Blog Cinema Serie Tv The Walking Dead – stagione 4 (ep. 11) [recensione]
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The Walking Dead – stagione 4 (ep. 11) [recensione]

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Torno a scrivere di The Walking Dead dopo la graditissima pausa invernale, continuando ad alternarmi con Giordano, nello stillicidio delle recensioni, episodio dopo episodio, dopo episodio.

A coloro i quali ancora domandano: perché continuate? Rispondo: per non dare la soddisfazione, ai nostri detrattori, di veder sparire il contraddittorio. Tanto più loro vi racconteranno che questa serie è superiore, tanto più insisteremo nel farvela vedere per ciò che è: uno show televisivo rimasto intrappolato nella prima metà degli anni Ottanta, stile A-Team o poco ci manca, che stancamente (come i suoi protagonisti) si trascina verso un destino ignoto e che, cosa ancora più grave, pretende di fare dell’apocalisse uno spettacolo educativo per famigliole sull’orlo di una crisi di valori: vita, morte, non-morte, aldilà, drammi adolescenziali sotto l’ombra di qualche migliaio di cannibali putrefatti.

Cose di ogni giorno, per carità. Non trovate anche voi?

E quindi, trovo abbastanza inutile interrogarsi ancora sul perché di certe scelte narrative che caratterizzano questa serie. Perché nonostante le critiche e le prese in giro, gli ascolti la premiano, e quindi, se piace al pubblico, gli autori stanno facendo bene per forza, siamo noi che non capiamo, no?

Ehm… no.

No.

No.

Esempio: Rick, Carl e Michonne costituiscono la famigliola tipica di un’America tollerante e cosmopolita. Che invade il terzo millennio

La famiglia Bedford, ma allargata al politically correct post-apocalittico.

E così, mentre il paparino ha rinunciato alla leadership ereditata dagli Anni Cinquanta (Dad knows best), dichiarandosi sconfitto e bisognoso di riposo sul divano a righe della Omashab del cazzo, la mamma surrogata e il figlio quasi-adolescente si dedicano al pasto più importante della giornata, la colazione.

Carl è depresso.

Chissà perché. Voi che dite?

Forse perché è costretto a vivere in un mondo in cui venire sbranati non è più una possibilità che è tale solo se vai dallo psicanalista sbagliato, ma una certezza?

Eppure, gli autori nel corpo di Michonne trovano che, dopo quattro anni, sia ancora il caso di star lì a fare approfondimenti psicologggici, che sono tanto belli e poi i ragazzini che seguono lo sciò si identificano. E quindi: Ma Carl, ti vedo strano! Perché non parli?

Sapete com’è… forse non parla perché ha appena perso la sorellina, forse perché s’è inghiottito 3 chili di budino scaduto nell’episodio precedente. Ma il punto è: che cazzo ce ne frega del perché Carl non parla, a noi spettatori? Chi non sarebbe depresso durante un’apocalisse zombie?

Ma davvero è necessario stare a menarsela ancora co ‘ste storie?

A quanto pare: la risposta è sì.

Così, Carl e Michonne se ne vanno a fare la spesa, in realtà una scusa per Michonne (la saggia madre surrogato) di aprirsi col figlioccio e così fare aprire anche lui al dolore e all’elaborazione dell’esaurimento apocalittico.

Il paparino Rick, invece, che non manca mai di fare battutone del tipo: “Stiamo qui qualche giorno per pensare a cosa fare!” (buahahahhaha, bentrovato, Rick. È sempre un piacere!), si riposa e si trova la casetta invasa da un branco di coglioni che, avendo un intero paese a disposizione, si ammazzano per chi deve dormire nel letto grande.

È proprio vero, oh, sopravviveranno solo gli idioti.

Dall’altra parte, Glenn ha fatto la conoscenza del trio delle meraviglie: il militare cazzuto, la spogliarellista vestita da soldatessa e lo scienziato Cha Cha Cha.

Il militare cazzuto, che cazzuto non è in quanto si fa pestare da un uomo che è la metà di lui ed è pure deperito a causa della peste bubbonica curata da Hershel in tempi lontani, racconta una storia incredibile: lo scienziato Cha Cha Cha, che è intelligente intelligentissimo e pare il bassista dei Bee Hive oggi, ha la cura per salvare il mondo!

E voi ci credereste subito, scommetto, a una cazzata del genere.

Glenn, invece, che forse è maturato un pochetto, se ne fotte e pensa solo a trovare Maggie.

E incredibile ma vero, stavolta faccio il tifo per lui: avrei fatto la stessa cosa.

Ma non c’è niente da fare, il Caso ancora una volta è all’opera in quel fazzoletto di terra che è il mondo di The Walking Dead. E quindi, i superstiti, in tempi diversi, stanno finendo tutti a pesce nel più vecchio trucco del mondo (quello per intenderci mostrato in 28 Giorni Dopo e persino in Resident Evil), ovvero dirigersi verso un posto che promette una fantomatica salvezza, seguendo i binari della ferrovia.

Bene, per stavolta è tutto. Resistiamo.

Alla prossima.

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