L’altra sera metto gli occhi sul dvd di The Others (2001) di Alejandro Amenábar.
Ammiro questo film per molteplici ragioni e sì, c’è anche Nicole Kidman, al suo apice, se proprio lo volete sapere, per quanto mi riguarda.
Hitchcockiana, il suo aspetto gelido, i vestiti compunti, la sua altezza e la sua magrezza, una vera padrona vittoriana, bionda e sicura di sé.
Il personaggio si chiama Grace, come la Kelly, attrice feticcio del regista silhouette. Ma lasciamo perdere gli omaggi, veri o presunti.
The Others lo guardo innanzitutto per la qualità della luce che, non dimentichiamo, è la vera protagonista del film. Sembra che Alejandro Amenábar e il direttore della fotografia (non riesco a trovare il nome, sorry), abbiano fatto propria la lezione di Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio, e, in qualche modo, permettano alla luce di disegnare i volti, tra cui, splendido, quello di Nicole che, quando alle prese coi lumi, sembra accarezzata da luce liquida.
La luce che d’altronde è uno dei protagonisti del film, quella spettrale del giorno, quella calda e soffusa delle candele.
Scelte estetiche precise, per una messinscena dell’aldilà originale come poche.
The Others gioca con l’estetica del Thanatos, fa protagonisti i morti, li sottrae alla loro condizione di oggettività assoluta, per dirla come Sartre, e dona loro, ancora una volta, libero arbitrio.
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Scelta narrativa anomala, specie in questo frangente culturale che quasi aborre l’idea del trapasso, come condizione innaturale. Atteggiamento infantile, tipico di tempi vuoti oserei dire.
Ciò non toglie merito all’operazione, la perfetta coniugazione del mondo dei morti, dimensione parallela, quasi sovrapposta a quella dei vivi, tangente in alcuni punti, dalla forma spettrale, anche se forse, il clima è solo la creazione della coscienza del trapassato. Splendido utilizzo della figura della medium, il contatto tra i due mondi, il ponte, una sorta di psicologa che favorisce la presa di coscienza, da parte dei morti, della loro specifica condizione, con tanto di successiva accettazione.
Film ottocentesco, vittoriano, che ben presenta anche un altro fenomeno, il rapporto della società di quel tempo (il film è ambientato, in teoria, durante la Seconda Guerra Mondiale, ma mi riferisco alla matrice culturale), con la morte stessa e col dolore.
Esemplare, a tal proposito, e poi anche mezzo che porta al colpo di scena/rivelazione finale, il rinvenimento da parte di Grace, nella soffitta della casa, di un Libro dei Morti, un album di fotografie di persone dormienti il sonno eterno.
Ebbene spesso, soprattutto su internet, mi sono imbattuto in discussioni che vertevano sull’esistenza storica di tali album e la risposta è: sì, tale pratica era denominata fotografia post-mortem e consisteva nel fotografare i corpi dei morti recenti, esattamente come mostrato nel film.
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Come spesso accade, però, realtà e fantasia si sovrappongono in modo inusitato. Avendo rivisto il film e voluto approfondire la questione della fotografia post-mortem, mi sono ricordato di una galleria di foto vittoriane che pubblicai tempo fa, in altre circostanze e per argomenti completamente diversi (vi metto qui il link al post). La quarta foto partendo dall’alto, alla luce di questa scoperta, mi sembra particolarmente strana.
Brevemente, questo tipo di tecnica ritrattistica, perché di questo si trattava, serviva a fornire ai familiari del defunto un memento, un ricordo. Altro nome associato alla pratica era, infatti, Memento Mori (Ricorda che devi morire).
Prese piede soprattutto nelle classi borghesi del vittorianesimo, che non potevano disporre di liquidità tali da consentire loro di commissionare dipinti a pittori di professione. Al contrario, la nascente tecnica fotografica, parliamo del 1840, e il suo costo accessibile, trovò in questo tipo di commissioni naturale applicazione e conobbe diffusione rapidissima.
E andiamo anche oltre quel tipo di composizioni mostrate in The Others.
Nel film Grace confonde i morti ritratti nell’album con persone che dormono. Tutti, infatti, sono ritratti con occhi chiusi, spesso adagiati su un letto.
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L’idea della fotografia post-mortem vittoriana, non volendo costituire un monito, a dispetto del nome latino Memento Mori, era di ritrarre i trapassati in momenti normali, nell’atto di vivere.
Il che, trattandosi in ogni caso di composizione artificiale, di posare (o mettere in posa, in questo caso) soggetti per una fotografia, radicalizza il concetto stesso di ritratto e implica tutta una serie di accorgimenti per “far vivere” la finzione: i defunti erano ritratti spesso accanto ai viventi, parenti stretti, in questo caso, con occhi aperti, e spesso intenti in piccole attività quotidiane.
Sì, non c’è bisogno che me lo diciate, io stesso, scrivendone, sto provando quello che definiamo perturbante, specie se penso a quella foto postata mesi fa che potrebbe, dico potrebbe essere esempio di questa pratica.
Queste foto non erano, infatti, segnalate come tali e, a meno di riferimenti funebri espliciti, come nel caso del “mourning”, ritrattistica del dolore, che quindi prevedeva la presenza di oggetti inequivocabili, soprattutto bare, spesso ci troviamo di fronte a fotografie che sembrano assolutamente normali, foto di gruppo, ritratti familiari, mamme con bambini, spesso neonati, solo che, in mezzo ai viventi, come membri familiari ancora facenti parte del nucleo, ci sono loro.
Mi verrebbe da dire “gli altri”, se non che questo è il nome con cui, nel film, vengono indicati i viventi e non il contrario. Anche se lo specchio, e la relativa intrusione, da un mondo nell’altro, è bi-direzionale.
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The Others quindi rivela essere non solo operazione di narrazione gotica, ma precisa volontà di rispecchiare, secondo sfumature fantastiche, la sensibilità di un’epoca lontana. Non dimentichiamo che ciò che a noi adesso appare sacrilego e ci provoca un senso di disgusto, all’epoca era considerata pratica comune, direi quasi l’ultima moda, un sistema veloce, efficace ed economico per serbare intatto il ricordo dei propri cari, ancor più nel caso in cui questi fossero neonati.
Nelle migliaia di fotografie giunte fino a noi si possono osservare persino bambini, probabilmente imparentati coi defunti, posare tranquillamente, alcuni sorridere: indizio inequivocabile di una familiarità tale con la morte da essere ritenuta non solo una cosa naturale, ma quotidiana. Da ricordare infatti quanto fosse elevato il tasso di mortalità nell’ottocento, soprattutto infantile, soprattutto nelle grandi città, come Londra, che era alle prese col nascente inquinamento e con le epidemie che scoppiavano a causa dell’assenza di sistemi fognari adeguati.
Morte e vita quindi andavano a braccetto, come nel medioevo, come in questo film.
Io però non me la sono sentita di inserire una galleria di foto. Qui di seguito vi segnalo alcuni link, per chi vuole approfondire l’argomento:
Victorian Post-Mortem Photos
The Thanatos Archive
Post-Mortem Photography su Tumblr