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The Bridge (ovvero l’ennesima serie sui Pazzi Bonari)

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Ecco, uno guarda il pilota di The Bridge, nuovissima serie ammerigana sul confine col Messico, letteralmente, che qui da noi viene trasmessa in contemporanea con gli States, santa cosa.
E… per qualche giorno se la fa pure piacere.
Poi arriva il secondo episodio. E capita addirittura che uno rimanga colpito da una scena in particolare, meritevole di costruire, solo mostrando, la protagonista principale, meglio che con decine di parole buttate lì, per contratto.
Accade infine che uno si mette a scrivere la recensione che ora leggete e, strada facendo, si incazzi di brutto, ripensando a certi dettagli, e che un articolo, rimasto bozza, sugli stereotipi cinematografici che il tipo stava scrivendo un’oretta fa diventi materiale perfetto per descrivere ciò che è il suo reale sentire, circa questa nuova serie.

Diane Kruger fa Sonya Cross, detective di El Paso, Texas.
El Paso confina con la messicana Ciudad Juarez.
Viene trovato un cadavere di una donna sul confine tra El Paso e Juarez. Esattamente nel mezzo.
Solo che i cadaveri sono due. Una metà superiore e una inferiore. Una negli Stati Uniti, l’altra in Messico.
A Sonya Cross si aggiunge, quindi, un detective messicano, Marco Ruiz (Demian Bichir).

Ebbene: volendo riassumere, The Bridge è:

gli americani fighi e professionali – celo

i messicani lassisti e approssimativi – celo

la protagonista femminile un po’ toccata, ma brillante – celo

***

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il protagonista maschile uno che sa come stanno le cose – celo

il co-protagonista un giornalista quarantenne fallito e avvinazzato che ha scritto (forse), in illo tempore quand’era un bravo giornalista rispettato da tutti, un pezzo scomodo che ha attirato su di sè attenzioni indesiderate – celo

il serial killer americano di prostitute messicane – celo

il messicano tipo Machete a cui hanno rapito la donna, ora incazzato nero – celo

l’altro serial killer, quello genio del computer che si diverte a provocare la polizia con messaggi lasciati sul cellulare, con la voce distorta tipo Saw – celo

la polizia messicana un gruppo di spaventapasseri nelle mani del cartello della droga – celo

la polizia statunitense invece figa e professionale (reprised) – celo

la vedova del ricco messicano naturalizzato statunitense che fa entrare gli immigrati clandestini – celo

***

E tutto ciò in soli due episodi.

Che poi, a voler essere polemici, con tante attrici americane che ci sono chiamano proprio una tedesca di Algermissen, a fare l’americana?
Che mi sta pure simpatica, Diane Kruger, solo che non posso fare a meno di notare la particolarità della situazione.

Altra cosa, dannato il Dott. House e tutti i suoi cloni. Che siano maledetti.

Will Grahame
Will Grahame

Visto che ora ci viene imposto il protagonista pazzoide, a modo suo geniale, ma emotivamente non pervenuto. Come non avesse mai abbandonato l’utero.
Roba che gente così l’avrebbero rinchiusa, interdicendola dai pubblici uffici, qui invece, quello che, richiamandomi al “buon selvaggio” potrei definire “il pazzo bonario”, assurge a modello di narrazione interessante, e a un ancora più complicato esempio di new way of life, qualcosa del tipo: sono pieno di traumi e complessi, ma vivo felice lo stesso, visto che sono tutti gli altri che si devono adeguare alle mie pazzie. E io non devo fare nessuno sforzo, ché sono il protagonista.

E oltre a Sonya Cross c’è Will Grahame (del serial Hannibal), che appartiene alla stessa categoria dei pazzoidi bonari che vengono sopportati per un fine superiore, e che è attualissimo.

Anche qui siamo alle prese con un folle che vive i delitti esaminando le scene del crimine. Un tipo talmente strano che nessuno vorrebbe avere accanto (al pari di Hannibal, lo psichiatra che solo a sentirlo parlare ti fa venire voglia di una lametta nei polsi, e che parla sempre di psicosi e ricette a base di carne), ma che funziona, è efficace, fa il suo lavoro e risolve problemi.

E qui ci sarebbe da fare, e forse in futuro lo faremo, tutto un discorso sul simbolismo che questi personaggi emotivamente assenti incarnano, e quanto questo disfacimento controllato della psiche si possa associare all’attuale società americana, passata dalla potenza e fiducia degli anni ottanta, a essere posseduta (come il suo debito pubblico) da potenze straniere (la malefica Cina, tra le altre).

Mads Mikkelsen nei panni di Hannibal Lecter
Mads Mikkelsen nei panni di Hannibal Lecter

***

In un certo senso, Diane Kruger rappresenterebbe il popolo americano, strano, traumatizzato, ma pur sempre efficiente, contrapposto ai messicani, che poi sono gli italiani delle americhe, superstiziosi, razzisti, che sfornano figli in continuazione (infatti il protagonista maschile s’è appena fatto la vasectomia), che incarnano un modo di vivere più colorato e medievale, da cui guardarsi, ovviamente.

Potrebbe darsi… e in tal caso il tutto assumerebbe contorni più intriganti.

Diane Kruger
Diane Kruger

O forse hanno, gli autori, soltanto pescato dallo schedario degli stereotipi, che ricordo sono definizioni universali sulla percezione comune rispetto un qualunque argomento, e hanno raffazzonato un telefilm contando sulla dicotomia, anche questa ormai diffusissima, tra indagine investigativa/brutalità dei crimini. Con un corpo composto di due metà non c’è da scherzare.

Staremo a vedere.

Nel frattempo, mi godo quei minuti dedicati, nel secondo episodio, a Sonya Cross, che, da buona agente delle forze dell’ordine americana stereotipata, ha:

una vita privata oltremodo ridicola e fallita, infatti passa la serata mangiando cibo cinese su un letto disfatto, coperto di foto di cadaveri mutilati (perché lei è insensibile, ricordiamo), con accanto un laptop aperto su pagine internet di non so cosa.
Si accoppia quando capita.
E quando non dorme o scopa, torna a guardare foto di smembramenti.

Che bella vita.

Ma il tutto è presentato con tale spontaneità e mestiere… che tutti dovrebbero prendere esempio da quei cinque minuti.

Autore e editor di giorno, talvolta podcaster. /|\( ;,;)/|\ #followthefennec
    • 11 anni ago

    […] forse da molti cliché e dalla volontà di caratterizzare la protagonista femminile come “geniale pazzoide“, quando bastava una persona normale. Discreto, forse un po’ troppo esagerato, non […]

    • 11 anni ago

    Tutto quello che temevo 🙁
    Vabbè l’ultimo (l’unico?) poliziesco che ho seguito è stato The Shield, mille mila anni fa… Di questo ho lì il pilota, ma non so se lo guardo.

      • 11 anni ago

      The Shield è la miglior serie poliziesca, tipo di sempre. 😀

      Eh, purtroppo ci son rimasto male pure io, ma credo che un altro paio di episodi li guarderò.

        • 11 anni ago

        Sì sì, concordo al 100% su The Shield! (Evviva! 😀 )

        Vabbè, per questa facci sapere come continua 😉

    • 11 anni ago

    La seconda puntata ancora non l’ho vista, e non la aspetto nemmeno con ansia. Gli sceneggiatori hanno preso in mano l’enciclopedia in 20 volumi “Come scrivere un telefilm” e hanno confezionato un pacchetto bello e patinato ma senza anima. Anche io ho notato l’utilizzo degli stereotipi, usati in un modo che mi fanno pensare che questo telefilm è fatto in maniera semplice, rivolto a menti semplici, dove non ti puoi sbagliare sulla caratterizzazione di un personaggio. Chi guarda non deve rimanere spiazzato, ma deve capire tutto passo passo, per essere portato con la manina fino alla fine.
    Decisamente mediocre.
    E non avendo tendenze lesbiche, non lo salva nemmeno la presenza di tal Diane Kruger.

      • 11 anni ago

      Peccato perché… per un sacco di ragioni.
      Mi trovo d’accordo col tuo giudizio lapidario, è un prodotto fatto perché non si debba pensare.
      Molto triste.

    • 11 anni ago

    Io praticamente lo vedo solo per Diane Kruger, che della trama mi interessa pochino (fottenasega).
    Sono grave?

    A parte i miei feticismi, ho quasi smesso di vedere i polizieschi americani proprio perché sono pieni zeppi di questi stereotipi, per quanto ovviamente girati da Dio (paragona una qualsiasi puntata di Criminal Minds a I RIS, tanto per dire).

      • 11 anni ago

      No, perché anche io l’ho visto per Diane. 😀

      Il punto è che gli stereotipi vanno a ondate, ora va il tipo strano positivo, alla Sheldon. Che però nessuno in realtà vorrebbe dentro casa propria. Ma è bello vederlo angustiare la vita altrui, attraverso lo schermo.
      È sempre la logica dei freak.