Quando un posto è abbastanza affollato da avere bisogno di documenti d’identità, lo sfacelo sociale non è molto lontano. È tempo di trasferirsi altrove. La cosa più bella del volo spaziale è che ha permesso di andare altrove.
E se non sono documenti d’identità, come scriveva Heinlein, sono i colori.
Andare altrove.
Fuggire lontano.
Solo che non abbiamo ancora inventato i viaggi spaziali. Quindi, la lista dei posti in cui fuggire si restringe drammaticamente. Siamo costretti, su questa roccia.
Ecco, la cosa che più importa del Racconto dell’Ancella (Margaret Atwood) è che i suoi elementi distopici sono, in realtà, elementi storici.
Tutti i segnali più raccapriccianti del Racconto (e della serie, The Handmaid’s Tale, che comunque si prende delle libertà anch’esse storicamente accurate) sono accaduti da qualche parte, in qualche angolino del nostro pianeta.
Sarebbe il caso di farci i complimenti.
No, davvero.
E io sono un ottimista, un fan della specie umana. E prima o poi parleremo del livello di civilizzazione che abbiamo raggiunto e che, chissà perché, viene taciuto dai media, che preferiscono parlare solo di disgrazie e carestie. Ma andiamo avanti.
A cominciare dai colori.
Rosso per le ancelle.
Blu per le mogli.
Verde per le Marte… etc.
A ciascuno il suo colore.
“Questo è il mio colore!” asserisce, in un moto di fierezza, quasi, June, di fronte a chi mette in discussione il suo ruolo designato.
Lei odia tutto questo, ma, in un certo senso, la sopravvivenza e l’abitudine (soprattutto l’abitudine) cominciano a renderle familiare la situazione, per quanto sgradevole.
Quindi il rosso, che storicamente è il colore della passione, è il colore sociale di June.
Lei appartiene a una certa casta.
Il colore la identifica, senza possibilità di errore, senza ambiguità.
Come un documento di identità.
Una società ordinata non ammette confusione.
Ecco, se sapessi cosa spinge, precisamente, l’essere umano a vestire colori e a dirsi portatore di virtù da imporre agli altri per “migliorare la società”, probabilmente a quest’ora starei scegliendo un colore, per tutti voi.
Vi sono venuti i brividi, vero?
Capite cosa intendo?
È un insieme di presunzione e distorsione, questa smania di controllo sociale.
Il modo di vivere, il codice etico, sono invenzioni della religione, in ultimo dell’essere umano. Mali che non possono essere eradicati, non con la facilità con cui si discute di una partita di coppa.
La mente consuetudinaria è ciò che, allo stesso tempo, pretende ordine e non tollera il cambiamento, qualunque esso sia.
Il vivere in società vuole compromessi, certo, altrimenti sarebbe impossibile, ma si suppone che tali compromessi limitino, col nostro assenso consapevole e informato, la nostra reciproca libertà per il bene comune.
Dire agli altri cosa indossare, come mangiare, come accoppiarsi e chi amare lo capite bene, a livello inconscio, sono intromissioni intollerabili per un individuo.
Eppure…
Le vediamo commesse ogni giorno. Ogni singolo giorno.
Il passo, dal dirci come dobbiamo vivere (cosa che, per dirne una, la Chiesa cattolica fa ancora oggi, nell’anno del signore 2017) al darci i colori, le divise, le uniformi, non solo è breve…
è che questa distanza non esiste proprio, in quanto, storicamente, già accaduto.
Nel Racconto dell’Ancella la rivoluzione bonaria di una società per la creazione di un mondo migliore non soddisfa, certo, tutti. Solo chi è d’accordo con essa. Chi assegna i colori lo fa con violenza, senza ammettere repliche.
Il colore è la tua identità: un concetto il più possibile omnicomprensivo. Identità universale, che dal solo colore rivela a chi lo chieda la nostra linea di condotta, i nostri gusti sessuali, il nostro lavoro, il nostro scopo. Una società senza sorprese.
C’è chi le odia, le sorprese.
Fare bambini è lo scopo delle ancelle.
E il vostro?
Siate sinceri. Vi piace il vostro colore? O state già facendo i bagagli per lasciare il pianeta?