Cinema

The House of the Devil (2009)

Il regista è Ti West, classe 1980, che si permette di fare foto del genere e passarla liscia.
Sembra stia dicendo giochiamo al cinema.
E, ok, ha quattro anni meno di me. E la cosa brucia. Perché rispetto alla cecità che ho trovato in rete, appartenente per lo più ai critici di lingua inglese, la messinscena di House of the Devil è superba. E mi riferisco a tutto il blocco.
Blocco che, per l’occasione, strizzando l’occhio all’home-video anni ’80, è stato distribuito in VHS. Una special edition, tanto per gradire. Cult collection per veri nerd assetati d’antiquariato giovane.
Perché è vero, gli anni ’80 sono dietro l’angolo, col 16 mm e i walkman con cuffiette, ma sembrano distare già un secolo o due, talmente tanta è la materia fecale scorsa in sala e fuori in questi ultimi due decenni.
E ve lo concedo, il titolo è da b-movie o giù di lì. Ammazza-suspense, almeno in teoria.
Ma le sorprese arrivano fin dalla prima inquadratura, su piastrelle bianche e mobili giallo acido di una cucina, la cui casa, vista dall’esterno riprende il color limone stinto. E la telecamera indugia a poco a poco sulle spalle della protagonista, che pare stia per svelare un massacro e invece niente: scena quotidiana di una studentessa che vuole affittare una casa e si guarda intorno. Eppure basta questo a creare tensione. C’è qualcun altro, oggi, che crea tensione inquadrando una cucina gialla?

***

Se bazzicate da queste parti ormai dovreste saperlo, detesto qualunque discussione associata al genere, che sia cinematografico o letterario. Il genere è indice di chiusura mentale. Poco importa se questa definizione vi fa scalpitare e se, al contrario, ne siete alfieri e cultori. È ora di finirla di barricarsi dietro i suoi sbiaditi confini. Se un’opera è valida, è valida in modo universale e non solo secondo certi ragionamenti o angolature.
The House of the Devil, al di là della ricercata similitudine con un modo di fare cinema old fashion, è opera valida, non mero esercizio di stile. E poco importa se non soddisfa i faciloni alla ricerca dello splatter estremo e dei capezzoli duri come chiodi, e gratuiti. Qui non se ne trovano, eppure non si riesce ugualmente a staccare gli occhi da un film dove, in tutta sincerità, non accade (quasi) nulla.
Detta così, sembra un preludio a una catastrofe, ma niente è più inesatto. Mi riallaccio all’articolo precedente e al riferimento all’atmosfera.
Creare l’atmosfera, far dimenticare che si ha a che fare nientemeno che con Cain (Tom Noonan) di RoboCop, che la memoria vuole intrappolato in un cyborg e strafatto di nuke, e che qui se ne va in giro col bastone a fare il vecchio ricco e strano, far dimenticare che è un film girato l’altro anno con attori che sono giovani proprio adesso; e, al tempo stesso, far ricordare altri film ben precisi e riuscire, con tutto ciò, godibile, non è questione di mera aderenza al genere.
È questione di cinema.

***

La casa del titolo è importante? Credo, ma non fondamentale. Almeno non negli esterni. E trattasi di esterni efficaci. Un’architettura magica, con colori tendenti al rosso, che ricordano, insieme a inquadrature di rubinetti e acqua scrosciante che precipita giù nel tubo, un ex-maestro italiano e certe sue ossessioni.
I passaggi iniziali, dedicati al campus universitario, sanno di L’Esorcista (1973); fotografia fredda, non solo a causa della stagione ivi ritratta; squarci di edifici bianchi e marroni, gravidi d’attesa.
Eppure, mi sembra che il debito maggiore questa pellicola l’abbia con Black Christmas (1974) e i suoi dettagli di legno lucido e caldo, i tappeti dei corridoi, la luce ocra delle abat-jour e la stessa protagonista che si muove come drogata d’angoscia, scrutando, secondo l’ossessione stolida e futile, il piano superiore dal quale provengono rumori sinistri.
Un film che si dissolve in angoli bui dove sembra di intuire qualunque cosa, oggetti nascosti, disegni strani; e su tutto la sagoma femminile della protagonista, Samantha, che s’aggira con un coltello in mano, vittima di suggestione. E chi non lo sarebbe in una casa vuota e piena zeppa di porte?

***

Figure femminili, personaggi che vengono fuori dal video pur pronunciando una manciata di battute a testa. Greta Gerwig (Megan) profetessa di pizza ai peperoni e bicchieroni di Coca (rigorosamente eighties), che chiacchiera in un diner, si lecca le dita e veste una felpa grigio-blu, sulla quale pende una collanina. Siede sul sofà, mangia cioccolatini, e spicca. E uno se la ricorda quando parla, e come sorride e come recita. E si spera di rivederla presto.
E c’è Jocelin Donahue (Samantha). E qui, poche storie, si rafforza l’idea di averla già vista, questa donna. Somiglia a Margot Kidder (Black Christmas), veste un camicione di flanella e un paio di jeans e ascolta il walkman, lasciandosi ricoprire di sangue come Carrie, dalla testa ai piedi; ma prima se ne va a spasso nella casa dove fa la babysitter introducendoci a stanze riccamente arredate e scarsamente illuminate, con un cesso dalla porta a vetri, che già l’idea di passarci dentro un quarto d’ora ti fa star male: luogo ideale, per essere accoppati.
Eppure, si vede poco, in questo film, pochissimo. Si sentono rumori di porte che si chiudono, di assi percorse da passi pesanti, fino al climax sovrannaturale e non, come da attesa sapiente costruita dal titolo che, a dire il vero, nulla aggiunge, anzi sembra sottrarre qualcosa.
Film che solo i più sensibili capiscono, e di sicuro una gioia per gli occhi, nonostante i flash che illuminano il male che, se restato invisibile, avrebbe fatto molta più paura.

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Autore e editor di giorno, talvolta podcaster. /|\( ;,;)/|\ #followthefennec
    • 11 anni ago

    […] voi sapete (e se non lo sapete, sappiatelo QUI e QUI) che io a Ti West gli voglio un bene pazzesco. Avendo perso Shyamalan, meno male che […]

    • 12 anni ago

    Ottimo film! Ci voleva proprio…

      • 12 anni ago

      😀 ahahahha XD
      Quanto mi sei mancata.
      Però su House of the Devil siamo d’accordo, una volta tanto! 😀

      • 12 anni ago

      ^_^
      E The Innkeepers, l’hai visto?

        • 12 anni ago

        Sì, ma quello non mi è piaciuto… Ma non ho commentato perché so che tu e Lucia lo adorate!
        Magari lo riguarderò, una seconda possibilità potrei pure dargliela.

    • 13 anni ago

    […] sembra, sembra sia vietato parlar bene di Ti West, il giovane regista (quattro anni meno di me) di The House of the Devil e The Innkeepers. Chi lo fa diventa subito un coglione ignorante. Urlato, perché si sa, i piccoli […]

    • 13 anni ago

    […] di quest’uomo: Ti West; sempre lui, sempre quattro anni meno di me, sempre conciato così. The House of the Devil è stato un lusso per gli occhi dopo tanto, tanto cinema pessimo. Tutti, me compreso, West lo […]

    • 13 anni ago

    […] con The house of the devil (di cui aveva parlato a suo tempo anche Hell, che è molto più sul pezzo di me; ma bisogna capirmi, dopotutto il bradipo […]

    • 13 anni ago

    Non l’ho mai visto (anzi, neanche ne conoscevo l’esistenza).
    Non mi dispiacerebbe dargli un’occhiata.

    PS Hai notato? È appena uscito in dvd Il Signore del Male. 😉

      • 13 anni ago

      Dal lato estetico è consigliatissimo.
      Dal lato della trama non lo so, conoscendoti alla fin fine potrebbe annoiarti. 😉

      PS: no, non lo sapevo. Thanks! 🙂

    • 13 anni ago

    Avevo in programma di recuperarlo da un pò di tempo e la tua recensione mi ha dato la spinta finale.Ne sono rimasto estasiato,questo è in tutto per tutto un film dei primi anni 80!Ogni fotogramma mi ha praticamente fatto gridare al miracolo.(In più ho avuto un quasi-innamoramento istantaneo per la protagonista)Per averlo ignorato certa critica dovrebbe mangiarsi le mani.

      • 13 anni ago

      Contento che ti sia piaciuto.
      È raro un film bello da guardare come questo.

    • 13 anni ago

    Sembra cariiino! Ultimamente segnali delle vere chicche Hell! 😛
    Buona Domenica
    ♡♡♡u (59)

      • 13 anni ago

      Sì, cariiino non è proprio l’aggettivo col quale lo definirei, però… va bene anche così. 😉
      Buona domenica a te.
      🙂

    • 13 anni ago

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