Antologia del Cinema

The Fog (1980)

Ieri, per disintossicarmi dopo aver visto “Le Crociate”, ho preso un Carpenter. The Fog, annata 1980. Carpenter è un ottimo medicinale contro il pessimo cinema. Lo è sempre stato. Anche quando, come in questo caso, il risultato non è memorabile. Mai conosciuto un altro regista capace di mettere così tanto a frutto investimenti oserei dire irrisori, quali quelli a disposizione per i suoi film.
Per di più, quando è stato ostacolato e messo sotto pressione dalle case di produzione, vedi Grosso Guaio a Chinatown o La Cosa, ha tirato fuori capolavori inarrivabili. Se c’è un tizio a cui va la mia incondizionata ammirazione, questo è senz’altro John. Ma il fatto che sia ospite fisso da queste parti non è intenzionale, no, è solo direttamente proporzionale alle boiate cinematografiche assunte come flebo, suo malgrado, dal sottoscritto.

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La Nebbia

Ispirato, secondo quanto ammesso dallo stesso regista, a “The Trollenberg Terror” (1958), dove figuravano mostri misteriosi celati dalla nebbia, “The Fog” inizia con la narrazione di una storia di fantasmi fatta da un vecchio pescatore di Antonio Bay, una cittadina costiera della California, ad un gruppo di bambini del luogo. Essa racconta del naufragio della “Elizabeth Dane”, un veliero inabissatosi insieme al suo equipaggio nelle acque gelide della baia la notte del 21 Aprile di un secolo prima a causa di una fitta nebbia e di un fuoco di bivacco erroneamente scambiato per un faro. La leggenda vuole che quando la nebbia toccherà nuovamente Antonio Bay, l’equipaggio della Elizabeth Dane, risvegliatosi dalla sua gelida morte, ritornerà per esigere vendetta.
Questa, grossomodo, la trama del film che, nonostante l’ingresso di svariati personaggi comprimari, non si discosta dal filo conduttore principale, la nebbia e gli spiriti che essa cela tra le sue spire.
Il prologo del pescatore, pur se incredibilmente efficace dal punto di vista dell’atmosfera, giustamente indirizzata, dopo, verso il dipanarsi di un mistero antico e nascosto, non lo è, però, dal punto di vista narrativo, visto che anticipa sgradevolmente lo svolgersi degli eventi. Alla fin fine, altro non è che un gigantesco spoiler. In esso troviamo, per sommi capi, l’intera spiegazione del film.

La sua presenza si giustifica soltanto considerando che esso è posticcio, ovvero fu integrato, insieme a quasi tutte le sequenze degli omicidi e squartamenti assortiti, dopo la pioggia di tagli che cadde sul film; tagli effettuati dallo stesso Carpenter, il quale, dopo averne preso visione, lo giudicò paurosamente inefficace, se non un vero e proprio fallimento. Per salvare il salvabile, si tentò di aggiungere proprio quegli elementi, la violenza e la tensione, sui quali il regista, per sua esplicita volontà, aveva evitato di soffermarsi durante le prime riprese, preferendo insistere sulla poetica delle immagini, lente e asfittiche, più che sulla rappresentazione della morte, caratteristica, questa, del suo lavoro precedente, il thriller Halloween.

[ATTENZIONE! LUCE BLU, ALLARME ANTICIPAZIONI!]

Pur vantando tra i protagonisti Tom Atkins, Jamie Lee Curtis, Adrienne Barbeau, Janet Leigh, Charles Cyphers e Hal Holbrook, “The Fog” non riesce, o forse non vuole sfruttarli in modo organico. Ci si limita a presentarli, uno dopo l’altro, in una serie di sequenze indipendenti che hanno, come unico punto in comune, il passato e il presente della cittadina di Antonio Bay e l’antica maledizione che su di essa si sta per abbattere, fino a quando la nebbia, la vera protagonista del film, non li raduna tutti, loro e i loro destini, per sparire così come è arrivata, dopo aver preso sei vite a colpi di uncini e falcetti, dopo aver bussato alla porta di ciascuna delle vittime, perché, in fondo, sono fantasmi educati.
Per non parlare di alcune trovate davvero elementari che sforano spesso e volentieri nella forzatura, quali la moneta d’oro rinvenuta sugli scogli dal bambino, quella stessa moneta che si trasforma in un’asse di legno recante il nome Dane, che trasuda acqua marina e che annuncia, mutando la sua scritta, che “sei dovranno morire”, oppure il cadavere che si alza dal lettino dell’obitorio per andare a morire definitivamente accanto a Jamie Lee Curtis, non prima però di aver scritto un bel “tre” sul pavimento, sempre ad indicare il restante numero delle vittime. Sei in totale, come i sei fondatori e “traditori” di Antonio Bay. Una pochezza che farebbe piombare qualsiasi altro film nell’inferno del trash.
Eppure, voglio ricordarlo, queste scene, uncini e spiriti di pirati con gli occhi fiammeggianti e cadaveri poco-ambulanti, che sono, a mio avviso, il punto debole del film, sono quelle aggiunte. Quelle scene che, secondo Carpenter, avrebbero dovuto rendere The Fog un horror. Fa specie, non c’è che dire.

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Curiosità

# Bennet, l’assistente di Padre Malone, il parroco di Antonio Bay, è interpretato da John Carpenter.

# Blake, il pirata capo dei fantasmi, è Rob Bottin, mago degli effetti speciali animatronics che, di lì a poco, giovanissimo, avrebbe dato il meglio di sé ne “La Cosa”.

# Waitely Point e Arkham Reef, località fittizie citate nel film, sono evidenti omaggi a H.P. Lovecraft.

# Le scene “iniettate” per irrobustire il tenore orrorifico del film furono girate nell’arco di due mesi e inclusero tutti i dettagli truculenti degli omicidi, la già citata scena del cadavere che cammina e il “duello” finale tra Stevie Wayne (Adrienne Barbeau) e gli spiriti assassini sulla sommità del faro.

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Tutto il mistero nella brezza marina

Forse, anzi, sicuramente è un mio difetto: in casi come questo preferisco non vedere. Per me la nebbia perde la sua forza allorché i fantasmi iniziano a interagire con gli esseri umani, a bussare alla porte delle case, ad afferrarli, a infilzarli, ad avere la precisa volontà di riottenere l’oro che gli è stato sottratto. Dal momento in cui divengono visibili, costoro perdono tutta la loro magia. La loro irrealtà. Divengono umani, troppo umani. Non dico sia impossibile vedere, solo che è più difficile… cioè, devono proprio farmi vedere una cascata di sangue che esce da un ascensore e allora sì che andremo d’accordo…
È anche vero che l’occasionale movimento inatteso e inspiegabile di una poltrona spinta via, verso l’inizio del film, lungo il pavimento da una forza invisibile, è già dieci volte più efficace dei pirati avvolti dalla nebbia.
Tuttavia, non è tutto da buttare in questo film. A partire dalla musica, curata, come al solito, dallo stesso Carpenter. L’accompagnamento musicale è perfetto e adeguato a qualunque scena, nonché sottilmente e magicamente inquietante.
E, altro punto di forza, gli esterni. The Fog fu girato in California tra le comunità di Bolinas, Inverness, Point Reyes lighthouse, Point Reyes Station e Sierra Madre. I panorami marittimi silenti, dormienti e grigi [nella foto], sembrano da soli evocare misteri lovecraftiani di piccole comunità celanti sordidi segreti occulti. Alla fine quasi si rimpiange che si sia voluto privilegiare quel tipo di cinema, a base di coltelli, e che non si sia voluto rischiare nel tentativo, involontario certo, di dare corpo a uno degli incubi impalbabili dei grandi antichi. Il set intero sembrava evocarli. E un’inquadratura della baia, non so se filtrata o meno, catturata poco prima dell’alba, da sola, è più evocativa di un’ora e mezza di nebbia assassina.
Da vedere in ogni caso, perché The Fog riesce a intrattenere, pur se a vari livelli, per tutta la sua [breve] durata e, soprattutto, per evitare l’osceno remake omonimo del 2005.

Approfondimenti:
Scheda del Film su IMDb
The Fog su Wikipedia EN

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    • 14 anni ago

    Il remake è una boiata, di sicuro questo è sicuramente migliore ma nonostante ciò non mi è piaciuto comunque.

    • 14 anni ago

    Non mi è mai piaciuto molto. La cosa davvero triste è che poco si sapeva su questo film e poco si sa. Ho fatto un giro e le notizie da te citate sono le uniche note di colore universalmente note. Peccato.
    La baia nella foto richiama un pò Innsmouth, o meglio una certa suggestione di essa hai ragione.

      • 14 anni ago

      In questo caso è la triste realtà. Credevo in effetti di trovare una miniera d’oro di curiosità da citare, come di solito accade con tutti i film di Carpenter, ma, invece… non che non ce ne siano, ma si tratta di citazioni imperscrutabili per noi italiani. In ogni caso, i link li ho messi proprio per quello, come sempre.
      Sì, ricorda Innsmouth, soprattutto la versione di quel gran ben gioco che è Dark Corners of the Earth!