Il remake del 2010 di “The Crazies” di George A. Romero, a cura di Breck Eisner.
Inutile dilungarsi, sapete bene cosa ne penso dei remake e dove mi stanno. Dal trailer, però, a parte una certa musichetta strappalacrime selezionata per il teaser, il film non sembrava robaccia. Se è vero che da questi [i trailer] ogni film sembra un capolavoro, io aggiungo che i capolavori in negativo, quelli pieni di stron*ate, per intenderci, si beccano al volo. Senza se e senza ma.
Questo sembrava, per lo meno, decente.
Su “The Crazies” di Romero, alias “La città verrà distrutta all’alba”, ho scritto un articolo giusto ieri. Per sapere cosa ne penso andate qui.
Torniamo a noi.
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L’intreccio
La trama ricalca quella dell’originale, in una esplicita volontà di omaggiare pedissequamente il maestro, pur con qualche immancabile variante.
Un aereo è precipitato in un lago nei pressi della cittadina di Ogden Marsh, nell’Iowa, disperdendo una tossina che ha contaminato le falde acquifere. Alcuni degli abitanti manifestano quasi subito segni di alterazione psichica che portano a sporadiche manifestazioni di violenza. Ben presto la situazione si aggrava, con l’aumentare dei casi aggressione, in una cittadina assolutamente impreparata all’evento.
David Dutton (Timothy Olyphant), lo sceriffo, sua moglie Judy (Radha Mitchell) e il vice sceriffo Russell Clank (Joe Anderson) devono fuggire da Ogden Marsh e contemporaneamente sgusciare tra le maglie del cordone sanitario messo in atto dal governo per contenere l’epidemia.
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[ATTENZIONE! LUCE BLU! ALLARME ANTICIPAZIONI!]
Riflessioni in positivo
The Crazies si apre con l’incendio di una casa. Così come per Romero, il segno principe della follia, che ricalca la medesima apertura dell’originale, è rappresentato dalla distruzione della famiglia e del focolare domestico, quali beni sacri e preziosi.
Come a dire, se non si ha pietà per i propri figli e per la propria moglie, la situazione è davvero disperata e senza uscita. Un messaggio chiaro, intenso, che è seguito da un flashback, ambientato durante una locale partita di baseball. Lì un padre di famiglia invade il campo da gioco, passeggiando tranquillo e imbracciando un fucile.
Annullato il doppio intreccio romeriano, la scena si sposta completamente nella città, ad Ogden Marsh. La follia si insinua nella quotidianità, in modo appena percettibile, attraverso il cambiamento repentino di volti familiari, i vicini di casa, il proprio padre, la propria figlia. Lo stupor, l’alienazione che sembra tutt’a un tratto stravolgerne le abitudini, è presago della furia che verrà.
I protagonisti arrancano nello scoprire una serie di avvenimenti apparentemente scollegati. Un’infezione, un aereo precipitato che è celato a pelo d’acqua nel lago locale, un pluriomicidio e le già citate anomalie comportamentali. E tuttavia, essi fanno appena in tempo a intuire la verità che già la città si è svuotata, divenuta oramai un posto deserto dove, al senso d’abbandono derivante dalle strade vuote, corrisponde l’inquietudine suscitata dalla testimonianza di due ragazzine sole e spaventate: si sentono solo delle urla…
Al contrario della notte romeriana, in questo The Crazies, l’infezione si propaga in mattinate assolate, in piena luce, per poi raggiungere l’apice della virulenza che è anche il crollo di qualsiasi tentativo di porvi rimedio, durante una lunga notte che accompagna la fuga di pochi.
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Riflessioni in negativo
Sembra tutto rose e fiori, ma non lo è. Per me, almeno.
L’orrore è a rischio ogni volta che si decide di mostrarlo. La scelta di far vedere è sempre un’arma a doppio taglio. Una volta presa la decisione, o ci sai fare oppure si perde tutto ciò che si è costruito in termini di attesa e suspense.
I pazzi. I pazzi sono decisamente il punto debole.
Finché si tratta di urla lontane, risate sghignazzanti nel buio della notte o sussurri impercettibili c’è poco da fare, la tensione sale. È la benedetta paura dell’ignoto. E funziona, sempre. Funziona anche nei semplici discorsi, nelle chiacchiere. “Ho sentito la signora X, non faceva altro che urlare…”. Fa effetto, no?
Interpretare un pazzo, credibile, in grado di scuotere lo spettatore e di calarlo nella verosimiglianza è impresa titanica. Non avendo a disposizione decine e decine di Jack Nicholson, resta solo un’altra via. Il trucco.
Si prendono gli attori e li si rende un po’ sbattuti, sporchi e sbavanti, con le labbra screpolate e li si fa urlare un po’, ma senza esagerare, eh, non sono mica zombie o infetti. E sta proprio qui il problema. Non fanno paura. Neanche un po’. E non è che pretendevo sul serio Jack Nicholson, eh… ma almeno un pochino di tensione.
In colpi di scena che più telefonati non si può, i vari pazzi, il carcerato, il medico legale, il meccanico, la mamma e il figlio, i benzinai, danno vita a scontri violentissimi e ai limiti del possibile, dai quali lo sceriffo, di volta in volta, si cava d’impaccio a stento, uscendone ferito, sempre di più e tuttavia non arretrando di un solo passo, mantenendo una posa fiera ed eretta, non potrebbe essere altrimenti, oltre che l’assoluto controllo della situazione.
Non so voi, ma a me è bastato un graffietto sull’alluce per mandarmi il piede fuori uso per una settimana. E per fuori uso intendo che non lo potevo neppure sfiorare, tanto era il dolore. Lo sceriffo, qui, con una mano trafitta da un coltello infilza una pazza alla gola e dopo esserselo sfilato con poco più di un ghigno per il disturbo, inizia a sferrare cazzotti a destra e a manca, sempre con la stessa mano…
A parte questo, Radha Mitchell si conferma splendida urlatrice. Virtù sprecata a causa delle scene “di grande pathos” che le sono state assegnate, ma che in realtà fanno acqua [infetta] o poco più. Lei, incinta, viene sedata e legata a un letto munito di cinghie dai militari in tuta e maschera antigas e viene lasciata in un reparto approntato per l’occasione nella scuola locale mentre i militari, davvero più inetti di quelli romeriani, mandano subito a puttane la situazione facendosi sopraffare dalle orde di matti suonati, permettendo così al preside di aggirarsi armato di forcone tra i letti degli ammalati e di finirli trafiggendoli con tale forza da sfondare non solo il torace, ma anche il materasso… L’uomo col forcone si avvicina a Radha assetato di sangue e BANG!, viene freddato all’ultimo momento dal maritino sceriffo. Inatteso, no?
Vabbé, tralasciando la scena dell’autolavaggio, durante la quale si assiste ad un’altra morte ai confini della realtà [la donna impiccata al volo, ndr], la cosa veramente disgustosa è il finale. La bomba esplode, ma i due colombi fuggono e, sopravvissuti, senza neanche un graffio [e ricordiamoci che lei, Radha, è incinta] al ribaltamento del camion sul quale si trovavano causato dall’onda d’urto dell’arma atomica che li ha travolti, osservano, mano nella mano, il sublime spettacolo dato dal fungo nucleare che si staglia all’orizzonte, in una sorta di malriuscita fotocopia di Fight Club, laddove, però, la follia brillava per assurdo insieme al C4 del quale erano imbottiti i grattacieli…
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Conclusioni
Piuttosto buono, per essere un remake. Visivamente superiore, e non avrebbe potuto essere altrimenti, all’originale romeriano. Peccato si siano presi sottogamba gli aspetti fondamentali del film: poca speculazione circa situazione e metodi, in luogo di troppa azione, per giunta mal orchestrata. E infine ribadisco, i pazzi non sono gli zombie. Non basta un po’ di trucco per renderli credibili. E terribili.
Approfondimenti:
Scheda del Film su IMDb