The Divide lo aspettavo da circa un anno. Da quando venne diffuso il teaser.
Esplosione nucleare, superstiti asserragliati in un rifugio, forse un bunker e poi… sopravvivenza. L’apocalisse cinematografica quotidiana, della porta accanto. Quella che fa per me.
Film girato in ordine cronologico, dall’esplosione, prima sequenza, alla fine.
I dubbi all’epoca erano forti. Enorme potenziale che poteva andare sprecato in un soffio. Legittimo pensarlo, visti i recenti tentativi di fine del mondo. Ma questo si annunciava come una produzione indipendente, ovvero una narrazione personale, che non seguisse il profumo di pop-corn. In pratica, uno di quei prodotti che servono a farsi un nome (al regista), a presentarsi. L’atmosfera giusta c’è, la poetica, visto il tema trattato, pure, l’occasione, per tutti gli attori, di dare vita a performance importanti… anche quella.
Piccola curiosità. The Divide è stato girato durante l’eruzione vulcanica islandese, subendo ritardi a causa della cancellazione dei voli. Credo sia stato un aiuto in più, per gli attori, a immedesimarsi. O forse no, forse l’hanno vissuto solo come una seccatura.
The Divide non ha esiti scontati, ha qualche momento di incertezza e dubbio, allorché ci si interroga sul senso vero e proprio e sulla necessità di alcune scene e di un personaggio in particolare. Colpisce duro, concedendosi sequenze dure e crude, le cui conseguenze sono difficili da accettare e poi sorprende, con un finale d’atmosfera azzeccatissimo, che è il meglio che possiamo aspettarci da prodotti come questo.
E, tuttavia, non è il film perfetto.
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Si sente la poetica già nell’insistere sulla primissima sequenza, l’esplosione ad alta quota che distrugge la città. Gli occhi di Lauren German (Eva) a cui sfugge una lacrima, la paura e l’incapacità di fuggire (tant’è che viene trascinata via a forza) di fronte a uno spettacolo di distruzione, ma al tempo stesso straordinario. Tutto questo, in poche decine di secondi.
Poi, la massa di persone in fuga, urlanti e disperate; una manciata di esse trova rifugio nel sotterraneo dell’edificio gestito, si suppone in qualità di supervisore/custode dello stesso, da Mickey (Michael Biehn). Faccia familiare, esperta di apocalissi robotiche e aliene, quest’ultimo. E così, via di fantasia cinefila, si può arrivare a immaginare che sia stato persino Skynet, a lanciare le bombe. Ma sono solo belle suggestioni.
I rifugiati se lo domandano, mentre si riparano dai calcinacci che gli cadono in testa. Il palazzo, qualche ora dopo l’esplosione, gli crolla sopra… assestamento.
Fatti i conteggi, si ritrovano in nove, in uno spazio chiuso, alimentato a energia elettrica (non ho capito quale sia la fonte) e avendo a disposizione ingenti scorte alimentari. La spiegazione addotta dalla sceneggiatura è da individuarsi nella paranoia di Mickey, reduce di una qualche guerra, che da anni s’aspettava l’attacco. Ci può stare… anche se si poteva trovare di meglio.
Sempre nei primi minuti, si avvertono le prime tensioni all’interno del gruppo. Il comando, la gestione dell’emergenza, la consapevolezza della catastrofe, fanno danni.
Se non vi infastidisce la presenza di Milo Ventimiglia (Josh) che fa il galletto, il film continua.
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A prescindere dalla necessità, ai fini dello svilupparsi dell’intreccio, di porre nove superstiti nel bunker e di fornire loro energia e cibo onde assicurarne la sopravvivenza, cosa che può essere vista come una forzatura, apprezzabile è la scelta di escludere qualunque spiegazione che i protagonisti possano darsi dell’evento bellico, così come stolide discussioni sul prossimo futuro. Cosa che, di sicuro, ha cagionato il non brillante voto attribuito al film sul solito lido IMDb. Il film non spiega, non si adagia su sciocchi discorsi tra personaggi e si affida, quasi del tutto, alle reazioni emotive degli stessi di fronte a una catastrofe che, a poco a poco, si rivela assoluta.
Pensate, per un attimo, a cosa voglia dire essere rinchiusi in un buco avendo allo stesso tempo coscienza che non si può uscire, perché le radiazioni vi ucciderebbero nel giro di poche ore, e che nessuno verrà a salvarvi, perché la distruzione, da quello che avete potuto vedere prima di scendere, è stata totale.
Il mondo esterno è finito e voi non siete in grado, da soli, di sfuggire a quella trappola. C’è di che perdere il senno. Perché a quel fetido buco s’è ridotto, in pochi minuti, il vostro universo. E voi non avete avuto scelta.
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[contiene anticipazioni]
La scena assurda, cui accennavo all’inizio, consiste in un contatto. Qualcuno raggiunge il bunker e rapisce uno dei superstiti.
Certo, serve a dare una piccola speranza di sopravvivenza ai reclusi, ma, a conti fatti, non se ne spiega il senso. Si può intuire, ma anche no. Un intermezzo che serve ad altro, anche a dare una scossa agli equilibri del gruppo.
Da lì in poi, il film diviene un crescendo di tensione e follia, esasperazione e impotenza, Rosanna Arquette su tutti, col lato selvaggio della natura umana che si scontra con l’ineluttabilità della circostanza e cede, tracimando e investendo ogni cosa e il decadimento radioattivo che si legge sul volto e sui corpi degli attori.
Nulla di innovativo. Ci aveva già pensato un certo signor William Golding, a definire il lato brutale dell’io, se messo alle strette in una società codificata da morale che non è più. The Hole (2001) aveva lo stesso teatro, un bunker e pochi individui chiusi all’interno. Quindi The Divide non fa che associare il tema apocalittico a quello della crudeltà della natura umana. A parte quelle sbavature che sanno di fantascienza, ci riesce.
Raggiunge vette di cattiveria e dosi di violenza disturbante, ma al tempo stesso, a conti fatti, inevitabile.
L’ultima domanda che mi faccio è come mai, in una fogna, ci sia una fonte di luce (quando vedrete capirete), ma essa viene dissolta di fronte all’ultima sequenza, panoramica, che abbatte illusioni e speranze, senza lasciare scampo, ma che riempie di malinconica tristezza. Consigliato.
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