Prima che vada in onda la seconda stagione, ho deciso di riprendere l’analisi di questa serie televisiva dove l’avevamo lasciata, convinto che meriti qualche considerazione in più.
Questi articoli saranno pubblicati normalmente il mercoledì, oppure il martedì. Per cui, se vi interessa True Detective e la maniera in cui lo tratto, segnatevi quest’appuntamento.
Riguardo i temi del racconto, il world building, i personaggi e in generale tutto ciò che lo caratterizza, c’è un ostacolo che lavora contro l’opera di ogni autore: il tempo.
Più passa il tempo, più le idee vengono scoperte, messe a nudo, realizzate da altri. Così che qualunque creatore ha il dovere di documentarsi sulla sconfinata realtà delle opere che l’hanno preceduto, se non vuol correre il rischio di copiare.
Oppure, c’è un’altra via, quella della variazione sul tema.
Che in qualche maniera può accostarsi alla via alessandrina. Quella della variante rara del mito.
Si scriveva sempre degli stessi miti, nell’antica Grecia, ma qualcuno, di tanto in tanto, proponeva una variazione minuscola, ma così importante da suscitare il gustoso interesse dei fruitori.
È sempre la stessa storia. Da sempre.
C’è un messaggio.
C’è un veicolo.
C’è il destinatario. Che è il pubblico.
Il contenuto varia, può addirittura essere imprevedibile.
Nic Pizzolatto lo sapeva bene quando ha deciso di scrivere, per la TV, la storia di due detective, una coppia di investigatori che, lo sappiamo fin dalle primissime battute, costituirà il magico dynamic duo.
Niente di più abusato.
La vittima, vestita di corna di cervo, del serial killer di turno.
Una coppia di poliziotti che investiga.
L’indagine.
Eppure, in questo terreno accidentato del già visto, sono appunto le varianti, che intrigano.
C’è modo e modo di raccontare la stessa storia.
E Pizzolatto e tutti gli altri autori che hanno collaborato alla riuscita di True Detective, hanno impreziosito questa solita storia con tale varietà di situazioni e gusto della messinscena, da indurre a bruciare d’attesa.
S’intuisce un estremo e peculiare lavoro di caratterizzazione relativo ai due protagonisti, Rust (Matthew McConaughey) e Marty (Woody Harrelson) proprio in quelle che, a uno sguardo superficiale, potrebbero risultare essere sbavature e imperfezioni. Quei dettagli che non coinvolgono direttamente l’indagine principale, come ad esempio i danni cerebrali di Rust che alterano periodicamente la sua visione, o i dettagli del suo passato, del suo matrimonio finito a causa della morte della figlia. O addirittura la storia extraconiugale di Marty.
Sono elementi eteronomi, neutrali rispetto al mistero del killer di Carcosa e del Re in Giallo. Dati per acquisiti, e che quindi irrompono nella narrazione come già presenti e determinati.
L’impressione netta, guardando True Detective è di essere stati invitati, in quanto spettatori fortunati (o meno), a sbirciare attraverso finestre temporali, su esistenze diverse, costrette per il benemerito schema di vita sociale che noi, esseri illusi di avere una certa importanza nel creato e di operare un certo controllo sullo stesso, abbiamo inventato e ci siamo imposti.
Pizzolatto, quindi, basa questa storia su elementi classici e li rinnova.
La stessa gestione del dynamic duo contiene un’impostazione estremamente classica. I due protagonisti sono opposti in tutto, agli estremi l’uno dall’altro, creano quel chiasmo, laddove le controparti potrebbero essere la trascendenza e l’immanenza, necessario a equilibrare e rendere organico un rapporto che altrimenti risulterebbe impossibile da gestire.
Tanto proiettato in una visione del mondo alternativa è Rust, quanto figlio della terra, con le scarpe e le mani sporche dal lavoro è Marty.
Entrambi sono in conflitto. Sono personalità dedite all’estremo, ma per qualità di problemi opposte.
Rust che si sforza di interpretare, pur con attributi umani, il superumano, a cominciare dalla grande, e storica, illusione del religioso, del divino.
Marty che si crea i suoi problemi, molto più concreti, banali, quale può essere tradire la propria moglie, ma non per questo in grado di complicare meno la vita.
E in ogni caso, entrambi sono suscettibili al Segno Giallo.
Col senno di poi, avendo visto l’intera prima stagione e avendo apprezzato le contaminazioni di cultura popolare e di genere, ogni sorta d’indizio disseminato da Pizzolatto lungo tutti gli otto episodi, appare così evidente l’intento ultimo…
I due, nel pilota, approcciano il cadavere di una donna che indossa una corona di corna di cervo. Lei stessa è un simbolo, oggetto del messaggio di una personalità distorta che sta operando nel mondo degli uomini convinto di essersene distaccato.
Sulle spalle di questa è tracciato un segno.
Che ha la vaga forma di spirale, richiamata anche dall’intreccio dei rami alla base dell’albero stesso.
Entra in gioco, però, col necessario elemento che origina l’indagine e quindi muove la storia, avendo introdotto già gli investigatori in due brevi sequenze, la variante che spoglia la struttura stessa della narrazione da quella veste già nota, mascherandola.
Il Segno Giallo è sì creazione letteraria di Robert W. Chambers, ma è soprattutto alterazione della percezione.
Dei protagonisti, la cui vista della scena del crimine li scuote, di fatto cambiandoli.
Di noi spettatori, che ancora non ne siamo sicuri, ma a questo punto, a una manciata di minuti dall’inizio, siamo già persuasi di avere tra le mani qualcosa di diverso dal solito.
Della visione d’insieme.
Siamo entrati in una terra umida e paludosa, caratterizzata da una natura aliena, antica e ancestrale.
Probabilmente siamo già in presenza di Carcosa, solo che non ce ne siamo accorti.
Ma di questa città e del Segno e del suo Re Giallo avremo modo di riparlarne un’altra volta…
*
Link utili:
True Detective – Il Re in Giallo
True Detective – La Narrazione, L’Essere Umano e il Piano Sequenza
True Detective – L’Eterno Ritorno del Re in Giallo
Il Segno Giallo di Robert W. Chambers