Triangle è un mistery-horror-thriller del 2009, prodotto da First Look Studios, diretto da Christopher Smith e interpretato, tra gli altri, dalla bella Melissa George (30 Giorni di buio).
Ecco. Questo è tutto quello che posso dirvi senza sputtanare tutta la trama. Se volete altre informazioni sul cast, sulla produzione, sulle date di uscita e sull’edizione in dvd vi conviene andare qui.
Vi sconsiglio persino di guardare il trailer incorporato in basso, alla fine dell’articolo. Non perché sia brutto o mal realizzato, capiamoci. Ma perché anche quello, in meno di due minuti, è capace di spiattellare tutto l’intreccio, giuro.
Ad ogni modo, siccome oggi mi va di scrivere, ne parlerò lo stesso, che vi piaccia o no.
Se non volete rovinarvi la sopresa, vi suggerisco di fermarvi qui con la lettura, di NON GUARDARE il trailer, come ho già detto, e di prendere nota del titolo del film.
Vi consiglio anche di vederlo, perché è un bel film. E questo è tutto. Ciao.
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[ATTENZIONE! ALLARME ANTICIPAZIONI IN BLU!]
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D’accordo. Da qui in poi finisce la mia responsabilità. Se continuate, non dite che non vi avevo avvertito.
Uno yacht veleggia in acque tropicali con a bordo un gruppo di amici. Lo yacht è sorpreso da una tempesta, veloce quanto letale, che lo ribalta. I passeggeri si salvano temporaneamente issandosi sullo scafo ribaltato. Lì sopra si disperano, finché non sopraggiunge un transatlantico, piuttosto antiquato a giudicare dall’aspetto, e stranamente silenzioso.
Non c’è nessuno a bordo, eppure quell’assenza inspiegabile è avvertita da Jess (Melissa George) con un velo d’inquietudine, nonché una sensazione di familiarità, tipica dei deja-vu, rispetto a tutta la situazione. Girovagando nei deserti corridoi della nave insieme al resto del gruppo, Jess rinviene un mazzo di chiavi. Un’immediata verifica rivela che il mazzo di chiavi è identico al suo, portachiavi a forma di fiore compreso.
Da qui in poi, Triangle è un susseguirsi di paradossi temporali, seguendo il filo di una trama a incastro che svela prima per spiegare poi. Il miracolo è che il film ci riesce senza naufragare nella noia e, soprattutto, senza annoiare o abusare della pazienza dello spettatore.
Non aiutato dalla prima mezz’ora che risente di un montaggio troppo stretto e rapido che quasi confonde: non vengono spiegate le motivazioni del viaggio in mare, ad esempio, e neppure l’evidente stato ansioso e confusionale della protagonista già dalle primissime immagini.
Sottilmente inquietante, perché gioca a più riprese con la possibile spiegazione onirica o psicopatologica degli eventi, il film conduce a momenti inattesi, e di forte impatto, dove la protagonista è costretta a più riprese e da angolazioni differenti a fare i conti con sé stessa e con i suoi amici, ed essendo costretta a una perenne, veloce, folle rivisitazione degli eventi, o meglio dello stesso evento ripetuto all’infinito senza che le sia possibile interferire in alcun modo con ciò che appare essere già scritto e immutabile. Fino al ricongiungimento finale, in una sorta di circolo vizioso che rende vittima di deja-vu persino lo spettatore.
Certo, il paradosso temporale e la sovrapposizione delle realtà non sono temi nuovi, specie durante l’epoca di Lost e prima ancora di Hypercube (2002), che hanno costruito proprio sugli stessi, più il primo che il secondo, trame intricate e appassionanti, per quanto allo stesso tempo confusionarie.
Nulla di nuovo sotto il sole, quindi, non da questo punto di vista, almeno. Ma… ma, non è questo che conta, quanto la tenuta e la precisione con la quale il regista Christopher Smith riesce a incastrare ogni singolo tassello della trama, senza perdere tempo in inutili lungaggini.
Piccola produzione, la cui qualità è inusuale, ma non tanto sorprendente, visto e considerato che il buon cinema, oggigiorno, proviene solo da lidi similari, tutti mestiere e poche pretese.
Buon film. Che è anche una promessa per il futuro.