Il bello di vedere un film nel periodo in cui esce è che poi puoi scrivere recensioni aneddotiche/nostalgiche più di dieci anni dopo, fingendo una sapienza invidiabile. Buon trucco, quello degli aneddoti, e ogni buon blogger dovrebbe tenerlo presente. Io, comunque, non vi ho detto niente…
Parlando di Starship Troopers del buon Paul Verhoeven, la prima considerazione si ricollega al film preso in esame ieri, Conan.
Verhoeven iniziò a leggere il romanzo di Robert A. Heinlein e poi, depressosi, lo abbandonò dopo i primi capitoli. Abbiamo a che fare, quindi, non con una trasposizione di un libro, ma con pura improvvisazione innestata su un canovaccio: la terra del futuro, la democrazia male del secolo, un pianeta di insetti che ci sparano contro asteroidi. Il tutto condito da finti spot pubblicitari della propaganda che, come in RoboCop dieci anni prima, ci ricordano che vogliamo sapere di più, oltre che fornirci un quadro parodistico dell’insieme, non bastasse la minaccia insettiforme e le partite di Rugby (?)… una falsa interattività e un’intrinseca perplessità verso una società militarista che ha individuato nella forza bruta e soprattutto nell’esercizio coerente di essa la via della pace. E ok, c’è la censura, ma le condanne a morte vengono trasmesse come il Meteo…
Questo per dire che, esattamente come Conan, ci sono i nomi, le battute, i riferimenti letterari, ma che il film è qualcos’altro, a suo modo originale. E solo su questo è bene discutere.
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Stabilito che Rico (Casper Van Dien) è di Buenos Aires (nel libro, filippino), ma come i suoi compari Ibanez (Denise Richards) e Carl (Neil Patrick Harris) è di pura razza ariana, e avendo ammirato il vessillo verde, bianco, blu del Regime, ricordo il rigurgito di polemiche che investì il film, specialmente in occasione del passaggio in tv in prima serata. I soliti bla bla bla inutili e sciocchi. È un film di fantascienza, fantastico, compito della fantascienza, distopica o non, non è presentare il mondo reale, ma mostrarci nuovi mondi che, perché no, possano funzionare anche se non sono “belli e giusti” com’è il nostro. Ok, finite di ridere dopo…
Esaltazione della forza, del valore, nazionalismo e delle virtù militari rispetto alla vigliaccheria del vivere da civili. Sono tutte cose che ci stanno, senza starci troppo a pensare. I nemici sono gli insetti. Diversi, come quasi tutti i nemici. Davvero sottile il casus belli, che vuole un’asteroide colpire la terra dopo essere stato “sparato” fuori della propria orbita dal plasma degli insetti (non si sa come)…
Insomma, guerra in risposta a un’aggressione, sembrerebbe. Ma che si trasforma in guerra d’annientamento.
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La caratteristica di Starship Troopers è l’antipatia innata di tutti i protagonisti, umani e non, eccetto uno, ma ci torneremo alla fine. Rico, col mascellone, Ibanez con la puzza sotto al naso, Carl che fa il nerd, ma è un sensitivo, in pratica esponente di una sottile evoluzione della razza umana, persino l’aracnide guerriero, nelle sue centinaia di cloni, sono tutti odiosi. Ragion per cui si assiste dapprima al reclutamento/addestramento dei terrestri, poi a una catastrofe da dieci milioni di morti, compresi i familiari dei protagonisti, e poi a una guerra che, in sostanza, scorre via placida divertendo solo ed esclusivamente dal punto di vista dell’effettaccio speciale, piatto come un videogioco, ma che ti trasmette la voglia matta di imbracciare un fucile automatico e di far fuori un po’ di insetti, dal momento che a) tutti fanno la loro parte e, ancor più importante, b) l’unico insetto buono è un insetto morto.
E fin qui, non ci sono dubbi. Purezza d’immagine degna di una sit-com,e comprimari di extra-lusso quali Michael Ironside e Clancy Brown, il primo professore a scuola, a educare i futuri “cittadini”, il secondo Sergente Istruttore. Be’, lasciate che ve lo dica, starli a guardare è un vero spasso, uno spasso che il cinema ha perso con loro. Rocciosi e cazzuti.
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Gli insetti sono una marea. Ondate su ondate di aracnidi guerrieri, dalle falci che grondano sangue e, soprattutto, i loro parenti giganti che cagano plasma azzurro proiettandolo in orbita, potente da abbattere navi spaziali enormi.
Da un film di guerra, senza quartiere, senza spessore, ci si aspetta solo ammazzatine a raffica, come le scariche dei fucili e i missili nucleari, che fanno piccoli funghi atomici senza onda d’urto. il futuro è bello e comodo.
Non so quale sia il sottotesto applicabile agli insetti che più volte si rendono maestosi e per la loro solennità, per il fatto che sputano fuoco come i draghi, per il non trascurabile dato che, sì, è vero che hanno sparato l’asteroide, ma è pur vero che ormai si trovano a combattere una guerra di sterminio, ma qualcosa c’è se è vero che l’assedio al campo militare richiama, con svariate battute, un altro assedio, quello delle tribù africane ai colonizzatori bianchi asserragliati con il loro orgoglio e la loro superiore potenza di fuoco nel film Zulu (1964). E questi erano i padroni che le colonie tentavano con ogni mezzo di scrollarsi di dosso. Quindi, la Fanteria dello Spazio è lì per fare cosa?
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Ma in fin dei conti non importa. Resta il fatto che non sono il solo a restare allibito di fronte all’insetto capo, quello intelligente, che trascinato in catene di fronte a Carl, ormai perfetto in uniforme nera come la pece, prova paura.
Be’, non lo so, a distanza di anni tale scena mi rattrista sempre. Gioire della paura di una creatura intelligente? Mah…
E poi, gli insetti cominciavano a piacermi, perché si erano organizzati, compivano attacchi coordinati e succhiavano i cervelli, come nella migliore fantascienza anni cinquanta, compreso il cervello di quell’idiota di Zander, rivale in amore di Rico e collega di Ibanez, e uscito dritto dritto da qualche telefilm deficiente di quegli anni, Melrose Place, mi pare, ma non ci giurerei. Succhiargli il cervello era un atto dovuto da parte di qualsiasi senziente, a rischio di intossicarsi.
Insomma, morale ambigua, trasposizione alterata e, in fin dei conti un film che resta nella storia per la maggior quantità di colpi mai sparata prima. Tutto materiale buono non già per i sequel, ma per una serie televisiva.
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