Associo l’estate a certi film ben precisi. Uno di questi è certamente Tremors, anno 1990, per la regia di Ron Underwood. Di sicuro lo conoscete tutti, anche quelli che fingono di avere gusti “elevati” e disdegnano prodotti come questo. Impossibile non ricordarsi dei vermoni sotterranei, i graboids, ribattezzati dal doppiaggio italiano del primo episodio come “agguantatori” (traduzione letterale di “graboids”) perché, all’epoca, chi lo sapeva che un filmetto bollato anche in patria come serie B, sarebbe divenuto un piccolo fenomeno di culto?
L’estate è qui incarnata dal deserto di Perfection, la cittadina geograficamente isolata tra le montagne del Nevada che vanta una popolazione, come da cartello stradale, di 14 anime.
Divertente vedere e rivedere “Tremors” ogni volta che passa in tv, ogni volta che se ne ha voglia, rispolverando la vecchia VHS o riversandola su PC, così come ricordarlo e parlarne, ma soprattutto, ancor più divertente deve essere stato girarlo.
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La genesi del suo motivo dominante: i vermi. Il richiamo alla saga di Dune (1984) e dei vermi di Arrakis è più che evidente. Ma, l’essenza di ogni idea è la sua infinita capacità di essere reinterpretata, riadattata, piegata a nuovi contesti.
S.S. Wilson, autore della sceneggiatura, raccontò che, mentre si trovava sotto le armi nel deserto della California a lavorare per conto della Marina [sì, ha detto proprio così; non chiedetemi cosa diavolo ci faccia la Marina statunitense nel deserto, però!], riposando su una roccia, immaginò che ci fosse qualcosa nascosto sotto terra ad impedirgli di scendere… Ecco che nacque, nella sua testa, il graboid. Anche se, per il battesimo ufficiale della creatura, si dovette aspettare la dichiarazione solenne, fatta sul set, da parte di Victor Wong (Walter Chang, il proprietario del mini-market nel film) che, quattro anni prima, se l’era vista, nei sotterranei della Chinatown di San Francisco, niente meno che contro David Lo Pan. Un padrino di tutto rispetto che esce di scena in modo memorabile, da star consumata appartenente a un certo modo di fare e di intendere il cinema.
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Concepiti i vermoni, non restava che farli agire in un contesto adeguato, che fosse allo stesso tempo scenografia e parte attiva nel racconto, al fianco degli attori. Così, oltre alle peripezie dei simpatici protagonisti, i cowboys Val (Kevin Bacon) e Earl (Fred Ward), dell’universitaria studiosa di sismologia, Rhonda (Finn Carter) e dei due maniaci delle armi e della sopravvivenza, Burt (Michael Gross) e Heather (Reba McEntire) abbiamo la lotta personale tra la cittadina, le sue case malmesse di lamiera e legno e i graboids che le scuotono dalle fondamenta.
Perfection è la cittadina immaginaria situata nel Nevada. In realtà, essa fu costruita, il set principale contenente il locale di Walter e le case dei protagonisti e quelli secondari, sparsi via via lungo l’unica arteria stradale della Valle, in due località della California, note per aver prestato la loro bellezza rupestre a numerosissimi altri film, uno fra tutti il recente “Iron Man 2”, Alabama Hills e Olancha.
Forse più degli attori, più dei graboids, più delle distese desertiche intervallate da cespugli e cinte di alte montagne all’orizzonte, sono le case fatiscenti di Perfection, quelle che ti restano in mente. Una cittadina sorta da e attraverso materiale di riciclo, che, non si sa come, produce quintali di spazzatura, talmente tanta che occorre un caterpillar per sbarazzarsene, isolata, della quale si ignora ogni cosa, quando, come e perché sia stata fondata e di cosa vivano i suoi abitanti.
La sopravvivenza, una situazione alla quale persino le case di Perfection sembrano avvezze, è il motivo fondante di questa ottima horror-comedy, se proprio dobbiamo inquadrarla in un genere preciso.
Io preferisco pensarla come una storia senza tempo, in ciò simile ad una fiaba, il cui unico scopo è intrattenere.
Vedete, il fascino e la completezza di una storia non dipendono solo dai sottotesti.
E non è in questo modo che io intendo la narrazione. La qualità, ciò che distingue una buona storia dall’essere nulla, è indefinibile e non misurabile. Per alcuni film, la perfezione rasenta l’indagine esistenziale, il simbolismo, per altri, meno altezzosi, forse, ma non meno intriganti, è nient’altro rispetto a ciò che si vede: sabbia, vermi giganti, e personaggi archetipici che tentano di cavarsi d’impaccio da una brutta situazione. Capite bene: non sto facendo paragoni improponibili. Sto parlando di preferenze, di gusti. In pratica di niente [di tangibile].
La bellezza è nella sua relatività. Che ti mette al riparo dai raffronti, che ti fa amare un b-movie così come un capolavoro della fantascienza.
Sono solo storie.
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Non sono mai stato in un drive-in, ma ne ho letto e visti talmente tanti rappresentati al cinema che mi sento di conoscerli bene, questi posti mitologici. Alcuni, tipo Joe Lansdale, ci hanno ambientano storie strambe, che pure ho amato, altri ci rappresentano la spensieratezza derivante dall’adolescenza, altri solo la passione per il vecchio cinema, quello delle locandine colorate, dove mostri innominabili stringono tra i loro bavosi tentacoli bionde fanciulle urlanti. La magia del cinema, di questo cinema, originale e rievocato, è che lo conosco pur non avendolo mai vissuto. Per me “Tremors” è uno di quei film da drive-in, da gustare a bordo di un’auto, una di quelle larghe dai colori iperrealisti, con la capote alzata, abbracciati alla vostra bionda Tammy-Lynn Dexter, nel buio, tra decine di altre auto piene di vostri cloni e di cloni della vostra Tammy-Lynn.
Questa è vera magia del cinema. Sognare di vivere in un mondo fatto di celluloide, cartapesta e polistirolo, sicuro di avere mezzi e gli strumenti per sopravvivere a qualunque situazione di pericolo, contro qualunque mostro ci si pari davanti, per salvare la nostra donzella in difficoltà. Lo so, a volte sono un romantico senza ritegno…
Approfondimenti:
Scheda del Film su IMDb
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