Cinema

The Dead Outside (2008)

Il mio Survival Blog è finito lo scorso sabato, ma dal suo humus sta già nascendo un progetto molto più interessante. Di questo vi darò conto in giornata, più tardi, con un articolo/segnalazione.
Intanto, per non distaccarsi troppo dalle atmosfere di distruzione totale che ci hanno accompagnato nel corso di questi ultimi due mesi, vi propongo questo film indipendente, The Dead Outside (2008), per la regia di Kerry Anne Mullaney.
Io l’ho visto solo ieri sera. Faceva parte di una lista di film di genere che ho evitato di vedere finora per ragioni più volte esposte. Non cerco l’ispirazione nelle opere altrui.
Guardandolo ho ritrovato seduzioni ormai familiari, ambientazione universale, la Scozia, e il dilagare della pandemia che trasforma gli uomini in folli.
E tuttavia, questo è un film intimista, non casinaro come La Horde. Il ché, già di per sé, comporta una notevole quantità di rischio.
La noia attende al varco.
Altro punto a sfavore, non è mai stato tradotto in italiano. E gli attori non sono neppure inglesi, ma scozzesi. Avete presente l’accento scozzese?
Sia come sia, pur apparendo minimalista, e non può essere altrimenti dato che:

a) è costato solo 4000 sterline

e

b) è stato girato in due sole settimane

offre spunti notevoli di riflessione, guastati purtroppo dai giochi del caso, che troppo spesso si divertono a piazzare l’opportuno deus-ex-machina laddove non potrebbe, né dovrebbe esserci.

***

Gran Bretagna Pandemica

Come sempre, la Gran Bretagna. I britannici sono il popolo più terrorizzato da un’eventuale pandemia. Forse a causa del fatto che, essendo su un’isola, prima o poi il territorio attraverso il quale arretrare in cerca di salvezza finisce in mare. In pratica una trappola per topi. Questo perché sempre lì esplode il focolaio del contagio.
La differenza tra The Dead Outside e i suoi simili è che la pandemia è già avvenuta e ha già distrutto ogni cosa. Scelta dettata soprattutto dal budget ridotto.
Luogo dell’azione, una fattoria nell’entroterra scozzere dove Daniel (Alton Milne) si rifugia, in fuga chissà da dove.
Lì incontra April (Sandra Louise Douglas), asserragliata da mesi, che riesce a sopravvivere grazie al fatto che possiede galline, che le forniscono uova, e qualche altra risorsa destinata a non durare.
Il focus, come ho già detto, è incentrato sui protagonisti. Le inquadrature, però, indugiano soltanto sui loro volti sporchi e tirati, senza approfondire. Né sussistono dialoghi esplicativi, o monologhi particolarmente pregnanti che aiutino a chiarire.
L’idea è quella di fornire un’istantanea di un dato momento, su due soli superstiti al morbo.
In tal senso, la scelta di attori non proprio bellissimi, favorisce la verosimiglianza.

***

Gli infetti, questi sconosciuti

April e Daniel hanno entrambi vissuto esperienze distruttive che li hanno segnati. April in particolare reagisce seccata a ogni tentativo da parte dell’uomo di creare un semplice legame empatico.
La regia esplora insieme a Daniel la casa di April. Si sofferma sulle stanze vuote, sugli oggetti di uso comune inerti, sulle fotografie. E sulla devastazione che c’è fuori, poco distante dalla casa.
Qualunque cosa sia accaduta da quelle parti, la presenza di una sorta di fossa comune riesce a presentare la triste realtà della ragazza meglio di vuote parole, che in certi casi sanno solo di retorica.
Un po’ meno realistiche appaiono le fortificazioni erette a difesa della fattoria. Un recinto di filo spinato che, nonostante non appaia insuperabile, riesce a tenere a freno la furia dei rari infetti che riescono a giungere fino alla porta della loro casa.
Talmente rari, i contagiati, che The Dead Outside rientra di diritto in quei film strutturati su un canovaccio comune, in questo caso l’outbreak pandemico, ma che pretendono di costruire la scena senza mostrare i veri protagonisti, ovvero gli zombie/appestati che siano.
Le apparizioni di questi ultimi sono sì centellinate, ma alcune di pregio.

***

Parole (poche) e azione (al minimo)

[contiene spoiler grandi COSì]

Il flashback della fuga di Daniel, una visione precipitosa che ci suggerisce come abbia perso la sua famiglia, ci mostra un infetto da vicino, anche se per brevi istanti. Una donna in stato confusionale, ancora in grado di parlare e piuttosto aggressiva. Vi garantisco che la scena riesce a comunicare una certa tensione, anche per merito dell’attrice che le presta il volto.
Su IMDb la votazione media è 4.6 su 10. Non nascondo di essere critico nei confronti di questa valutazione. Opinione, la mia, confermata dopo aver letto le recensioni degli utenti che, in sostanza, rimproverano al film proprio ciò che io considero come elementi di pregio, ovvero il realismo che ha portato la regista a decidere di non eccedere, in nessun caso, a partire dai dialoghi contenuti, per continuare con la scelta delle armi, un paio di vecchie doppiette da caccia impolverate e in generale una riuscita rappresentazione di abbandono e desolazione, che non lascia posto a stupide speranze, ma neppure alla passione.
Troppo vuoti, infine, appaiono i personaggi. Piatti e incapaci di comunicare empatia. A loro, in fondo, non ci si affeziona per niente.
Buone le poche scene d’azione, sulle quali non mi dilungo. Sappiate soltanto che risultano credibili, coerenti con le capacità e incapacità dei protagonisti.
E veniamo, infine, ai punti deboli. Verso la fine del film viene introdotto un nuovo personaggio, Kate (Sharon Osdin) che giunge a piedi alla fattoria. Impossibile, da parte dello spettatore, non attribuirle un ruolo chiave.
Di lì a poco, infatti, Kate rivelerà la sua natura stupida.
Altro elemento fastidioso, se siete tra quelli che invece apprezzano i silenzi meditativi, è il suddetto deus-ex-machina. April è una portatrice sana. Questo si apprende quasi subito, attraverso sequenze che la mostrano malata, ma sostanzialmente padrona delle proprie facoltà mentali e, non bastasse, dalle osservazioni di Daniel.
Ora, come volete che Kate non vada a interagire proprio con quest’ultimo aspetto?
A parte l’incredibile opportunismo del caso, che si è divertito a riunire sotto lo stesso tetto, in un mondo distrutto, colei che è immune all’infezione e cole che le dà la caccia, il finale aperto risolleva le sorti della pellicola e, come al solito, la scelta di non eccedere in sentimentalismi parlati, ma di privilegiare l’azione.
Seppur minimalista, un buon tentativo, per il gradimento di pochi.

Altre recensioni QUI

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    • 13 anni ago

    Visto che vengo regolarmente deluso dalle grandi produzioni, sono sempre molto più ben disposto a passare sopra ai difetti di quelli piccole ma volenterose (vedi Rammbock).
    Ora vedo se The Dead Outside sottotitolato si trova in giro 😉

    • 13 anni ago

    Non ho letto gli spoiler, perché il film mi interessa e mi piacerebbe vederlo.
    Esiste in versione sottotitolata?

    In tema di film postcatastrofici lentissimi, ti segnalo “Il tempo dei lupi” di Michael Haneke (se non sbaglio).
    Io lo trovai veramente da coma (questo tuo “The dead outside” sembra assai meglio), ma forse dovrei rivederlo ora che son passati 5-6 anni…

      • 13 anni ago

      Suppongo esista, anche se io non l’ho trovata… 😛

      Il tempo dei lupi non l’ho mai sentito.
      Tornando a The Dead Outside, purtroppo nella sezione che hai evitato di leggere (giustamente) sono indicati anche i punti deboli. Non è perfetto, anzi. Però, se tieni presente le 4000 pounds e le due settimane di riprese, non è malaccio.

      😉