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Spomenik Monument Database

Il mio amico Alex mi ha regalato un libro che desideravo da tempo: lo Spomenik Monument Database. Di Donald Niebyl, edito da Fuel.
Ovvero la guida che elenca tutti gli Spomenik – parola serbo/croata/slovena per monumento – sopravvissuti alla disgregazione della ex Jugoslavia.

Un pezzo di storia recente, colpevolmente ignorato (e cosa non ignoriamo, noi altri, di questi tempi?), gli Spomenik sono sia un’ode al Brutalismo, che esperimento di cancellazione culturale e ricostruzione.
Sono dei monumenti creati per “superare” le differenze culturali di una terra frammentata e veicolarle verso un mito comune.

Lodevole intento, portato avanti, però, col solito tatto tipico dei regimi totalitari che, di fatto, volevano lasciarsi alle spalle le infinite tradizioni proprie di un territorio sfaccettato e multiculturale, col cemento armato.
Una colata di cemento sulla quale ricostruire una nuova nazione sotto la Stella Rossa.
Severo, ma giusto. Anzi, più che severo, e senz’altro non giusto, pratico.
Che trovo sia l’aggettivo migliore quando si tratta di totalitarismi, la praticità.

Perché cercare di fondere insieme le diverse anime di uno Stato, quando lo stato può seppellire tutto e ripartire da zero?
Sì, esatto, la praticità.
Cose come dialogo, democrazia e salvaguardia della diversità sono perdite di tempo.
E quindi Tito radunò uno squadrone di artisti concettuali e ordinò loro la creazione, che coprì un arco temporale di circa trent’anni, di una serie di monumenti enormi, dalle figure simboliche e astratte, che pur richiamandosi a fatti storici, rappresentavano concetti come Resistenza, Valore, Patria.
L’astrattismo era strumentale: serviva allo scopo. Ognuno, di fronte a qualcosa del genere…

Lo spomenik di Kosmaj, alto 40 metri, in Serbia, a ricordo dei soldati caduti nella lotta contro le forze dell’Asse nella liberazione di Belgrado.

… può associarvi l’idea che preferisce.
Laddove si è troppo attaccati a simboli e tradizioni, tanto vale crearne di nuovi, immensi – gli spomenik raggiungono e spesso superano la ventina di metri d’altezza, e ben collocati nel territorio.
Lo scopo è creare una nuova liturgia, neutra, che non faccia litigare nessuno e si lasci ammirare.

L’altro dettaglio che colpisce degli Spomenik è la loro collocazione, infatti. Nessuno di questi monumenti è situato in città, ma tutti sono in aperta campagna. I luoghi, lo ripeto, sono stati scelti con accuratezza, per la maggior parte, si tratta di campi di battaglia, dove manipoli di valorosi hanno arrestato l’avanzata dei Nazisti, o dove martiri sono stati massacrati in difesa della libertà.
Il fatto che siano stati costruiti in campo aperto ne ha favorito le dimensioni colossali: sono creature addormentate visibili a centinaia di metri di distanza, nel nulla della campagna, della Storia.

Ma la Storia, lo sappiamo, non dimentica. Così come sappiamo non essere impresa semplice cancellare le tradizioni. Al disgregarsi della Jugoslavia, specialmente in Croazia, gli Spomenik sono stati presi di mira e distrutti, uno dopo l’altro.

Oggi ne sopravvivono 81. La guida di Niebyl li comprende tutti. Di ciascuno ne racconta la storia e mostra fotografie all’epoca della costruzione e le mette a confronto con lo stato attuale. La maggior parte versa in condizioni discrete, visto anche il materiale in cui sono costruiti, altri giacciono in macerie, sotto i colpi dei nazionalisti, e altri ancora vengono, ogni anno che passa, riconquistati dalla Natura che, lo sappiamo, la Storia se la divora in un oblio verde e lussureggiante.
Ma c’è in atto un piano per salvaguardarli, un piano internazionale. Perché gli Spomenik, loro malgrado, forniscono una testimonianza, sono la memoria storica di un tempo che voleva essere senza memoria.
E poi, sono magnifici.

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