Blog Cinema Serie Tv True Blood – stagione 7 (ep. 8) [recensione]
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True Blood – stagione 7 (ep. 8) [recensione]

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Ci trasciniamo stancamente verso il finale con momenti imbarazzanti e colpi di scena telefonati, tutto per chiudere una serie che dopo le prime due stagioni ha lentamente imboccato una gran discesa per poi accelerare su una buccia di banana. Come al solito, attenti agli SPOILERS. Sempre che ormai ve/ce ne freghi qualcosa.

La mini quest di Tara si è rivelata un deludente episodio de Il Tocco di un Angelo (titolo originale Touched by an Angel, che a me suona sempre ambiguo), con la nostra ex vampira che ha voluto riconciliarsi con mamma prima di incamminarsi nella luce vestita da vergine vestale. Gli sceneggiatori hanno perso il senso del ridicolo, già brutalizzato l’anno scorso. Poi ‘sti tre fattoni (perché stavolta si aggiunge pure il Reverendo su insistenza di Lettie Mae) con le facce ebeti e trasognate toccano quasi le vette eteree di una Fiction Rai dove tutti bisbigliano perché sono dei cani, ma per fortuna in USA recitano col diaframma e non portano una recitazione impostata da teatro in TV, dove non c’entra un cazzo. In ogni caso tutto si conclude con la rivelazione shock – ma sostanzialmente inutile – di Tara che confessa di aver voluto sparare al padre ma di avergli invece nascosto la pistola. Ah caspita, me lo domandavo dalla prima puntata, guarda. No, davvero, lo giuro su tutti i nasi di legno.

Si consuma in modo pasticciato e inutile anche la vendetta di Violet, un personaggio che avrebbe potuto dare di più ma che invece si scontra con la scarsa fantasia degli sceneggiatori e muore in una palla di ragù quando Hoyt le spara alle spalle. Certo, prima ha fatto in tempo a recitare il suo discorso da cattiva da operetta, ma sai che paura. Intanto pare che tra Hoyt e Jessica si riaccenda la scintilla nonostante la memoria formattata di lui, perciò Brigette se ne sta lì in prestito, specie dopo aver tirato fuori il discorso bambini ed essersi quasi beccata un editoriale di Erode. Jason è ancora allupato? Abbiamo ancora due episodi per scoprirlo, poi si chiude baracca.

Bill ma stai male?
– Mi sa che ho mangiato qualcosa di pesante.

Sarah Newlin è fuori come una tegola in una giornata di vento, ormai galleggia nell’aria convinta di essere una tortora invece di un coppo, blatera di messia e principesse della pace ma tutto quello che ottiene è gente che le infila dei calzini in bocca per farla stare zitta. Non una cattiva idea, devo dire. Lei però è la Cura e quindi è importante, specie per la Yokonomo che ha intenzione di ricavarne un prodotto – il New Blood, come dicevamo la settimana scorsa – solo che hanno intenzione di non farlo proprio perfetto. Insomma, non deve essere proprio una cura cura, ma giusto un tampone per creare una dipendenza. No, ma dai? Ci ero arrivato da quando se n’era iniziato a parlare. Chiaro che produrre la cura vorrebbe dire una bottiglia per ogni malato e poi buonanotte al secchio, invece un pusher non conosce mai calo della domanda.

Ma secondo voi, ci si può fidare di un industriale yakuza vestito da cow boy? Dai, su!

Tuttavia Eric e Pam, nonostante la fama di incalliti e smaliziati affaristi, cadono dal pero con tonfo sordo di chiappe di vampiro (gli sceneggiatori non conoscono e rispettano i loro personaggi, ormai è chiaro). Bill allora va portato in gran fretta dalla Newlin grazie al passaggio scoperto da Sookie: due assi smosse sul retro. No, ma sul serio? Già, perché la famigerata Yakuza fa la guardia solo all’entrata principale, quindi da dietro può passare chiunque (che appena si sparge la voce sarà assediata da Testimoni di Geova e piazzisti della Folletto). Bill però fa qualcosa di altrettanto ridicolo ma prevedibile – mi riferisco ai flashback tristoni – rinuncia alla cura, con gran scorno di Sookie e soddisfazione mia. By bye Vampire Bill. Non cambiare idea, eh!

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