Altrimenti detto “Il Bosco dell’Orrore”, chissà perché. Forse La Specie Violenta è un titolo troppo pericoloso per gli italici virgulti.
Sia come sia, un giorno forse vi racconterò come mi sono imbattuto in questo film a me sconosciuto, perché è interessante come il film stesso.
Vi anticipo soltanto che ieri ho cambiato il tubo del gas, e oggi ho un dito viola, causa ammaccature, e pure un po’ di febbre, mi sa. Sono ridotto quasi peggio di una delle protagoniste, Michelle (Tiffany Shepis), che…
Regia a quattro mani: Mitchell Altieri e Phil Flores. Quest’ultimo risulta anche sceneggiatore.
Forse è dalla regia-kali che discende cotanta contaminazione. The Violent Kind è una perfetta commistione di generi, fin dai primi minuti, passando dall’azione, al thriller, all’horror a tinte gore e soprannaturale, alla fantascienza più classica, a base di -credosipossadire- ultracorpi e invasioni aliene.
Il tutto in soli ottantacinque minuti. Forse siamo di fronte a un record mondiale.
Pensate che sia troppo, tutto questo in così poco tempo? No, affatto. Oddio, personalmente mi sarebbe bastato il classico intreccio in stile Evil Dead, e sarebbe avanzato anche, visto il gusto della messinscena.
A partire dal casting azzeccato, che sceglie attori sì giovani, ma non per questo odiosi, come accade spesso, inducendo gli spettatori a odiare un’intera generazione di facce antipatiche. Qui riescono tutti, persino gli antagonisti, ambigui e conciati a seconda del decennio d’appartenenza. Ma sto correndo troppo…
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Ah, c’è anche una gang di motociclisti. Dei Biker, dei giovani nati nella gang e una baita sperduta nei boschi della California. Un trenino di sfumature deraglianti, quando alla fine ciò che conta è inserire un esiguo numero di protagonisti, sei, in un contesto ristretto, la baita, dove accade qualcosa che evade dalla normalità, l’evento paranormale.
Si può persino invocare l’ausilio della più classica cornice, questo se propendete per l’idea che i registi sappiano cosa stessero facendo.
A quel punto, rotta la quotidianità con un fatto dirompente, la comparsa di Michelle, una delle ragazze della festa ricoperta di sangue, scatta l’escalation, secondo il vecchio adagio di ogni buona storia: le cose devono andare sempre peggio.
Ed è quando Michelle comincia a grugnire e emettere gli stessi versi (identico effetto sonoro) di Cheryl nella botola di Evil Dead che i cultori di filmacci come me vanno in visibilio.
Perché trattasi di evidente e sentito omaggio a Sam Raimi, con effetto splatter grandguignolesco, Michelle posseduta che fa fuori a mani nude qualcun altro, tra abbondanti schizzi, che impreziosisce il tutto, omaggio e reinterpretazione non banale.
E, sorpresa, tutto il resto del cast, sorretto da dialoghi ottimi, non sfigura.
Magari si sarebbe potuto costruire qualche momento in più di genuina tensione, visto che alcune sequenze urlavano invitando a questa possibilità, al che il film ancora una volta avrebbe cambiato registro, scivolando nel’horror tensivo, quello fatto d’ombre e d’agguati. Ma tutto sommato, la scelta di restare ben piantati nel territorio del b-movie, equilibrando effetti sanguinolenti e azione e dialogo è stata coraggiosa e alla fine premia.
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Nota di merito alla scenografia, unita a fotografia, filtri, e ai summenzionati effetti speciali. Tutto va a comporre un reparto tecnico notevole.
Ma, come dicevo, a The Violent Kind piace mutare, e da horror a base di procaci fanciulle possedute in stile evil dead, diviene un classico survival horror, condito di slasher. Per la prima volta mi diverto a dispensare generi, ma come altro definire il cambiamento di fronte che vuole i protagonisti da padroni della situazione diventare in un minuto vittime di una serie completa di nuovi attori, mai visti fino a quel momento, che predono possesso sia della casa, che del palcoscenico?
Sembra spiazzante e in effetti lo è, se si considera che si è partiti da una festa di bikers, e si finisce sequestrati da un tizio coi capelli impomatati e coi jeans ripiegati sulle caviglie che lo accoltelli e non muore, che sputa sentenze e s’annoia, caratterizzato da un discutibile spirito?
Non si sa, ma l’incanto regge, se non altro per la curiosità di vedere dove si voglia andare a parare.
E poi, c’è una grazia mista a spietatezza, da parte della regia, quando decide di far fuori gli attori. Momenti inattesi, sorprendenti, quando non te l’aspetti più, o quando al contrario è giusto che accada. E persino un omaggio a Quentin Tarantino.
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Ma attenzione, non fraintendete, sempre di b-movie stiamo parlando. Per cui non cercate il capolavoro incompreso, guardando The Violent Kind, bensì filtrate la materia oscura. È così che vanno presi, questi film.
Ma veniamo all’ultima parte, quando ormai, il sorgere del sole svela, come da classico motivo favolistico, l’inganno, e quindi una realtà se possibile ancora peggiore. Fino a quando, sul cofano lucido di un’auto d’epoca rossa non compare il riflesso lucente di una…
Ci sono modi diversi di intendere la narrazione. C’è chi si affanna per rendere tutto il più chiaro possibile, per rendere palesi le motivazioni dei personaggi, c’è che si danna per ridicolizzare il tutto, ricorrendo a spiegoni e giustificazioni morali, trattando gli spettatori da imbecilli; c’è chi se ne frega, e gli spettatori si fottano, c’è chi, invece, riesce a rendere superflue sia le motivazioni che le spiegazioni, e quindi a far coesistere in una sola storia, cambi di registro epocali senza che alla fine sia necessario chiedersi il perché.
Ecco, questo è quello che avete di fronte.
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