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Star Trek (2009)

Certe frasi riassumono bene concetti contorti, e polemiche, e wtf assortiti. Il reboot di Star Trek del 2009 vede, oltre tutto il cast (e non potrebbe essere altrimenti), tre imputati principali, J.J. Abrams, regista (che ringrazio per non avere l’h nel cognome, ché non si sa mai dove metterla…) e Roberto Orci e Alex Kurtzman, autori. La frase punto di non ritorno è però di Spock, del vero Spock, Leonard Nimoy che, alle prese sul set col suo succedaneo Zachary Quinto, si dice gli abbia sussurrato: “You have no idea what you’re in for.”
Che è un po’ il tormentone che sento ripetere ai detrattori. Ma che è anche il tormentone che accompagna qualsiasi tentativo di reboot di vecchi classici, talvolta fuori tempo massimo, o del tutto pretestuoso, tipo Dirk Benedict che si lamentava, in barba alla bellezza del telefilm Battlestar Galactica (2004) e del personaggio Kara Thrace “Starbuck” che… fosse una donna. Gne gne gne.
Insomma, ci siamo capiti. Fermo restando che mi riesce inaccettabile giustificare l’odio per un film, quand’anche provenga da fan sfegatati, la verità è che questo Star Trek proprio non mi sembra brutto. Fatevene una ragione. Questo non vuol dire che sbavo appresso a Abrams (tutt’altro), ma che, in tutta sincerità, se proprio dobbiamo fare paragoni tra mostri sacri, Lucas, che pure ha sempre avuto il controllo della sua creatura, con l’intera nuova trilogia è riuscito a fare molto peggio.
S’è parlato del fatto che i trekker si siano sentiti traditi da questa messinscena che, come tutte le produzioni miranti, oltre a omaggiare il franchise, anche a far soldi, prevede delle piccole scorciatoie, quali la cancellazione di terminologia troppo tecnica da risultare incomprensibile al largo pubblico, o di alcuni conflitti alla base della serie classica, non ultimo il personaggio Spock che, si dice, così com’è stato rappresentato, non è Spock.
Però poi vado a informarmi e trovo una notizia interessante: ovvero che il film, incentrato sugli anni d’accademia del cadetto James Tiberius Kirk, è basato su una vecchia sceneggiatura (rimaneggiata, certo…) di David Loughery, approvata da Gene Roddenberry, ma osteggiata dal cast originale di ST e, soprattutto, dai fan.
Da un certo punto di vista, quindi, Star Trek XI nasce già con le gambe spezzate. E un tempo questo era beneaugurante.

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Certo, Nimoy vanta quella posizione, più che di veterano, di vate, che è difficile contestare. Ma alla fine l’ha firmato pure lui, il contratto. Ed è stato lui a far pronunciare al suo Spock la frase finale “Where no one has gone before.”, modificata della parola “man”, tenendo conto della continuity e delle avventure del vecchio James T. Kirk, sempre lui, l’artefice della modifica nel suo Captain’s Log. Voglio dire, dato che c’era, ha voluto fare le cose per bene.
Poi, siamo alle solite. Qui si parla di eredità, ma allo stesso tempo è qualcosa di un po’ più pesante. Mito vivente, per certa fantascienza, vestire i panni giallo-oro di Kirk ed essere credibili, be’, era compito difficile per tutti, non solo per Chris Pine. Shatner inarrivabile? Sì, continuo a pensare che sia così. Dopotutto, è di Shatner che stiamo parlando, parrucchini o meno. Zoe Saldana che non ha mai visto, ne ha voluto rimediare, la serie classica, eppure si mette a fare Uhura? Può essere. D’altronde è un reboot, non un remake. Ragion per cui, è lecito porsi la domanda: quanto ci si può discostare dal mito? Seguita da: quanto possono essere lecite le critiche? E fino a che punto le si deve ascoltare?
Be’, la distruzione di Vulcano pare rispondere a tutt’e due. E attenzione, io non l’ho gradita, anche perché si basa su una di quelle voragini logiche che fa invidia all’abisso Laurenziano, nel senso: è mai possibile che Vulcano sia sprovvisto di difese, tanto da domandare aiuto ai terrestri?
Ma facciamo finta di niente, se si può, e ci godiamo la morte già scritta della maglietta rossa, terzo incomodo tra Kirk e Sulu, rispettivamente in giallo e blu.

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Jennifer Morrison fa Winona, la madre del (futuro) Capitano Kirk, Chris Hemsworth (Thor) fa il papà George, Winona Ryder fa la mamma di Spock, il piccolo Kirk che frega un’auto d’epoca e ascolta i Beastie Boys… in un tripudio hollywoodiano che fa molto Spielberg-Abrams. E ok, è questo che in fondo infastidisce. Star Trek era equipaggio multirazziale in un contesto razziale. Star Trek era un discendente da una famiglia dell’Iowa (Kirk) accanto a uno delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, Pavel Chekov. In parole povere, era futuro e utopia.
Star Trek di Abrams non può più esserlo, perché nel frattempo la storia è andata avanti portando con sé il suo bagaglio di banalizzazione e stupidità. Conseguenza è che Uhura in minigonna, che pure è tenente, non stupisce più. Ormai è più che familiare. E il suo bacio con Kirk, Spock o chiunque sia, normale. Il treno ormai è passato. Talmente tanto che Rachel Nichols, orioniana cadetta collega di Kirk è solo l’aliena belloccia di turno, per verde che sia.
Questo per dire che Star Trek è nata come futuro, ma che oggi gli iphone sono più futuro dei comunicatori palmari dell’Enterprise. Occorre tanto, oggi, per stupire.

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Eppure devo dire che il nuovo Pike (Bruce Greenwood) ha un suo perché. Come capitano il cui ruolo è insieme cesura e ponte tra ere diverse, è perfetto. Zachary Quinto… be’, guardare lui è guardare Sylar di Heroes: stessa espressione da serial killer in vacanza. Solo che qui ha le sopracciglia diritte e i capelli a caschetto. Si dice che in questo flim, per la prima volta si sia analizzato in profondità il conflitto di Spock derivante dalla sua discendenza di due mondi diversi. Ma quest’analisi è dello stesso tipo di quella rivolta ai tecnicismi dell’Enterprise; laddove s’è potuto, si è volato alto, per non dire che si è sorvolato.
Tralasciando inutili siparietti, tipo l’esilio di Kirk sul pianeta ghiacciato, su Simon Pegg che ha reso Scott un pagliaccio e su Eric Bana che più che un romulano pare Alice Cooper, direi che resta un ottimo design e un tentativo interessante e dignitoso, ai livelli di altri più noti delle varie serie televisive. Magari si sarebbe preferita, io di certo l’avrei preferita, un’impostazione più seria, ma così facendo si sarebbe tradito lo spirito comico sul quale si fondano decine di puntate della serie classica.
La domanda più importante, quella alla quale non è possibile rispondere, è quella sulle ragioni dei questo remake/reboot. Perché scomodare Kirk e soci, piuttosto che creare qualcosa di nuovo, attuale e, magari, visionario come l’originale nel suo tempo?
La risposta potrebbe deludere. E la conoscete già.

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