Se si crede Spider Jerusalem dei poveri, non ha capito una cippa. Al pari di Fabrizio Corona che si credeva Scarface (uhahahahhauahuahuahua).
        Magari poi lo passa sottobanco ai suoi ex datori di lavoro, sia mai che imparino qualcosa.

  • Oddio l’idea del pretesto per pagare uno stipendio in meno sorge prepotente al leggere di questa vicenda… D’altra parte se al tipo in questione (il cui articolo non ho avuto il piacere di leggere) piaceva andare sopra le righe per non essere scambiato con un “pettegolezo da salottino,” doveva anche rendersi conto che chi usa un certo stile aggressivo rischia, soprattutto ai tempi di internet, di finire come un gladiatore dato da sbranare nella gabbia dei deficienti, quelli che hanno sempre bisogno di aggredire qualcuno.

    • No no, a quanto pare era lo stile della rubrica che richiedeva di andare sopra le righe.

      • E del resto se lì lavori, ti tocca. Può anche non piacerti, ma ti tocca…

  • Premesso che di quelli che hanno visto il video oppure hanno commentato nessuno ha comprato il giornale (posso giocarmi al max 2) mi pare che il tutto sia solo una scusa per levarsi dalla schiena un giornalista (?) che non era più funzionale alla linea editoriale senza doversi giustificare oppure pagare, o affrontare rivendicazioni sindacali.
    La scusa che il direttore e/o il redattore “non hanno visto” è falsa come una moneta da 3 euro, la stampa non parte se non c’è l’ ok ufficiale da parte dei capi.
    E se hanno dato l’ ok senza guardare sarebbero i primi da cacciare a pedate nel culo.

    • Ho capito, ma premettendo che stiamo parlando di ipotesi senza alcun fondamento, nemmeno licenziare un giornalista su queste basi mi pare molto corretto. Voglio dire, l’autore non è l’unico responsabile e reo dell’intera questione. Quindi anche in questo caso ci si espone a rivendicazioni e quant’altro. Non mi sembra una via d’uscita comoda, quest’ultima.

      • non penso fosse assunto, avrà avuto una collaborazione pagata un tot al pezzo

  • L’idea che mi sono fatto io è che la redazione di GQ abbia colto la palla al balzo per togliersi dalle scatole un qualcuno che magari sopportava poco (vedi articolo da te linkato: con quelli della redazione sono scesi anche alle mani) ma che per contratto si dovevano tenere.

    Quindi si è avuto come presteso il video di una che non ha capito l’articolo, e che al momento della cacciata, prima ancora della cassa di risonanza enorme, aveva si e no 3000 views.

    Il pubblico conta? Dipende. Chi gestisce “cose” sa che ci sono influencer ed influencer. Sta a loro decidere come muovere la massa (s)mossa dagli influencer della rete, se a loro vantaggio oppure no.

    Rimane comunque un brutto caso, nelle modalità di fondo. Per quanto l’articolo fosse bruttarello, Nebo non meritava assolutamente quel trattamento.

    • Be’, è un episodio sul quale riflettere, anche se a me hanno dato da pensare più le prese di posizione di Nebo che altro. Cioè, ok, ti diverte far parte di un sistema che pare uscito da un girone dantesco, ma perché non provare a combatterlo?
      Tanto, a fare quello che ti chiedono di fare, la scopa finisce sempre nello stesso posto. Quindi… O sbaglio?

      • Pecunia non olet. 😀

      • Diciamo che è la “classica”(?) presa di posizione di chi, alla fine, proprio perchè fa parte del sistema, se ne fotte. Per carità, onore alla sincerità, soprattutto quando dice che per il danaro scriverebbe qualsiasi minchiata (e chi non lo farebbe?), ma l’idea che ho avuto io è proprio di paraculaggine.
        “Faccio parte anch’io del sistema, quindi me ne fotto di chi mi dice che faccio parte del sistema, tanto a me i dindini arrivano e chissenefrega gnègnè”.

  • Concordo soprattutto sul fatto che il sistema fnziona perché le persone sono convinte che funzioni solo il sistema.
    Non è necessario impegnarsi per implementarlo – basta fare in modo che la maggioranza sia convinta che non si può fare diversamente.
    Non hai più bisogno di usare dei sotterfugi perché chi ti circonda non riesce a immaginare altri metodi per operare che non siano sotterfugi.
    Diabolico.

    Sul caso specifico, è una piccola storia di orrore, dalla quale nessuno esce pulito – non l’autore del pezzo (“ho solo eseguito gli ordini” è vecchia, come scusa, quasi quanto “sono stato frainteso”), i responsabili della testata (ferragosto, certo, erano distratti – immagino che per i giorni di distrazione non abbiano percepito stipendio, giusto?), i giustizieri solitari, il coro greco degli indignati.
    È pessimo.

    • Sì, è un episodio di assoluti. Una vicenda scomoda, dolosa solo per chi l’ha subita, ovvero la donna picchiata, e che solleva il solito coro di voci angeliche, che di angeliche hanno poco.
      Ma la cosa che detesto è che ormai qua si passa dalla parte del torto anche facendosi semplicemente i cazzi propri, come noi altri, nella fattispecie. Ché siamo noi i fessi che pensano che le cose cambieranno.
      Si è andati un pochino troppo oltre, con la teoria della cospirazione.