Antologia del Cinema

The Bourne Identity (2002)

Parlo di questo film perché, come molti, mi sto rivedendo la trilogia, dopo Legacy, e perché questo in particolare è esemplare.
Di cosa?
Parlando di blogger e scopo/utilità delle recensioni, The Bourne Identity (d’ora in avanti TBI) è esemplare di come le opinioni, e di conseguenza il giudizio, possano cambiare a distanza di anni dalla prima visione.
TBI è del 2002. Sono già dieci anni, eppure me lo ricordo recente. A pensarci, già questo fa impressione. Avevo 25 anni quando l’ho visto. Ora ho più o meno l’età che ha Jason Bourne in questo film, e dieci anni di esperienze in più.
Potrebbe bastare anche questo.
Nel 2002, me la prendevo con due aspetti in particolare di TBI: Matt Damon e il romance con Marie (Franka Potente). In special modo la storia del passaggio a Parigi pagato 20.000 dollari, e del legame che si crea tra i due, pericoloso e pur tuttavia, indistruttibile, fin da subito. Indissolubile, anche a rischio della vita.
Matt Damon l’ho digerito nel 2004, dopo il capolavoro che è il secondo capitolo, Supremacy (sì, avete letto bene, per me è un capolavoro nel suo genere), qui lo vedevo ancora troppo ragazzino, anche se, dal momento stesso in cui comincia a menare le mani, diventa appassionante.
Il romance, be’, dovevo avere il tempo di vivere una storia altrettanto forte e folle con una ragazza per capire che, in certe circostanze e in certi momenti della vita, si arriva davvero a mettere a rischio ogni cosa, pur di stare vicino a quella persona. Poi magari la cosa sfugge di mano, dopo qualche anno o qualche mese, ma in quel momento, quella persona è l’unica cosa che conta. E quindi il fatto che Marie scelga di restare con Jason Bourne quando tutta la Polizia parigina dà loro la caccia, non dico che è una cosa che farebbe chiunque, ma per quei personaggi ha un senso.

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Jason Bourne che nasce dalla penna di Ludlum, di cui ho letto solo un romanzo, altra storia e altre spie, che tuttavia non mi colpì particolarmente, vuoi per intere pagine di dialoghi fitti senza alcuna descrizione, come fosse una sceneggiatura, vuoi per la qualità dell’azione che, come si discuteva su un blog del Braccio C in questi giorni, è fisiologica per il cinema, un po’ meno quando si tratta di tradurla in parole.
Ricordo che Bourne s’attirò da subito simpatie e antipatie in egual misura. Tra le seconde, mio cugino odiava sia Damon che il personaggio, a suo dire poco realistico, specie nelle scene di lotta, questo perché il Krav Maga (l’arte marziale più diffusa tra i reparti militari di tutto il mondo) non è così coreografico.
Solo dopo scoprii che in effetti aveva ragione. Ma non per i motivi che sosteneva lui, ma perché non si tratta di Krav Maga, ma di un misto tra Kali e Jeet Kune Do (l’arte marziale fondata da Bruce Lee). Risultato, le coreografie di combattimento si basano su una mescolanza fantastica di disciplina e assenza di posizioni fisse, sono estetiche e estatiche, e suggeriscono una violenza d’impatto che non manca di affascinare. Specie se Doug Liman, regista, e poi Greengrass (regista dei due capitoli successivi), non sbagliano mai il momento in cui inserirle e lasciar scatenare il confronto, sia armato che soprattutto a mani nude. Si passa dalla quiete assoluta al sangue, alle ossa fratturate. Per poi scivolare ancora nella lucidità. Non sono esperto di spionaggio a tal punto da giudicare il realismo dell’impianto scenico, ma dal punto di vista narrativo, l’ambivalenza è preziosa.

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Quindi Damon raccolse, a suo modo, un’eredità difficile, perché subito venne paragonato a James Bond, con tutto il diluvio di banalità annesse e connesse. Dimenticandosi, poi, la differenza fondamentale tra i due personaggi, Bond spia, pur con licenza d’uccidere, Bourne assassino di professione, ad alta capacità d’infiltrazione, pedina impazzita che si scontra col proprio datore di lavoro per il diritto a esistere e per vivere una vita che, complice l’amnesia, sente di nuovo sua.
Il livello di recitazione non è altissimo, in questo film, anche perché l’approfondimento psicologico dei protagonisti è divorato dall’azione, com’è giusto che fosse e, ancora una volta, la voce da ragazzino attribuita a Damon dal doppiaggio italiano non aiuta per niente. Ma ci si convive. E, ancora una volta, si aspetta di vedere la miscela al massimo del potenziale nel successivo capitolo, ma di questo ne parleremo prossimamente.
Mi restano due aspetti da analizzare:
l’amnesia.
Ecco, il personaggio esperto assassino costretto a riscoprire se stesso. Vi ricorda qualcosa? A qualcuno di voi sicuramente sì. È un espediente che ho usato anche io in uno dei miei racconti. Difficile, perché abusato, ma ottimo se ben reso.
In questo caso l’amnesia di Bourne è il leit motiv dell’intera trilogia, la spinta e insieme la causa dei problemi che l’affliggono. Il tutto ottimamente gestito.

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Secondo e ultimo aspetto: gli inseguimenti. Insieme all’amnesia sono la forza della serie. In questo abbiamo due lunghe sequenze d’inseguimento. A piedi, dalla Banca Svizzera all’Ambasciata americana “rivoltata come un calzino”, con Bourne che scala la facciata dell’edificio innevato come fosse una scimmia. E poi l’inseguimento nel traffico pariginio, a bordo di una Mini-Minor rossa, passando sui marciapiedi e giù per rampe di scale, con sequenze reali girate con l’ausilio di stuntmen professionisti. Che dire, gli inseguimenti di Bourne, a partire da questo, hanno ridefinito il genere spionistico, anche e soprattutto per il fatto che non vengono usati gadget particolari, a porre l’agente operativo al di sopra dei suoi nemici, ma soltanto abilità e allenamento. Oltre al ribaltamento della natura degli inseguitori, da pedine di un’organizzazione criminale malvagia votata alla distruzione, qui diventano tutori della legge, manipolati dall’organizzazione che deve difendere la civiltà occidentale usando mezzi non convenzionali.
E poi, la musica, questa e tutte le altre. Spesso mi sono trovato a pensare al momento in cui si sta creando un’opera, e sempre ho concluso che, in quel momento, non si possa mai avere coscienza di stare creando qualcosa destinata a cambiare il modo di sentire generale, a ridefinire il genere e in questo caso, i film d’azione. Ecco, nella saga di Bourne c’erano tutti gli elementi. Erano lì in vista, ma pochi, forse nemmeno tutti quelli che ci hanno lavorato, ne avevano la consapevolezza.
Poi, dopo dieci anni e il quarto film, magari, guardano al passato con grande soddisfazione, che è di più di quanto la maggior parte dei mortali può fare.

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Autore e editor di giorno, talvolta podcaster. /|\( ;,;)/|\ #followthefennec
    • 12 anni ago

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    • 12 anni ago

    4

      • 12 anni ago

      Ottimo. Thanks!

    • 12 anni ago

    Matt è espressivo come una melanzana…però nell’ impianto generale ci stà.
    Il ciclo di Bourne nei libri è molto meglio del film in quanto c’è più spazio per analizzare le dinamiche dei personaggi che nel film sono per forza compresse

      • 12 anni ago

      Quindi consigli la lettura?

        • 12 anni ago

        Be’, sì. Avrebbe poco senso, altrimenti. 😀
        Ma quanti sono? Tre?

        • 12 anni ago

        si secondo me ti piacciono, da leggere in ordine cronologico altrimenti non ci capisci una ceppa

    • 12 anni ago

    A me è sempre piaciuto, nonostante la faccia abbastanza inespressiva di Matt Damon, che qui però è utile per affermare la sua condizione mentale. Bel post, bella saga…

      • 12 anni ago

      Questa cosa della condizione mentale è epica. XD Però ci sta.
      Grazie.

    • 12 anni ago

    Ottimo film. Prima di Casino royale aveva già cercato (riuscendovi) di scrollare dai film di spionaggio gli stereotipi sui film alla Bond. E riuscendoci ! (Quanto alle scene marziali , al cinema sono sempre rese in modo spettacolare. Nessuno combatte nella realtà come nei filn con Jet Li. Essendo finzione l’importante è stare al gioco…)

      • 12 anni ago

      Eppure a me sembrano spettacolari e realistiche al tempo stesso. Uno che combatte così è davvero inarrestabile. XD

        • 12 anni ago

        Mi sono spiegato male. Intendevo dire che questo di film era un buon esempio di compromesso tra scene d’azione spettacolari e realistiche. Mi sa che ho scritto troppo di fretta…