Cinema

The Fighter (2010)

Ancora una volta, con The Fighter, per la regia di David O. Russell, il pugilato si mescola all’ambizione e al desiderio di dar vita a un’opera superiore alla media e, soprattutto, con problemi di budget. Pochi soldi, relativamente: 25.000.000 di dollari.
Non una superproduzione. E neppure una cifra con la quale è pensabile scritturare Mark Wahlberg e Christian Bale, oggi.
Sta di fatto che il primo, non appena letto lo script, nel 2005, ha iniziato ad allenarsi tutti i giorni, come fosse un pugile, per essere pronto non appena le case di produzione, dissipati i dubbi, si fossero decise a dare il via alle riprese; mentre il secondo, Bale, s’è accontentato di 250.000 dollari, al di là delle potenziali pretese da lanciatissima star. Pare addirittura che Wahlberg abbia percepito poco o nulla.
Insomma, un film fatto con la pancia. In culo al marketing e ai dubbi dei cosiddetti esperti.
Tentennamenti strani, per giunta, dal momento che l’intreccio, tratto da una storia vera, si innesta sull’ennesima variante di quella che, dai tempi di Rocky, forse anche da prima, è stata definita la trama perfetta.
The Fighter è un film ambientato nel mondo della boxe. Non occorre dire altro.
Avete già intuito quello che succederà nel corso delle quasi due ore, vero?
È un capolavoro? Uhm… direi di no. Poteva essere migliore, ma la vita e i fatti sono questi, e s’è deciso di non romanzare. Tanto di cappello.

***

Dicky & Micky

[c’è qualche spoiler]

Anni ’90. Micky Ward (Mark Wahlberg) e Dicky Eklund (Christian Bale) sono fratellastri. Entrambi pugili. Il primo sulla trentina, aspetta ancora il match che possa lanciarlo. Il secondo ha avuto la sua occasione quattordici anni prima, combattendo contro Sugar Ray Leonard, mandandolo a tappeto, ma perdendo ai punti. Ora è un tossico che si fa di crack e che, quando si ridesta, oppure quando lo vanno a prendere con la forza, si ricorda che c’è un pugile, suo fratello, da allenare.
La gestione familiare e fallimentare della carriera di Ward sta portando quest’ultimo alla rovina.
Eklund, inoltre, non perde occasione per mettersi nei casini. Un giornalista della HBO gli sta sempre intorno per girare un documentario sulla sua vita, così dice, mentre in realtà vuole filmare solo la sua pietosa condizione di cocainomane.
Al culmine della sfortuna, Dicky finisce in carcere e Micky al tappeto per l’ennesima volta. E qui, di solito, ci si rialza.

***

Al Tappeto

Ogni film sul pugilato presuppone una sonora batosta. I pugili, nella fiction, amano buscarle per poi prendersi la rivincita su avversari che, di contro, non hanno mai conosciuto umiliazioni e sconfitte. Sembra quasi che non aver assaggiato la polvere, quella in cui solo la vita riesce a buttarti, sia ragione d’esclusione dal buon soggetto cinematografico.
Il bello è che la cosa funziona. Il film tiene incollati, pur essendo sempre lo stesso film.
L’etica del gladiatore, schiavo di sé stesso, costretto a combattere perché non può più fare altro, è classica.
Il pugile viene dalla strada, dalla miseria, combatte con rabbia. Quella stessa rabbia che, fino al grande incontro, egli ha rivolto contro di sé rovinandosi l’esistenza.
Ok, è tutto qui. Ma non ci si stanca mai di vedere una storia così.
Grandi interpreti. Il bello è che non spicca Wahlberg che, direi, nonostante si sia calato nella parte con allenamenti e tutto il resto, si limita a fare il suo lavoro. A farla da padrone, ancora una volta, è il perdente più grande. La pecora nera, il figliol prodigo. Insomma, quello che cade all’inferno e poi risorge: Christian Bale.
Dimagrito per l’occasione, come sa fare di solito. Non ridotto pelle e ossa come ne L’Uomo senza Sonno, ma abbastanza per mettere in mostra zigomi preoccupanti e spina dorsale. In pratica è ridotto la metà di com’era ne Il Cavaliere Oscuro.
Dopotutto, pochi come lui riescono a calarsi fisicamente nel personaggio. Dicky Eklund si fa di crack e la sua sofferenza è rappresentata dal fisico di Bale, messo così mae che pare possa rompersi.
Bale cresce. Anzi, direi che è già cresciuto. Ormai è un attore con le palle.

***

Boxe

Poi ci sono i sobborghi di Lowell, la cittadina d’origine dei fratelli pugili. Grigiastra anche quando è sotto il sole. Piena di angoli nascosti in cui gettare via la propria esistenza e colma di gente che si lascia vivere aspettando un riscatto sociale che non arriverà mai, eccetto, come abbiamo visto, per quelli che combattono. Usare le mani è uno dei pochi mezzi a disposizione, oltre che uno dei più fragili.
Storia ambientata negli anni novanta. Finzione, questa, rafforzata dalla scelta saggia di impiegare per alcune delle riprese, tra cui il documentario dedicato a Eklund, telecamere dell’epoca che assicurano una ripresa sgranata quanto basta. Decisione meno apprezzabile durante la gestione degli incontri, a mio avviso fin troppo realistici.
E infine, tocco di classe, una visione disincantata del mondo della boxe. Quello che conoscono tutti, e che tutti fanno finta di non vedere. Quello che va dietro ai soldi, tantissimi, che rovesciano la fortuna degli atleti da un incontro all’altro. Quello dei match combinati. Attenzione, non necessariamente truccati, no, ma studiati a tavolino perché un pugile con le giuste doti possa spiccare il volo e beccarsi infine la sua agognata fetta di torta. Insomma, dopo la visione di questo film, si rafforza l’idea che nulla, proprio nulla nella boxe sia casuale, a parte qualche guizzo non previsto; magari quello di un pugile dato per spacciato che riesce, con un solo pugno ben assestato, a riscattarsi.
Intorno al ring rumoreggia una folla inferocita, che ha scommesso, che è lì per vedere il sangue. Nel ring, un minuto ogni tre, compaiono le ragazze segna-round, tra fischi e cadute inciampando tra le corde. Il pugile è all’angolo, il suo secondo gli deterge il sudore e gli tampona i tagli. Non è uno sport per signorine, ma neppure un grandissimo spettacolo come si crede. Ma al cinema funziona sempre.

Altre recensioni QUI

Autore e editor di giorno, talvolta podcaster. /|\( ;,;)/|\ #followthefennec
    • 13 anni ago

    […] ricordarle per altri trent’anni. Non credo di sbagliare, dal momento che anche il ricordo di The Fighter, a distanza di un anno, è divenuto flebile, nel dire che questo Warrior ce lo saremo dimenticato […]

    • 14 anni ago

    ah ah ah!! Io direi Mary Kate, così ha la scusa per rifarsi un altro pò! 😛

    ♡♡♡ (24)

    • 14 anni ago

    @ Hell: ok, siamo d’accordo sulla storia delle batoste sì-batoste no. L’importante è capirsi! 🙂

    @ Keyem: Ora voglio vedere un film con una delle Olsen che che si mette a fare pugilato, mannaggia a te! Sarà sicuramente un film di serie B e con una recitazione orrida, ma interessante! ^_^

    • 14 anni ago

    Sì, ho sentito della Russell. Magari più tardi ci faccio un post…

    Tornando al film, sia Bale che la Portman (Cigno Nero) hanno vinto l’Oscar con film diciamo normo-prodotti, senza dare fondo alle casse dello stato per crearli.
    Credo sia un buon segnale. Che poi è anche quello che auspico e che vado urlando da quando ho aperto questo posto: ovvero un buon film non dipende strettamente dalla quantità di denaro profusa per farlo.
    Voglio dire, da 25 a 250 milioni ce ne corre, no?

    • 14 anni ago

    A quanto pare, una perla tra la sozzura hollywoodiana.
    Cercherò di non perdermelo.

    PS hai sentito di Jane Russell? 🙁

    • 14 anni ago

    Ok, forse nei film di pugilato si è abusato un cicinino della storia “boxe come riscatto dalle badilate di letame di una vita sfortunata”.
    Quel che intendevo dire, ampliando il discorso e generalizzando moltissimo, è che in una storia qualsiasi, senza una qualche batosta (fisica, morale, psicologica, astrologica, salcazzica) il protagonista tende a non avere granché ragione di muoversi dal punto A al punto B, ergo la storia non esiste.
    Se sei il figlio del sultano, la tua vita è una meraviglia (e sei tu il primo a pensarlo), il mondo è in pace, non ci sono segni di disagio all’orizzonte… che caspio racconti la tua storia a fare?! Non succederà nulla!
    Ma mettici una batosta qualsiasi, anche piccola, e forse qualcosina da raccontare la trovi 🙂

    Trovato Thulsa Doom: facevo bene ad alzare il sopracciglio subbiosa! 🙂 Bel figuro. Forse forse era meglio se continuava a cercare di carpire il segreto dell’acciaio… =_=’

      • 14 anni ago

      Venite a me, figli miei! 😡

      ahahahahah 😀

      Comunque, di tutto ‘sto ragionamento, ancora una cosa non mi è chiara: perché pensate che io sostenga una tesi opposta alla vostra?

      Invece, sono d’accordo con voi.
      Parrà strano…

      🙄

      @ KM
      Esatto! Sai che figata una delle gemelle miliardarie che inzia a darle si santa ragione sul ring?
      Solo che che peso potranno fare quelle lì? Neanche peso piuma. Dovrebbero inventarsi una categoria apposta per loro.
      😀
      Ah, ovviamente c’è dell’ironia…

    • 14 anni ago

    Ahia! Ho dimenticato!! 😛
    ♡♡♡ (20) e ♡♡♡ (21)

    • 14 anni ago

    Cioè come se una delle gemelle Olsen si mettesse a fare boxe?? 😀

    • 14 anni ago

    Ok, in questa accezione più ampia ci sta, ma come dice giustamente lo Sciamano diventa una regola applicabile a quasi ogni storia, scritta, filmata o orale.
    Che poi, in generale: se parti dalle stelle e nelle stelle sempre rimani (senza mai intravedere le stalle che da qualche metro di distanza), limitandoti a salire nell’iperuraneo, che appeal ha la tua storia? Niente conflitto, niente storia 😉
    Quindi in senso più ampio: niente batosta, niente storia.

    Guru? Guarda, Thulsa Doom mi è ignoto (anche se il nome, così, a pelle, non promette nulla di buono), ma in generale i guru mi fanno sempre sentire inquieta e dubbiosa 😛

      • 14 anni ago

      ahahahaha 😆
      Thulsa Doom lo trovi QUI.

      Tornando al discorso generale. Io credo che, per una volta, rinunciare alle stalle farebbe bene. Nel senso che, alla base delle motivazioni del protagonista ci potrebbe essere qualcosa di diverso dalla miseria.
      Faccio così per dire, la miseria è ovviamente un disagio che motiva e pure troppo, però non è l’unico. Tanti pugili vincono e stravincono, non tutti partono dal nulla.
      In fondo, l’epica cercata dagli spettatori è sempre la stessa.

    • 14 anni ago

    Beh ma El, a questo punto quello è un assunto che è parte di un tutto più grande, cioè:

    “ogni film/storia presuppone una sonora batosta”

    e tu che sei esperto sai che è così 😉

      • 14 anni ago

      E chi lo nega? Fatto sta che nei film di pugilato in special modo, si abbonda spesso di questa particolare situazione. Che poi, lo sappiamo, i pugili spesso vengono dalla strada, ma anche no.
      Cioè, ci sarà stato un pugile che proveniva da una situazione familiare ordinaria.
      Oppure il fare a botte è sintomatico di un ceto sociale disagiato?
      Non sono luoghi comuni, ma allo spettatore le cose sembrano essere così. E sono cose che fanno pensare.
      Uhm…

      Ormai sono un GURU, come Thulsa Doom.
      Venite con me, miei adepti, vi guiderò verso la luce!

      :mrgreen:

      :mrgreen:

    • 14 anni ago

    Non avendo visto il film mi permetto di dissentire su un unico punto:

    “Ogni film sul pugilato presuppone una sonora batosta.”

    E’ una generalizzazione che stona alla luce di un film sulla boxe come “Million Dollar Baby”, in cui il punto di forza (e la debolezza “spettacolare”) della protagonista è proprio il fatto di stendere ogni avversaria al primo round.
    E non ditemi che non è una storia di boxe, ma di relazioni famigliari, cinismo e morte. 😉

      • 14 anni ago

      Se avessi inteso batosta nel senso di sconfitta sul ring, l’avrei specificato.
      Million Dollar Baby è un film che conosco molto bene. Come altrimenti definire gli stenti che sopporta la protagonista fino alla resa dei conti (con la vita) sul ring?
      Batosta è inteso in quel senso.