Ho appena letto, dopo tanto girovagare, due righe su quella che sarà, verosimilmente, la trama del prossimo reboot di Conan il Barbaro, datato 2011, per la regia di Marcus Nispel:
The tale of Conan the Cimmerian and his adventures across the continent of Hyboria on a quest to avenge the murder of his father and the slaughter of his village. [fonte: IMDb]
per i non anglofoni:
La storia di Conan il Cimmero e le sue avventure attraverso il continente di Hyboria in una ricerca per vendicare l’assassinio di suo padre e il massacro del suo villaggio.
Ok, la metto come un qualsiasi commentatore americano: SERIOUSLY?
DAVVERO la sbandierata rinascita consiste in questa minestra riscaldata al microonde? Ma perché? Perché ci devono prendere per il culo?
No, perché pensare certe cose del personaggio Conan vuol dire non aver capito nulla del personaggio Conan, della mitologia che incarna, e di tutta la letteratura howardiana.
Per non parlare del cattivissimo gusto e della pavidità dimostrata dalla volontà di non allontanarsi dall’intreccio sul quale si basa l’unico vero film sul barbaro, e allo stesso tempo estraneo a esso, costruito in maniera magistrale, stavolta sì, sul motivo della vendetta. Il film di Milius è un alieno omaggio a un personaggio che, per stessa ammissione di quei cineasti che presero parte al progetto del 1982, essi non conoscevano.
Ma, come sempre, c’è modo e modo di gestire l’argomento. Conan howardiano, a quindici inverni, si scaglia insieme a decine di altri clan della sua terra, la Cimmeria, nell’assedio di Venarium, forte aquiloniano, per massacrare lui stesso tutti gli stranieri invasori. Questo, per la cronaca.
Marcus Nispel è un nome che mi dice tante cose. E nessuna di queste mi piace.
Se l’obiettivo è un film su Conan, esso deve parlare di Conan, della sua forza e della sua ira. E di poco altro, compreso il suo destino.
Tutto il resto, la vendetta, l’onore, la virtù [Conan NON è un virtuoso], il rispetto, le fanciulle buone e cattive, i soliti cliché cinematografici sull’eroe positivo, perdono, se associati al Cimmero, immediatamente significato. Anzi, non l’hanno mai avuto. Ehi, ma c’è Rose McGowan e Rachel Nichols, che lo stesso non c’entrano nulla col Cimmero, così, a naso, ma almeno sono belle da vedere.
Non potendomela prendere con Nispel più di tanto, perché sarebbe sprofondare ancora di più nel becero pregiudizio, preferisco parlare/sparlare brevemente dello strano caso riguardante la disparità di resa tra il secondo lungometraggio avente il barbaro come protagonista: Conan il Distruttore (“Conan the Destroyer”, 1984) di R. Fleischer, e la graphic novel generata, questa sì per vendetta, “Il Corno di Azoth” (“The Horn of Azoth”,1990) a cura di Roy Thomas e Gerry Conway.
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Conan il Distruttore
“Conan il Distruttore” è un film mediocre. Inutile girarci intorno. Oserei dire che sfiora paurosamente i malmessi confini del b-movie, nonostante lo sforzo produttivo. E siamo d’accordo, a farcelo piacere, da piccoli, c’era sempre lui, Arnold Schwarzenegger, anche se questa volta pulito e pettinato, e nonostante i muscoli, davvero poco credibile come rozzo barbaro. Ma Schwarzenegger non è mai stato il Conan di Howard. Su questo, credo, tutti gli appassionati del Cimmero sono d’accordo.
Ma a lui, Arnold, si vuol bene comunque, anche quando si cimenta in faccette buffe per tutta la durata del film, alle prese con una principessa verginella isterica, alta un metro e un tappo, e un nero armadio di guardia del corpo con annessa mazza di ferro e, soprattutto, con una sceneggiatura deragliante da soap opera in salsa fantasy, tenuta insieme solo in virtù del montaggio.
Impossibile, però, non godere quando una volta in più, Schwarzy fa roteare la spada. Un gioco non troppo complicato, a dire il vero, ma che agli occhi del telespettatore bambino, concede attimi di pura estasi. Poi, da grandi, ci si rende conto che il rumore dei fendenti, quel woosh-woosh di spadoni che tagliano l’aria prima ancora delle teste, è stato aggiunto in post-produzione. E finisce il godimento postumo. Un coito interrotto.
D’altronde, appare altrettanto impossibile giustificare un film dove persino la colonna sonora, affidata allo stesso Basil Poledouris, è riciclata, in un lavoro sopraffino di taglio e cucito, da quella del primo film. E nonostante tutto, le splendide musiche fanno il loro sporco lavoro. Dagoth, il dio Dagoth, che si trasforma in rospo gigante grazie alle sapienti mani di Carlo Rambaldi, sembra quasi un vero falso dio pur nell’immobilità di una statua di carton-gesso. E la Regina Taramis, prostituta di lusso di Shadizar la Corrotta, sembra sul serio una regina folle e ambiziosa che vuole sacrificare al dio la verginità di sua nipote.
Tutto mediocremente bello, arricchito dalla malinconia e dai ricordi d’infanzia. E tutto lontano anni luce dal Texas Hyboriano di Robert E. Howard e dal suo Conan.
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Adattamento
Poco più su parlavo di vendetta. Accessoria in Howard, ma sempre presente nel mondo reale. Gerry Conway fu l’autore della sceneggiatura originale di “Conan il Distruttore” insieme a Roy Thomas.
Entrambi restarono scandalizzati dall’osceno adattamento riservato al loro lavoro.
Piccolo excursus: adattamento è una parola che odio sempre di più. Perché indica, lungi dal necessario ritocco inteso a migliorare la percezione e la fruibilità di una qualunque opera d’arte, il bieco tentativo di renderla appetibile al vasto pubblico, ovvero la precisa volontà di incassare soldi a palate a scapito della qualità.
Il grosso pubblico è quello, non già in sovrappeso, ma quello che si accontenta di eroi idioti, storie già finite ancor prima di cominciare, cattivi sghignazzanti, e eroine seminude.
Se il grosso pubblico vuole questo Conan, avrà questo Conan e poco più: Rose e Rachel, magari seminude o nude.
Roy Thomas, invece, il suo Conan ce lo ha regalato per tanti anni insieme a John Buscema. E, nel 1990, persuaso sempre più della bontà della propria storia, né affidò le illustrazioni a Mike Docherty.
Nacque così la graphic novel Il Corno di Azoth. Identica storia, identici personaggi, ma, chissà come, questa funziona, quell’altra no. E io alla magia non ci ho mai creduto.
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Il Corno di Azoth
Conan è un barbaro, ama lottare, bere e sistemarsi ogni notte con una donna diversa, pagando. L’amore lo riserva all’unica donna, indomita e fiera, che è riuscita a strapparglielo dal petto: Bêlit.
Shadizar la Corrotta è la capitale del Regno di Zamora. Fedele al suo nome, all’interno delle sue mura, si assiste a ogni genere di corruzione fisica e morale.
Conan è immune alla decadenza della civiltà, eppure più di ogni altro ci sguazza dentro, appellandosi a tutta l’innata forza del suo essere per non restarne irretito.
Così arraffa tesori, si introduce nottetempo nella villa di un magistrato e lo ammazza nel sonno perché, in mattinata, questi ha condannato a morte un suo compagno d’avventura e, già che c’è, lo deruba tornando a sperperare il tutto in liquori e facili compagnie.
La verginella insopportabile e arrogante del film, Jhenna, qui è Natari, ed è una figlia che compie una missione per conto di suo padre, oscuro sacerdote, recuperare il corno di Azoth, un manufatto che, si dice, posto sulla fronte di una statua di pietra a Shadizar, ne cagionerà la rinascita.
Nessun fattucchiere, maestro degli specchi, che vive in un lago fatato, ma una torre, ben difesa da mercenari, nella quale Conan, da ladro e assassino, si introduce per rubare, agli ordini di una donna che lo ha assoldato chiarendo quasi subito di non essere compresa nell’accordo. Il figlio, ancora un ragazzo, dello stregone derubato e ucciso, tenterà a sua volta di uccidere Conan in più occasioni, mentre l’ambizione sfrenata del mandante della missione, il perfido sacerdote, arriverà a sacrificare ad Azoth la stessa figlia.
In Italia, questa versione della storia fu pubblicata dalla ComicArt. Vi consiglio di recuperarla. A differenza del film è una storia robusta, non eccellente rispetto alle vette di Roy Thomas, ma paragonata al film è oro colato.
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Soffio vitale
Natari: “Quale dio adori, barbaro?”
Conan: “Il mio dio è Crom! Soffia la vita nell’uomo quando nasce… lo rende forte… e poi con lui ha finito.”
Conan è il soffio vitale. Inarrendevole verso il fato, verso i nemici, verso la morte. Il mondo è pronto, come sempre, a farsi calpestare dai suoi agili piedi. Le donne sono pronte a farsi stringere tra le sue braccia possenti. Le spade a essere brandite e a grondare sangue. Perché ogni istante può essere l’ultimo e va vissuto in pienezza assoluta.
O si capisce questo, accingendosi a ridare vita e spessore al Cimmero cinematografico, o è meglio lasciar perdere.