È con grande piacere che vi presento questo piccolo gioiellino, The Day, per la regia di Douglas Aarniokoski.
Parto subito col dire che su IMDb vanta ben 5.5 su 10. Ma, lo sapete, io e IMDb non siamo mai andati d’accordo.
Genere apocalittico. Check.
Sopravvissuti che fanno i sopravvissuti. Check.
Violenza a badilate (e anche a pistolettate, coltellate, agguati e mazzate di morte). Check.
E, last but non least, la qualità. Merce rara.
Non è originale. Questo film l’ha già fatto il Maestro Carpenter, si chiamava Distretto 13. Cambia il contesto, un mondo post-apocalittico anziché un quartiere notturno di Los Angeles, ma una cosa resta, che poi è la forza sempreverde di questi film, l’assedio. Pochi difensori barricati contro un esercito, là fuori, che li accerchia neanche per massacrarli, ma per mangiarli.
A Douglas Aarniokoski piace vincere facile. Almeno con me.
Scendiamo nei dettagli, va. C’è, anzi, ci sono Shawn Ashmore e Dominic Monaghan come protagonisti. Il secondo è odiato per essere stato fidanzato con Evangeline Lilly, e perché fondamentalmente emana antipatia. Ma… ciò nonostante, The Day regge, mantiene tutte le premesse, le stravolge, e alla fine si perde in un gusto che diventa auto-compiacimento, in un’orgia di sangue. E non è un male, per niente.
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L’incipit è ingannevole. E inoltre contiene un flashback inutile, riguardante uno dei protagonisti. O meglio, che sembra inutile, pare messo lì per suggerire che il mondo è brutto e cattivo, fino a quando non scoprite che occorre per inquadrare bene le dinamiche tra due dei personaggi e come spiegazione intuitiva del setting.
L’apocalisse infatti è un dato di fatto. Non è specificato quale sia la sua natura. Si sa, perché viene mostrato, che il mondo è allo sbando e preda di alcuni gruppi che razziano e uccidono, per mangiare. Qualunque cosa sia successa, gli animali non esistono più, o sono talmente ridotti che non se ne trovano. Ma la carne occorre.
Veniamo a sapere che sono trascorsi anche dieci anni, da che si è verificato l’evento.
Ma vi tranquillizzo, innanzi tutto, riguardo ai gruppi di predoni: non sono biker vestiti come wrestler, alla Ken il Guerriero, ma è gente comune, che fa quello che deve fare per sopravvivere (anche loro), ammantati di spietatezza e ferocia, com’è opportuno dopo dieci anni di stenti.
Il gruppetto dei superstiti è ben equilibrato, sono cinque, tra cui Monaghan e Ashmore, un ammalato di polmonite, praticamente una condanna a morte, e due donne, Shannon e Mary (Ashley Bell).
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Ora, per il primo quarto d’ora si sonnecchia, lo ammetto, colpa indovinate di chi?
Esatto. Monaghan. Il personaggio del quale comincia a addentrarsi nei soliti cliché apocalittici, diffonde speranza, porta nello zaino due boccacci pieni di sementi e sta cercando un terreno adatto dove coltivarle. Si ferma a parlare dei ricordi del bel tempo che fu, ma gli altri lo ignorano.
Poi c’è Shannon che si fa una doccia gelida, sfruttando l’acqua che cola dal tetto sfondato, mentre fuori piove, e ci si distrae.
Il tempo di rinunciare alla tentazione di schiacciare stop e il film si trasforma e diventa assedio.
Non vi spiego come, ma fidatevi se vi dico che, dal momento in cui suona un certo allarme artigianale, non staccherete più gli occhi dallo schermo, ammesso che siate tra quelli che sostengono la vista di scene di violenza realistiche.
Realistiche e ben girate, con una dinamica che rinuncia alla shaky cam e al conseguente effetto terremoto, per mostrare, pur nella confusione della lotta, sequenze nitide. Colpi di machete che squarciano, e schizzi di sangue resi ancora più scuri dalla scelta di applicare un filtro desaturato. Surplus inutile. Il sole caldo, in luogo del pallore che la desaturazione impone, secondo me avrebbe rafforzato la sensazione di disperazione che promana dalla violenza, unico metodo di comunicazione.
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C’è una sequenza che non mi aspettavo, dove Ashmore, che finora ha fatto ruoli da ragazzino, negli X-Men e in Frozen, si concede momenti di ferocia e cinismo notevoli. Non che sia incredibile, ma sorprende.
In generale, tutto il cast sorprende in positivo, e soprattutto la caratterizzazione dei personaggi, legati tra loro da un’amicizia d’infanzia, ma che non li rende inetti. Sono sopravvissuti anche loro per dieci anni in questo mondo, il che significa che se c’è da menare lo fanno, e nella maniera più rapida e letale possibile, per risparmiare le forze.
Quindi, un’ora e dieci, dei novanta minuti di durata, diventa azione e combattimenti, dialoghi ridotti all’osso e nessuno spazio per le puttanate sentimentali. E vi garantisco che alla fine ne vorrete ancora.
Un ultimo accenno riguardo Mary, personaggio femminile grandioso. Spirito della Vendetta, che si tramuta in furia cieca. È lei che conficca le teste dei nemici su un palo, perché quelli che restano capiscano con chi hanno a che fare.
Tutto il cast sporco e inzaccherato di sangue, per un intreccio ridotto al minimo, che più classico non si può, ma che funziona egregiamente.
E, ancora, finale EPICO. Inatteso, spietato. Bellissimo.
Da parte mia, vi consiglio di reperirlo il prima possibile, sopravvivere al quarto d’ora, venti minuti iniziali di noia, e lasciarsi assorbire dalla lotta, non ve ne pentirete.
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