Già. Sto ancora pensando al blog. Oggi avrei dovuto parlarvi de La Nona Porta e mostrarvi infine le nove illustrazioni, quelle porte che, se correttamente attraversate, vi condurrebbero all’inferno. Per chi ci vuole andare, ovvio. Magari lo farò domani.
Stamattina, però, m’è arrivata una mail. Rispettosissima. Una di quelle che ti fanno davvero riflettere. Diciamo che gli argomenti c’erano già, la polvere da sparo anche. E persino la miccia. Mancava chi facesse detonare il tutto con una scintilla.
Eccola qua.
E così, eccoci a parlare, se volete, della natura di questo blog.
Prima di continuare, colgo l’occasione per ringraziare pubblicamente l’autrice della suddetta mail e per prometterle che le risponderò di sicuro, nei prossimi giorni.
E ora…
Come ho già avuto modo di dire, questo non è un blog di cinema. Magari lo è stato all’inizio, quando, da parvenu della rete, piccino piccino, che guardava tremante dalla finestra, credevo fosse fico riversare online i miei pareri su qualunque film mi piacesse, pescati a casaccio, nella mia videoteca, l’archivio segreto che è nei sogni dell’amico Luca visitare.
Book and Negative, da essere quindi uno pseudo clone di tanti altri blog, è divenuto un blog di passione: la mia.
Io sono uno che di passioni ne ha tante.
È bene chiarire che non disprezzo gli altri siti che si occupano di cinema, ma neppure li frequento, perché non mi interessano. Non sono affascinato dal mondo della celluloide come forse pensate. Delle star o dei registi più o meno grandi e dei loro metodi, non me ne può fregare di meno. Non aspiro a lavorare in quel mondo. Non è mai stato il mio sogno sedere su quella sedia e dirigere.
La verità è che l’etichetta recensione che accompagna i miei articoli, non è indicativa. È solo un metodo, consigliatomi da Norys, per essere meglio indicizzato dai motori di ricerca. Mai pensato, in verità, di scrivere recensioni.
Sbagliate se pensate che stia fregando. È vero invece che non ha senso scrivere e trattare di certi argomenti se non si ha un pubblico.
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Il manuale chiuso
Quindi perché scrivo in continuazione di film e non di libri? Perché io adoro le storie e i personaggi. Tutto qua. E perché sono astigmatico e la lettura mi stanca.
Datemi una storia, vissuta da bei personaggi, e sarete coccolati e vezzeggiati dal sottoscritto.
Al contrario, datemi una storia pessima, e peggio ancora presentata come un capolavoro, e sarete distrutti.
Questo è il mio modo di fare critica. Semplice e tagliente. Premiare il merito. Stroncare la mediocrità, per coloro che hanno orecchie per sentire e occhi per vedere. Questi ultimi sono sempre meno. Sembra una ovvietà, la faccenda di premiare il merito, ma pensateci: quante volte accade? Sapete rispondere a questa domanda?
Non ho mai studiato cinematografia, né tantomeno frequentato corsi (se esistono) di critica cinematografica.
Io, se davvero vengo stimato, sono qui a rappresentare la dannazione di coloro che, essendosi fatti il culo sui libri per poter correttamente esaminare un film, non ci riescono.
Mai detto di essere un santo, in effetti. E che le mie idiosincrasie piacciano, insieme alle mie recensioni, al contrario, me l’avete detto proprio voi. Che mi sopportate nonostante il mio deplorevole eccesso di personalità. E non finirò mai di ringraziarvi, perché con voi si riesce a dialogare. Siete preziosi.
Posseggo un solo, vecchio, dizionario Mereghetti. Perché me l’hanno regalato, credendo di farmi un piacere. Ma non lo consulto mai. Se ne resta chiuso ad accumulare polvere. Però è ben scritto. Mi piace, persino.
Non ho miti del cinema, ma soltanto dee. E non perché fossero o siano brave a recitare…
Non mi ispiro a critici cinematografici famosi, perché i loro discorsi mi annoiano, con rispetto parlando, per quanto possano risultare tecnici e professionali. Non è colpa di nessuno. Sono fatto così.
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Il Metodo
Esiste, dunque, un metodo che seguo, al di là del merito, per scrivere i miei articoli?
Uhm, a questo punto vorrei tanto che ci fosse. Avrei potuto trarne un libro, pubblicarlo e farci dei soldi, e diventare l’idolo dei manualisti. Coloro che vivono per seguire i sistemi corretti di fare le cose, da manuale.
Quindi, no, non seguo alcun metodo. Né mi sforzo di apparire simpatico.
Guardo un film e noto i dettagli. Che, alla fine, sono quelli che impreziosiscono il tutto.
Gloria Grahame da sola è un bello spettacolo, certo. Ma senza quella mano di Glenn Ford a stringerle i capelli perde almeno il 40% di impatto visivo.
Il film, quindi, è un insieme di fattori. Bella scoperta.
Più armonico risulta tale insieme, più ci si avvicina al capolavoro. Per il resto, è tutto istinto. E voglia di originalità. Quest’ultima è mia.
Ma ho scovato questo interessante modello cartaceo con il quale la Essanay, defunta casa di produzione in quel di Chicago, dava il ben servito agli aspiranti soggettisti:
Come vedete, l’originalità, questa sconosciuta, era motivo sufficiente per respingere una proposta, ma non solo.
Metodo brutale, da stroncare i sogni. Sono d’accordo. Ma non credo si discosti poi da quelli seguiti attualmente. Se fossero applicati sul serio, ovvio.
Forse è utile ribadire che non approvo un regime di giudizio così netto. Ogni opera dovrebbe essere approcciata senza pregiudizi. Ma è utile conoscere i retroscena che portano alla scelta di un prodotto d’intrattenimento. Perché, da spettatore che si finge un critico, si capisce già dopo cinque minuti con che razza di film si ha a che fare. E si può decidere di conseguenza.
L’originalità è un bene prezioso. Non un dogma.
Il vero motore per produrre libri e film, però, è il denaro. Solo quello.
Be’, a costo di sembrare un idiota che vive, come da etichetta, tra Fantasia e Realtà, io mi dissocio. Sentire un editore o un produttore affermare che “un film/libro è girato/scritto perché deve essere venduto” è la morte artistica.
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Il non-critico
Qui ormai sto diventando sempre più simile a Hell, il mio alter-ego. Sempre più ribelle al conformismo.
La verità è che parlare in certi termini di film e compagnia bella è possibile solo finché si è liberi. Ovvero, quando lo si fa gratis.
Se arriva il denaro sonante, o quello che fruscia, con esso se ne va l’oggettività.
E si diventa schiavi.
E allora, ogni film della Pixar è l’ultimo capolavoro prima del successivo. Ogni film di Spielberg è l’opera di un maestro indiscusso del cinema. Ogni Oscar come miglior attore o miglior attrice è più che meritato.
Inutile dire che le cose non stanno così.
Tra i critici io mi sento ancora come Ash, con il mio bel fucile a canne mozze in mano. Ash non è un critico. Neppure Hell lo è.
E mi piace sentirmi così.